Piccola premessa: l’articolo in questione racconta di uno dei più grandi dirigenti sportivi italiani ever, un signore capace di portare il Milan sul tetto d’Italia e del Mondo svariate volte, il vero e grande artefice del Milan berlusconiano. Si sa, però, che non si vive né di ricordi né il giornalismo di riconoscenza.
Nel momento in cui scrivo è appena terminata Milan-Lazio di Coppa Italia con la vittoria della Lazio per 1-0 nonostante abbia giocato un tempo in 10 contro 11 a causa di un’espulsione di un suo difensore.
Galliani ha poi confermato l’esistenza di una trattativa per il centravanti della Roma, Destro, e sempre oggi è atterrato a Milano Bocchetti, ex difensore Genoa con un passato in Russia.
Il fatto più importante è però accaduto la sera precedente: dal proprio sito ufficiale, la Curva Sud del Milan – nucleo storico del tifo rossonero – ha diramato un durissimo comunicato stampa nei confronti della società milanese accusando l’Amministratore Delegato, Adriano Galliani, di essere il responsabile dell’ennesimo fallimento sportivo di questa stagione. (Il comunicato stampa lo trovate qui).
Per quanto mi riguarda, il tifo organizzato non dovrebbe esistere e gli stadi dovrebbero essere luogo di tifo spontaneo e occasionale – mentre in Italia gli ultras fanno il bello e il cattivo tempo allo stadio, con il consenso delle relative società; ciò non toglie che, dal momento che le cose qui stanno così, gli ultras abbiano tutto il diritto di rilasciare comunicati stampa e di accusare il proprio A.D. di incapacità, incompetenza, mancanza di progettualità o whatever.
Se poi il comunicato in questione coglie nel segno della faccenda, facendo luce sulle incongruenze di una gestione societaria, la presa di posizione diventa ancora più accettabile.
Ma che cosa sostengono precisamente i tifosi del Milan?
La sconfitta ai quarti in Coppa Italia segna probabilmente l’addio alle speranza di disputare le coppe europee nella prossima stagione; in campionato, dopo venti giornate, la classifica registra un misero undicesimo posto, a -23 dalla capolista Juventus e a -10 dall’agognato terzo posto, l’ultimo utile per l’accesso alla Champions League del prossimo anno e dichiarato obiettivo della stagione.
In particolare, l’inizio di 2015 delinea scenari da incubo: vittoria che in campionato manca dal 14 dicembre 2014 (Milan-Napoli 2-0) e squadra che sembra aver smarrito gioco e anima.
Eppure la stagione non era iniziata così male: ancora prima della sosta natalizia, sui giornali e nei talk show calcistici si lodava Inzaghi, l’allenatore, perché sembrava, nonostante tutte le difficoltà (fra tutte: una rosa qualitativamente inconsistente, la resa di un paio di giocatori al di sotto delle aspettative, El Shaarawy e De Sciglio su tutti, e la consueta abbuffata di infortuni), aver avuto la capacità di dare un’identità e una consistenza che non si vedevano sotto la Madonnina da almeno tre anni, dai tempi di Ibra e dell’ultimo scudetto targato Allegri.
E, in effetti, i meriti di Inzaghi erano reali, dal momento che sul serio la qualità latita e dei giocatori attuali, pochissimi non avrebbero sfigurato nel Milan di Ancelotti: un Montolivo in salute, De Jong e pochi altri.
La curva, di fronte a tutto ciò, si è scagliata contro l’A.D. Galliani: perché?
Nessuno gli imputa le colpe di una gestione finanziaria votata al risparmio: l’austerity è una realtà in via Aldo Rossi ormai da qualche anno, da quando non si poterono rifiutare i quasi 44 milioni di euro per Shevchenko nel 2006 (una cifra che probabilmente oggi non basterebbe a comprare un giocatore di quel valore), e di questo Galliani non è certamente ritenuto responsabile.
Galliani convive da tempo con questa situazione, facendo di necessità virtù, e in un certo senso l’acquisto che si sta consumando in queste ore, quello di Destro, ne è un esempio – per chi scrive, Destro è molto forte e la Roma commette una sciocchezza nel cederlo.
Le ultime campagne acquisti del Milan sono state condotte dall’A.D. al motto di “se non esce nessuno, non arriva nessuno”, “davanti/dietro/in mezzo siamo a posto così” e “puntiamo sui giovani del vivaio”.
Di queste tre litanie, soltanto la prima è, in parte, vera: la seconda, stante la classifica, non lo può essere e la terza, be’… è semplicemente una balla.
