La sera del 18 gennaio 1977, il giuocatore di calcio Luciano Re Cecconi entrò in una gioielleria di una tranquilla zona di Roma. Mimando una pistola con le mani in tasca, disse scherzando: “Questa è una rapina!”. Il gioielliere gli sparò e lo uccise.
Io dovevo ancora compiere 8 anni, ma ricordo bene quella notizia. Il 1977 fu un anno pieno di ammazzamenti, terrorismo, carro armati per le strade, eppure quell’assassinio mi turbò particolarmente. C’erano un sacco di cose che non capivo. Come si poteva fare uno scherzo del genere? E come era possibile mimare una pistola con la mano in tasca? Perché il gioielliere reagì così precipitosamente? E infine: che razza di cognome era “Re Cecconi”? Tutto era assurdo e confuso nella mia testa. E soprattutto cupo, oscuro, angosciante. Fu la prima volta in cui il calcio entrò nella mia vita.
Graziani (a sinistra) e Pulici festeggiano lo scudetto del 1976
A quell’epoca mio padre comprava “Il Giorno”, il giornale già di Enrico Mattei, schierato a centro-sinistra e a cui “La Repubblica” avrebbe rubato presto tanti lettori (tra cui mio padre). Per distinguersi dall’istituzionale e concorrente “Il Corriere della Sera”, “Il Giorno” aveva una grafica moderna: grandi foto, titoli a colori ed un supplemento speciale dedicato allo sport che usciva il lunedì. E fu proprio sulla copertina di quel supplemento, appoggiato sul tavolo di fòrmica della cucina, che una luce squarciò le tenebre e colpì per sempre il mio cuore di bambino, ribaltando la mia percezione del giuoco del pallone. Su quel giornale, il 14 febbraio 1977 c’era la foto di un eroe omerico: Francesco Graziani.
Il giorno prima la sua squadra, il Torino, aveva vinto 3-2 a Genova contro la Sampdoria. Graziani era stato ferito al mento durante uno scontro di giuoco, ma nonostante questo aveva segnato tre goals. Nella foto aveva l’espressione un po’ stravolta, come un guerriero dopo una battaglia: i capelli biondi spettinati, il viso congestionato, la ferita cucita con qualche punto di sutura applicato lì per lì. Fu così che Graziani divenne il mio eroe ed il calcio una passione senza fine.
Sposando Graziani, sposai anche la sua squadra: il Torino. All’epoca i “granata” erano Campioni d’Italia nonché i favoriti per la vittoria del campionato in corso (1976-77). Ben presto scoprii però che – come in ogni racconto d’eroi – Graziani ed il Torino avevano un perfido nemico: la Juventus ed il suo attaccante più forte, Roberto Bettega.
Roberto Bettega con la maglia della Juventus
Le due squadre non potevano essere più diverse: outsider per definizione, combattente, “operaio” il Torino; istituzionale, elegante e predestinata alla vittoria la Juventus. Anche Graziani e Bettega rappresentavano perfettamente quell’antitesi: sgraziato ed esuberante il primo; leggiadro ed “aristocratico” il secondo. Graziani aveva i capelli arruffati, Bettega li aveva brizzolati e ben pettinati. Graziani era Ettore, eroe dei Troiani: Bettega era Achille, paladino dei Greci.
Il campionato 1976-77 fu effettivamente epico: Juventus e Torino si fronteggiarono in un duello senza respiro, decisamente superiori ad ogni altra squadra. Io mi appassionai a quella sfida come ad un racconto epico che mi si svelava domenica dopo domenica: Ettore contro Achille, Troiani contro Achei. Dopo continui sorpassi, le due squadre si ritrovarono appaiate in cima alla classifica a quattro gare dalla fine. Ma gli Dei avevano già deciso proprio così come nell’Iliade: alla terzultima giornata il Toro non andò oltre il pareggio in casa della Lazio, mentre la Juve superò il Napoli. Fu lo scatto decisivo: il Torino raggiunse i 50 punti (su 60 disponibili), ma la Juve arrivò a 51….e si laureò Campione d’Italia. Graziani segnò 21 gol (in 30 partite), lottando fino all’ultimo sangue proprio come Ettore, ma Bettega-Achille, la personificazione stessa dei più nobili valori dell’eroe per antonomasia, era colui che gli Dei avevano predestinato alla vittoria e la loro volontà fu fatta.
