L’emergenza di chi cade dal pero

Creato il 11 novembre 2011 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

E fu così che il governo della paura strinse un patto inscindibile col partito del tengo famiglia. Ieri un mio pezzo ha suscitato molte critiche: venivo richiamata all’ordine e alla disciplina imposti dal doveroso realismo, dalla logica necessità, dalla irriducibilità degli eventi, dalla cognizione adulta dell’emergenza.

Mi era sembrato invece di essere stata fin troppo ragionevole per anni, quando sembrava che quasi tutti con felice, dissipata e scriteriata ebbrezza correvano verso il baratro con l’attrazione auto dissolutrice della vertigine. Qui tanti, troppi, che adesso cadono dalle nuvole, che scoprono l’indebitamento, che sono sorpresi dalla crescita zero, che sono imbambolati dai giochi rapaci della finanza. Per carità sono in ben aristocratica compagnia: governo, Commissione, burocrazie, banche (loro intente a specularci sopra con l’aiuto delle agenzie di rating) cui lo Stato, gli Stati hanno dato mano libera, incoraggiamento fino all’azzardo più spregiudicato e rapace e che ora sempre in nome di quel logico realismo vengono salvate per non pregiudicare l’economia. Certo è un ben grottesco paradosso che una nazione strozzata sia costretta a sacrifici mortali per difendere gli strozzini.

Ma quello che disturba di più delle critiche non è solo questa stupefatta costrizione a subire ricatti, condizionamenti in nome di una emergenza ampiamente prevedibile e prevista, per una crisi che si srotola intorno a noi come il filo spinato di un lager di disuguaglianza ingiustizia privazione di diritti e beni da anni, annunciata e definita fin nei particolari.
Arrivo a dire che perfino Attali e addirittura Tremonti avevano previsto che la globalizzazione e la turboeconomia, alla lunga insostenibili, sarebbero sfociati in un orrendo “disordine” mondiale, un tempo di caos e un’età di torbidi, sotto qualsiasi forma essi potessero manifestarsi, salvo fronteggiare la sregolata disarmonia dell’accumulazione e del profitto sempre più giocata sull’azzardo dell’immaterialità, governando la complessità e ri-bilanciando i rapporti di forza tra capitalismo e stati nazionali e quelli tra capitale e lavoro.

Ma ai governi “canaglia” si addice far degenerare le situazioni, in modo che le crisi diventino emergenza perché allora la necessità fa diventare legittima ogni iniquità, in modo da far ingoiare qualsiasi boccone avvelenato, qualsiasi uomo della provvidenza che risponde agli ordini del sistema finanziario, qualsiasi rinuncia ai diritti che tanto, come la cultura, non si possono mica mangiare in mezzo a un panino, se “si tiene famiglia”. Eppure è certo che senza diritti senza equità non ci piò essere crescita.

Eppure l’ordine mondiale della finanza proprio perché gioca con le carte truccate scommettendo su fondi e derivati mai esigibili, in un labirinto perverso e aberrante, se ne infischia. E il suo ordine europeo, ormai vassallo, nel programma di governo che detta all’Italia colloca appunto lo stravolgimento di diritti sanciti dalla Carta costituzionale. Chiamandolo riforma.
E sono adirata, sono in collera perché queste sopraffazioni della ragione e del buonsenso viene imposta e universalmente e benevolmente accettata non solo in nome dell’emergenza coatta, ma di quella perversione che ha attecchito soprattutto in quel che resta del centro sinistra. Quel richiamo al pragmatismo che fa considerare ineluttabile, irreversibile, invincibile qualsiasi nefandezza venga commessa in nome del capitale e del mercato. Ci sono, hanno vinto, sono moderni, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà hanno preso la Bastiglia ma poi l’hanno persa e è meglio farsene una ragione. E così ci si arresi all’idea che non c’è alternativa al capitale, che è più ragionevole accettarlo e magari tentare qualche piccolo arrangiamento. Che si deve far buon viso a cattivo Monti. Fare come Di Pietro il Monti ombra o rivolgere calde e vibranti raccomandazioni, suggerendo qualche contromisura alla macelleria. E dimenticando che è stato collocato là per eseguire un programma, del quale è probabilmente redattore insieme all’altro italiano di prestigio incaricato di farci a pezzi.

Si non siamo la Grecia, se l’ipotesi che l’opposizione (suona patetica questa parola) imponga un calendario per misure contro l’evasione, per limitare i danni della macelleria sociale, per accelerare la riforma elettorale voluta dai firmatari del referendum, suona come una pretesa irragionevole.
Siamo ragionevoli chiediamo l’impossibile, suonava un vecchio slogan. Mi trovo a chiedere l’impossibile, che ragionino. Ma, appunto, è impossibile.


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