La Lumen Fidei è stata scritta a quattro mani da Papa Bergoglio e Benedetto XVI, per gli occhi più attenti si può anche capire cosa ha scritto l’uno e cosa ha scritto l’altro, in perfetta continuità. Ma a Vito Mancuso interessa il gossip mediatico, preferisce concentrarsi su chi indossa la croce d’oro e quella d’argento, sull’appartamento pontifico e il residence di Santa Marta, sulla Papamobile scoperchiata e quella più protetta.
Nel suo articolo l’editorialista di “Repubblica” si scandalizza perché l’Enciclica «riproduce con andamento lineare e senza particolari novità la tradizione della dottrina cristiana» e pone domande che dimostrano come si possa essere teologi e aver capito poco della fede cristiana: «chi non ha la fede non ha quindi ricevuto questo dono divino?», si chiede. Proprio lui dovrebbe dare la risposta, dovrebbe sapere che quando la Chiesa parla di “dono della fede” intende dire che segue la logica del “dono” e non dell’imposizione, la fede non è imposta da Dio e non è un oggetto, ma una relazione di vita con Qualcuno: non la si può “avere” a prescindere dalla libertà e dalla volontà di entrambe le persone coinvolte (io e Dio). Dio continua a donarsi a tutti gli uomini, ma solo coloro che aprono cuore e ragione possono incontrarLo. Ed infatti, come scrive Mancuso stesso senza capirlo, «la Lumen fidei sottolinea continuamente che c’è una “chiamata” da parte di Dio, cui deve corrispondere un “ascolto” da parte dell’uomo». Mancuso, conclude la sua contro-Enciclica scrivendo che «l’enciclica, insistendo così tanto sulla luce della fede e sulla sua capacità di spiegazione, finisce per ignorare abbastanza clamorosamente che l’esperienza spirituale cristiana si conclude non con la luce ma con le tenebre». Le tenebre culmine dell’esperienza cristiana? Ma di cosa parla il teologo creato docente dal poco luminoso don Verzé?
Lasciando da parte le tenebre in cui è avvolto Mancuso, è interessante leggere quanto scrive il teologo Enzo Bianchi (che ritiene che «le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi») a proposito della “Lumen fidei”: «la fede non è lo spazio vietato alla ragione, non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. È vero che essa è sempre un dono, e di conseguenza un atto personale, ma è capace di rischiarare il cammino di ogni essere umano, di far comprendere la storia dell’uomo e dell’universo, di dare un senso al duro mestiere di vivere toccato in sorte all’uomo».
Anche Mario Tronti, filosofo laico marxista, ha commentato l’Enciclica: «un politico pensante sarebbe bene che dedicasse qualche ora del suo tempo ad attraversare questa sapienza mondana che viene da un altro mondo. C’è molto da imparare». Da laico scrive: «Lumen fidei ci interroga. Credere non è il contrario di cercare, è la sua vera condizione. Bisogna sapere che cosa si cerca. La critica al relativismo viene presa da un’altra parte, da una orizzonte di fede, il solo in grado di dare luce. Chi crede, vede. E il vedere credendo è un cammino, una via, anzi un viaggio. Ecco però il punto essenziale: non in solitudine, ma in comunità. È impossibile credere da soli. E chi crede non è mai solo. Chi crede da solo si illude, e rimane vittima delle illusioni del mondo. Di qui, il bellissimo concetto di “esistenza credente”. Io credo questo, oggi, l’unica figura di esistenza veramente libera. Perché il credere a niente porta al credere a tutto».
Il filosofo Giacomo Samek Lodovici ha trattenuto questo: «fede e ragione non sono due facoltà umane distinte: esiste un’unica ragione, che talvolta conosce da sola, talvolta invece conosce af-fidandosi ad altri, configurandosi come “ragione credente”». Interessanti anche i commenti di Maria Bettetini, docente di Filosofia allo Iulm di Milano e del teologo mons. Piero Coda. E’ intervenuto perfino lo scienziato Piero Benvenuti, docente di astrofisica all’Università di Padova, accennando alla grande apertura alla scienza che si legge in alcuni passaggi del testo.
Un’Enciclica che ha colpito tutti (200mila copie in un mese!), semplici fedeli e non credenti, intellettuali, teologi, filosofi e scienziati. Tutti tranne Vito Mancuso, rimasto con le sue domande provocatorie e il suo affanno antipapista. La fede è un dono ma l’uomo dev’essere disposto ad aprire cuore, mente e ragione, solo allora potrà intercettare lo sguardo di Dio. Auguri Vito!
La redazione