Proprio sul terzo punto gli ultras del Milan hanno puntato il dito: possibile che una società come il Milan, che sostiene di puntare sui giovani, non schieri nessuno proveniente dalla Primavera, se non De Sciglio che, tra l’altro, da prospetto internazionale (pare che Ancelotti, da Madrid, abbia pensato a lui per la fascia l’anno scorso) sta disputando una stagione da 5 in pagella?
Ci sarebbero poi Albertazzi, che però fino a ieri sera non aveva mai giocato, e Mastour, un classe ’98 a cui giustamente va dato tempo di crescere senza troppe pressioni attorno.
Eppure i giovani costituiscono un investimento a basso costo e di (potenziale) grande rendita: chiedere a Tottenham e Liverpool, che con la cessione dei loro campioni (che se non erano cresciuti in casa erano perlomeno stati acquistati in giovane età), hanno rifinanziato interamente la loro campagna acquisti – sono cosciente di citare due esempi che sportivamente parlando, non hanno ottenuto risultati eclatanti: sempre meglio del Milan, comunque.
I giovani, tra l’altro, garantiscono sul campo entusiasmo, ma soprattutto corsa, forza e agonismo, e se adeguatamente mischiati con un nucleo di giocatori esperti (diciamo dai 26-27 in su) si può ottenere quell’alchimia che nello sport rende.
Basta osservare le rose delle grandi società europee e i loro dati sull’età media – Real Madrid 26 anni, Barcelona a 26,5, Bayern a 27 e Chelsea a 26,7; Juventus a 28,8, Roma a 28 – per capire che le squadre italiane sembrano privilegiare “l’usato sicuro”, che però oggi sembra garantire soltanto l’impossibilità di competere ad alti livelli.
(Non è sempre stato così: negli anni Novanta esordivano i Del Piero, i Totti, i Nesta e i Buffon sotto la maggiore età e diventavano presto titolari, e il calcio nostrano dominava).
Il sito di transfermarkt.it indica un’età media di 28,3 per la squadra milanese. Lo scorso agosto sono stati ceduti Bryan Cristante, un classe ’95 cresciuto nelle giovanili rossonere, al Benfica per 6 milioni, e Balotelli, nonostante tutto un ragazzo di 24/25 anni, mentre a gennaio ha salutato un giovane come Saponara, che non sarà un fenomeno ma appena schierato titolare a Empoli ha saputo mostrare il proprio valore.
Balotelli è stato rimpiazzato dal prestito di Torres dal Chelsea, divenuto un acquisto all’inizio di gennaio in vista della cessione del medesimo all’Atletico Madrid in cambio di Cerci, vecchio pallino della dirigenza rossonera e di Inzaghi che chiedeva da tempo un’ala offensiva. Torres va per i 31, Cerci per i 28.
La cessione dei Cristante ha scatenato grandi polemiche perché era considerato uno dei giocatori più interessanti della cantera rossonera e perché la sua cessione ha fruttato soltanto 6 milioni. Al suo posto è stato acquistato in prestito Van Ginkel sempre dal Chelsea, un giovane di 21 anni reduce da un’operazione al ginocchio, che difatti si è dimostrato fragilino rimanendo spesso in infermeria o in panca.
Bonaventura (1989) risulta l’acquisto più azzeccato dell’ultima campagna trasferimenti per la sua duttilità e abilità tecnica, ed è stato acquistato l’ultimo giorno o giù di lì, mentre del centravanti spagnolo, entusiasmo dei primi giorni e gol contro l’Empoli a parte, non si sono avute notizie.
La politica di Galliani in merito agli acquisti negli ultimi anni sembra essere dettata da una serie di principi:
- se posso, tratto solo con giocatori in scadenza di contratto, così non pago il cartellino;
- se posso, millanto trattative più o meno impossibili per due terzi di estate, per poi agire sul serio gli ultimi giorni di agosto – i famosi “Giorni del Condor” – sparando una serie a raffica di acquisti.
Quelli del punto 1, paradossalmente, hanno un costo elevatissimo per la casse societarie: non per il loro cartellino, ma per l’ingaggio – un giocatore che arriva gratuitamente sa di poter chiedere qualcosa in più rispetto a quello che viene effettivamente comperato da un’altra società.
E così che si arriva a casi come quello di Mexes: 4 milioni all’anno per scene come questa: Mexes-Mauri.
E così che il monte-stipendi del Milan raggiunge i 94 milioni (dati sett. 2014), il terzo della Serie A, dietro Juventus e Roma. Ma il Milan è undicesimo, e il fallimento di Galliani sta proprio qui.
