Magazine Cultura

L'epopea di gilgamesh - parte 3

Creato il 27 febbraio 2013 da Giuseppeg
L'EPOPEA DI GILGAMESH - PARTE 3
La vendetta di Ištar
Ed eccoci arrivati alla terza e penultima parte del nostro racconto. Come dicevamo in precedenza, c’era stato un tentativo di seduzione nei confronti di Gilgamesh da parte di una vera e propria dea, Ištar, dea della fertilità e dell’amore. Ora, non che il nostro fosse insensibile a delle simili profferte, tutt’altro! Il fatto, però, è che aveva saputo antivedere certe cose, ragion per cui si comportò piuttosto freddamente al cospetto della bella dea. Ecco come lei gli si era rivolta:  “Vieni a me, Gilgamesh, sii il mio sposo! Concedimi il tuo corpo, fa che io sia la tua sposa, e tu il marito. Per te appresterò un carro di lapislazzuli e d’oro, con ruote d’oro e corna di rame; e come muli da tiro avrai i demoni possenti della tempesta. Re, sovrani e principi si inchineranno davanti a te; ti recheranno tributi dalla montagna e dalla pianura”. Come dichiarazione d’amore non c’è davvero male, bisogna dirlo. Ma ascoltate cosa le risponde Gilgamesh: “Se ti prendessi in sposa, quali doni potrei mai darti in cambio? Quali unguenti o vesti per il tuo corpo? Volentieri ti darei pane e ogni genere di cibo adatto a un dio. Ti darei vino da bere consono a una regina. Verserei dell’orzo per stipare il tuo granaio; ma quanto a fare di te mia moglie, questo no”. La povera Ištar rimase di ghiaccio, anche se lui non aveva finito: “Che ne sarebbe di me, se ti sposassi? I tuoi amanti ti hanno trovata come un braciere che va spegnendosi al freddo, una porta che non respinge né folata di vento, né tempesta, un castello che travolge la guarnigione, la pece che annerisce chi la porta, una fiasca che irrita la pelle di chi l’ha indosso, una pietra che cade da un parapetto, un ariete da assedio che ritorce i suoi colpi, un sandalo che fa incespicare chi lo porta”. Ora, bisogna ammettere che tutti i torti poi Gilgamesh non li aveva. Sentite un po’ che ne faceva dei suoi amanti la dea Ištar: “Quale dei tuoi pastori ti ha soddisfatta in eterno? Ascoltami, adesso narrerò la storia dei tuoi amanti […]. Amasti il colombo dalle piume multicolori; eppure lo colpisti rompendogli l’ala […]. Amasti il pastore del gregge; di giorno in giorno per te preparava focacce, per te uccideva capretti. Tu lo colpisti e lo trasformasti in lupo; ora i suoi stessi garzoni lo scacciano, i suoi cani gli dilaniano i fianchi. E se tu ed io diventassimo amanti, forse che non sarei trattato allo stesso modo di tutti questi altri da te amati una volta?”. Tutto considerato, quindi, c’era davvero di che preoccuparsi. Naturalmente Ištar non la prese bene, e si rivolse direttamente agli dei. Chiamò in causa il maggiore di tutti, Anu, che era per inciso anche suo padre. Istigato dalle ire della figlia, inviò contro Gilgamesh il grande Toro del Cielo, una bestia feroce e terribile che avrebbe atterrito qualunque mortale. Non Gilgamesh, però, né tantomeno Enkidu. Insieme i due sconfissero la bestia, e addirittura Enkidu ebbe parole davvero poco galanti nei confronti della dea: “Se potessi metterti le mani addosso”, le disse, “ecco cosa ti farei: ti legherei con le interiora del tuo Toro!”. Era davvero un po’ troppo. Non soltanto i due compagni avevano infranto diversi divieti, ma ora ostentavano persino un’arroganza imperdonabile a dei semplici mortali. A questo punto, quindi, la maledizione venne scagliata su di loro.
La morte di Enkidu
L'EPOPEA DI GILGAMESH - PARTE 3Una mattina Enkidu si svegliò sconvolto: aveva sognato che gli dei si erano riuniti in concilio per decretare la sua morte. In breve tempo, infatti, cadde preda di una strana malattia, che lo portava lentamente nella tomba. Enkidu era disperato. La morte, per lui, era la fine di tutto, e l’aldilà, se mai esisteva, era anche peggio della morte stessa. Sentite un po’ come lo descrive lui stesso, dopo averlo intravisto in un sogno: “Ivi è la casa i cui abitanti siedono nelle tenebre; polvere è il loro cibo, argilla la loro carne. Sono vestiti come uccelli, ali hanno per abito; non vedono luce alcuna, siedono sempre nelle tenebre. Entrai nella casa di polvere e vidi i re della terra, le loro corone messe da parte per sempre; sovrani e principi, tutti quelli che una volta portavano corone regali ed ebbero, nei tempi antichi, la sovranità sul mondo. Coloro che erano stati al posto di dei come Anu ed Enlil se ne stavano ora come servi, a portare carne arrostita nella casa di polvere, a portare carne cotta e l’acqua fresca delle fiasche. Nella casa di polvere in cui ero entrato c’erano sommi sacerdoti e accoliti, sacerdoti di incantesimi e di estasi; c’erano servitori del tempio[…] e c’era Ereškigal, la Regina degli Inferi, e acquattata dinanzi a lei c’era Bēlitșēri, colei che è scriba degli dei e tiene il Libro dei Morti. Alzò il capo, mi vide e parlò: ‘Chi ha portato costui?’. Poi mi svegliai, come un uomo dissanguato che vaghi da solo in un canneto desolato, come uno che lo sbirro ha ghermito, e il cui cuore è in preda a forti battiti”. Questa parte è certamente degna del miglior Omero.
Quando alla fine Enkidu morì, Gilgamesh impazzì di dolore. “Toccò il suo cuore ma non batteva, ed egli non levò più gli occhi. Così Gilgamesh stese un velo, come si vela una sposa, sul suo vecchio amico. Prese a infuriare come un leone, come una leonessa derubata dei cuccioli. Avanti e indietro, misurava i passi attorno al letto; si strappò i capelli e li sparse all’intorno. Si strappò le splendide vesti e le gettò a terra, come se fossero obbrobriose”. Per celebrare degnamente il suo compagno, ordinò che gli venisse costruita una statua preziosissima, affinché la sua memoria sopravvivesse in eterno. Ma neppure questo lo consolò. Lui che era stato da sempre abituato a considerare la fama come l’unica possibilità che aveva un uomo per sopravvivere alla propria morte, ora doveva ricredersi amaramente. Non era la fama infatti a riportare in vita i propri morti; non era la fama che poteva risvegliarli dal torpore eterno. Per la prima volta, quindi, Gilgamesh si trovò di fronte alla tragicità del destino umano. Incapace di rassegnarsi, però, egli decise di intraprendere un viaggio, un lunghissimo viaggio che l’avrebbe portato ai confini del mondo. Voleva conoscere il segreto per conquistare la vita eterna.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :