Più che un comizio, è stato l'Erdoğan pride. Ieri a Istanbul, in una vasta area a ridosso del mar di Marmara e appena fuori le mura di Teodosio, centinaia di migliaia di sostenitori del Partito della giustizia e dello sviluppo al potere dal 2002 (Akp) si sono stretti orgogliosamente attorno al loro leader e primo ministro: "roviniamo il grande gioco e scriviamo lo storia", questo lo slogan sul palco - il "grande gioco" nel significato complottistico dell'espressione. Un uno-due ben assestato: sabato il bagno di folla ad Ankara prima dello sgombro forzato del parco Gezi epicentro dell'ondata di proteste delle ultime settimane, domenica il meeting di Kazlıçeşme per soffocare letteralmente con la propria la voce di chi - a una decina di chilometri in linea d'aria - continuava a scendere in piazza e a scontrarsi anche violentemente con la polizia; entrambi il lancio ufficiale della campagna elettorale per le amministrative previste per marzo e per "il rispetto della volontà nazionale".
L'opposizione tra "noi" e "loro" (manifestanti e teppisti), tra maggioranza nelle urne e agenti provocatori di ogni tipo - media internazionali (Erdoğan ha citato Bbs, Cnn e 'Reuters'), gli stranieri che hanno partecipato alle manifestazioni, stati invidiosi dei successi economici e politici della Turchia - che hanno agitato gli animi e fornito all'opinione pubblica un'immagine distorta della realtà, tra governo che garantisce la legalità e prepotenti - comprese le opposizioni interne - che cercano di sovvertirla, è stata il filo conduttore di un discorso-fiume: due ore in cui il premier ne ha avute per tutti.
"Se i media internazionali vogliono dare un'immagine autentica della Turchia, questa immagine è qui": qui, non nel parco Gezi e a piazza Taksim; e ancora: "hanno provato a destabilizzare il nostro paese, ma non ci riusciranno mai". Ha invitato a vergognarsi chi ha parlato oggi di Primavera turca: perché non sanno che "la Primavera turca è iniziata il 3 novembre 2002", riferendosi alle riforme - graduali e legali, senza ricorso alla violenza - che il suo governo ha realizzato per smantellare il precedente regime autocratico militarista.
Un discorso tutto politico: per l'appunto da leader di partito più che da statista; un discorso in cui ha rivendicato la correttezza della linea seguita dal governo, fermezza in piazza e apertura di linee di dialogo coi manifestanti legittimi (anche in questo caso opposto ad organizzazioni estremiste che si sono date alla guerriglia urbana): fino alla proposta di un referendum per decidere le sorti del parco, originario motivo del contendere. "Il vero problema però non è il progetto sul parco ma il destino della Turchia", ha proseguito Erdoğan: che ha esplicitamente tracciato una linea di continuità tra l'attacco alla sede dell'Akp di Ankara a marzo rivendicato dal gruppo di estrema sinistra DHKP/C, l'attentato sanguinoso con autobomba a Reyhanlı il mese scorso e le proteste violente di Taksim istigate da "organizzazioni terroristiche" (in effetti, alcune organizzazioni illegali avevano i loro vessilli in piazza)
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