Certamente 4-5 anni fa il totale degli ingaggi del Milan era molto più alto (nel 2011 la Gazzetta segnava l’asticella a 160), ma su quel calcolo pesavano gli stipendi di Ibrahimovic, Robinho, Van Bommel, Seedorf, Pirlo, che o erano superstar internazionali o avevano stipulato il loro contratto ancora nella fase precedente, quella della grandeur, non soltanto sportiva ma finanziaria.
E comunque quella squadra, almeno in Italia, vinceva; quella di oggi è fuori dall’Europa e probabilmente lo sarà anche l’anno venturo, gioca un calcio pessimo e non sembra essere in grado di proporre qualcosa per uscire dal pantano in cui si trova attualmente.
La strategia di Galliani quindi non paga né in termini sportivi né in termini economici, risultando un salasso per la famiglia Berlusconi (che ogni anno ripiana milioni e milioni di debiti di gestione ordinaria).
Per mascherare gli imbarazzi di questa situazione, nell’ultimo anno Galliani ha giocato una carta molto pericolosa: quella del cambio d’allenatore. È così che si sono avvicendati, in poco più di un anno, Allegri (un anno fa tecnico incompetente e ora felicemente alla Juventus), Seedorf (ex bandiera che, pur non avendo fatto male e pur avendo conquistato un 3° posto virtuale nella classifica del girone di ritorno, è stato malamente scaricato, reo di aver giudicato scarsa pubblicamente la squadra) e ora Inzaghi, che però sembra anche lui al capolinea (anche se Galliani al telefono lo nega: “Inzaghi non rischia”).
I tifosi però non la pensano così, e dicono che un giovane allenatore, per di più un ex, che l’anno scorso aveva fatto bene con la Primavera, avrebbe bisogno di maggiore protezione da parte della dirigenza che, al posto del solito proclama “la squadra è da terzo posto” e dell’ormai consueta visita presidenziale del venerdì a Milanello dovrebbe provare a spendere qualcosina in più – ma il punto del comunicato non sta qui.
Per gli ultrà, il Milan dovrebbe provare a darsi una strategia di lungo termine: impresa che, pare, l’area marketing della società, quella capeggiata dalla figlia del Presidente Barbara Berlusconi, sia riuscita a centrare con discreto successo – è notizia di qualche mese fa il prolungamento della partnership con la Emirates con un incremento di 40 milioni nel corso di 5 anni: un trionfo, soprattutto per le attuali condizioni del Milan.
La carta degli allenatori è pericolosa perché intatto non fa parte della storia del Milan berlusconiano e poi perché risulta l’ultima mossa di una dirigenza (Galliani) senza prospettive.
Se anche Inzaghi fallisse (e sta fallendo), dove si andrebbe poi? Chi si prenderebbe (senza soldi, tra l’altro)?
Galliani negli ultimi anni ha provato a tamponare l’emergenza austerity con colpi dell’ultimo minuto, con grandi nomi che spesso dovevano ritornare quelli di un tempo (vedi Torres, Shevchenko, Kakà, se vogliamo anche Ronaldo): finché la base della squadra è rimasta di buona qualità, questa politica ha tenuto, e spesso ha saputo valorizzarne al meglio il contorno (Ronaldo disputò una buona mezza stagione, Van Bommel fu utile al primo anno di Allegri).
Da quando però il livello è sceso, questa strategia ha mostrato la sua dannosità: acquistare giocatori over 30/32 innalza il monte-ingaggi (perché si tratta di giocatori all’ultimo contratto della carriera), non dà prospettive di lungo corso alla squadra e impedisce ai giovani di maturare l’esperienza necessaria.
È giunta l’ora, probabilmente, di un ricambio generazionale in società che garantisca un cambio di orizzonte a livello di strategie di mercato: si parlava di Sean Sogliano, dirigente e artefice della buona stagione dell’anno scorso del Verona, ma poi tutto si è arrestato di fronte alla (presunta) buonuscita di Galliani da 60 milioni.
Il Milan oggi è undicesimo e fuori dalla Coppa Italia – trofeo che nei trent’anni di Presidenza Berlusconi è stato vinto soltanto una volta, nel 2003, ma che quest’anno era importantissimo: Inzaghi dice che c’è bisogno di “rialzare la testa”, “continuare a lavorare”, e di “non credere di essere lui il problema, altrimenti si sarebbe già dimesso”.
Probabilmente ha ragione, lui non è il problema; perlomeno non il solo. I tifosi sembrano però aver scelto il loro colpevole: che farà Berlusconi?
Maurizio Riguzzi
@twitTagli