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L'emergenza non è finita

Da Roxioni
L'emergenza non è finita
Ha ragione, come spesso gli succede, Francesco Giavazzi che scrive un editoriale oggi sul Corriere della Sera per avvisare i molti che si stanno già illudendo di avere risolto buona parte dei problemi e rimosso buona parte dei rischi.
L'emergenza non è finita Non è il primo richiamo a tenere alta la guardia, ad essere realistici su quanto poco sia stato fatto dai giorni del ‘FATE PRESTO’ e dello spread a 500 bp. Perché questa è la sensazione che siamo sommersi da una cascata di promesse e di speranze, ma intanto una buona parte della spinta alle riforme di cui abbiamo bisogno come il pane sia già persa nei tanti no pregiudizievoli, nelle lobby da NIMBY, nei distinguo della vecchia politica. Se non ci fosse la
benzina a 2 euro, se non ci fosse la continua percezione di un prelievo fiscale soffocante ho anch’io l’impressione che siano molti gli italiani pronti a pensare che tutto può ricominciare come prima. Non sarà mai più come prima.
Anche sul fronte del credito, della situazione delle imprese non ci sono stati sensibili miglioramenti. Tutte le imprese piccole e medie lamentano aumenti nei ritardi di pagamento e negli insoluti, tutti i direttori di banca sono occupati quasi più a gestire clienti con posizioni incagliate che clienti con piani di crescita e investimenti. E ricordiamolo a tutti, ma anche all’ABI: è forse più importante che scendano i tassi in questo momento, che non avere promesse di flussi di credito dai fondi ricevuti dalla BCE. Continuo a vedere tassi sulle anticipazioni commerciali da paura: tasso creditore 0,1% e tasso debitore 8,5% sono una forbice assurda che produce l’effetto di erodere i profitti delle imprese, l’autofinanziamento, gli investimenti e la patrimonializzazione.
Se non lo avete letto sul Corriere, ecco l’articolo di Giavazzi:
    L’emergenza non è finita
    Nell’audizione alla Camera sulle liberalizzazioni, il presidente del Consiglio ha giustamente ricordato ai deputati della Lega Nord che la riduzione dello spread fra Italia e Germania, ieri sceso a quota 282, non è solo merito della Bce: una parte non piccola riflette la fiducia di cui gode il governo nei mercati finanziari internazionali.
    Paradossalmente è proprio questa fiducia il nostro maggior fattore di rischio. Innanzitutto perché ha fatto venire meno l’urgenza. In dicembre il decreto salva Italia fu varato dal governo e approvato dal Parlamento in due settimane. Pochi giorni dopo, il 29 dicembre, il presidente del Consiglio annunciò che liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro sarebbero state varate entro gennaio. Siamo a metà marzo: il decreto sulle liberalizzazioni attende ancora la definitiva approvazione da parte del Parlamento e le norme sul mercato del lavoro non sono state ancora portate in Consiglio dei ministri.
    Non è solo una questione di calendario. Più i tempi si dilatano, più le corporazioni che con queste norme si vorrebbero colpire riescono a organizzarsi per evitarle. Il decreto cresci Italia ne è l’esempio. Il provvedimento che verrà approvato è un’immagine molto sbiadita dell’afflato liberista che ispirò il primo testo del governo. Valga per tutti il compromesso sulla separazione della rete di distribuzione dal gas dall’Eni: dovrà avvenire non prima del settembre 2013, quando questo governo non ci sarà più. Al prossimo sarà sufficiente un decreto di poche righe per cancellare tutto.
    Come fa un investitore che deve scommettere su un cambio di passo dell’Italia a fidarsi? La fiducia sta creando le condizioni per la sua stessa dissoluzione. Il risveglio potrebbe essere brusco. Mentre il governo continua a costruire i propri programmi sull’ipotesi che l’economia nel 2012 si contragga dell’ 1 per cento, il Fondo monetario internazionale prevede un -2,2% e i maggiori investitori internazionali una forchetta fra -2%, nell’ipotesi più favorevole, e -4% in quella meno favorevole, con una mediana di -3%. Con questi numeri il deficit rimarrà sopra il 4% del Pil e il debito ricomincerà a crescere. Come lo spieghiamo a quegli stessi investitori e ai nostri partner tedeschi, ai quali abbiamo ripetutamente promesso il pareggio di bilancio nel 2013?
    C’è un solo modo per uscire da questo guaio. Convincerli che la recessione del 2012, per quanto grave, è un fatto transitorio e che le norme che stiamo approvando segneranno davvero un cambio di passo. Bruciata, purtroppo, la carta delle liberalizzazioni, rimane solo la riforma del mercato del lavoro. Il ministro Fornero ha pronto un testo incisivo, che prevede da subito interventi volti a eliminare la segmentazione tra precari e lavoratori a tempo indeterminato, e che modifica immediatamente l’articolo 18 per i nuovi assunti. Su queste norme si gioca il futuro del governo e del Paese. Se le pressioni corporative o i suoi colleghi ministri dovessero chiederle un passo indietro, Elsa Fornero dovrebbe, con lo stile e la determinazione che la caratterizzano, abbandonarli al loro destino. source
Francesco Giavazzi

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