Il momento magico del Toro finì lì. Così come accadde a Troia, la sua gloria si spense quell’anno per non tornare mai più (almeno finora..). Ma Graziani, al contrario di Ettore era più vivo che mai ed aveva una carriera davanti. Rimase al Torino e rafforzò la sua posizione di titolare nella Nazionale italiana. Ma quello che non poteva sapere è che sulla sua strada avrebbe incontrato altri Achille…
Nel 1978 si disputarono i campionati mondiali di calcio in Argentina. L’Italia era in via di rifondazione, affidata alla guida di Enzo Bearzot. Graziani era titolare, proprio accanto a Bettega. Nella stagione appena conclusa, aveva segnato “solo” 11 gol, ma il suo posto non sembrava in discussione. In preparazione per il Mundial, la Nazionale affrontò la Jugoslavia in amichevole il 18 maggio 1978. La partita si concluse 0-0 e gli azzurri uscirono tra i fischi dopo una prestazione assai deludente che lasciava presagire una veloce eliminazione.
Il 2 giugno l’Italia esordì contro la Francia e Bearzot se ne uscì con un colpo di scena: fuori Graziani e dentro Paolo Rossi che aveva disputato solo 2 partite in Nazionale. Anche chi non sa di calcio, conosce Paolo Rossi e può immaginare come andò a finire: Rossi divenne “Pablito” nonché il volto di quell’Italia giovane e spettacolare che giunse brillantemente quarta, meritando forse di più. Nella partita vinta contro l’Argentina, lui e Bettega confezionarono un gol, la cui trigonometrica perfezione, pari alla cupola del Brunelleschi, era l’evidente prova che i due erano baciati dagli Dei dell’Olimpo (vedasi video). L’Ettore-Graziani aveva incontrato sulla sua strada un altro Achille, un altro predestinato, un altro eroe a cui tutto andava per il verso giusto perché gli Dei erano con lui.
Anche se è difficile abbracciare il destino di chi è pateticamente votato alla debacle, io rimasi vicino a quell’eroe sconfitto e per questo così umano, provando simpatia per le squadre in cui militava. Nel 1981 Graziani passò alla Fiorentina dove ancora una volta fu protagonista di una storica impresa incompiuta: nel campionato 1981-82 la Fiorentina giunse seconda, ad un solo punto dalla Juventus…
Evidentemente frustrato da tante battaglie perdute contro Achille ed i suoi Greci, Graziani subì una metamorfosi: da centrattacco puro, protagonista e padrone dell’area di rigore, si trasformò nel “generoso” Graziani. Ossia in un prezioso gregario, una valida spalla per l’attaccante di spicco, per la star incaricata di metterla dentro e prendersi gli applausi, insomma per l’Achille di turno. Questa mutazione gli consentì di ritrovare un posto da titolare in Nazionale affianco a Paolo Rossi. Era la Nazionale che disputò e vinse i Mondiali di Spagna del 1982.
Una raffigurazione del combattimento tra Ettore ed Achille
A quei Mondiali, Graziani segnò un gol, fra l’altro decisivo per il passaggio del turno della prima fase (contro il Camerun), ma nessuno si ricorda di lui. Gli eroi celebrati e i momenti consegnati alla Storia furono altri: i gol di Paolo Rossi, l’urlo di Tardelli, le corse di Bruno Conti…chi si ricorda di Graziani, il cui nome veniva sempre preceduto dall’aggettivo “generoso” quasi a consolarlo di essere solamente una seconda figura? Come Ringo Starr nei Beatles, come Bill Wyman nei Rolling Stones. Nella storica finale contro la Germania Ovest, quasi che gli Dei volessero ricordargli quale fosse il suo destino, s’infortunò alla spalla e fu costretto ad uscire dopo soli 7 minuti…
Un ultimo incontro con Achille attendeva Graziani, questa volta a Roma dove si trasferì nel 1983. Era la “magica Roma” di Niels Liedholm che aveva appena vinto il suo secondo scudetto sopravanzando l’odiata Juventus. Le vicende calcistiche di Graziani s’intrecciavano con quelle juventine con una puntualità e ricorrenza che aveva l’apparenza di un disegno dei bizzosi ed eccentrici Dei descritti da Omero. Anche per questo, mi innamorai della Roma: il destino di Ettore era ormai un filo rosso che mi accompagnava nel bene e nel male. Nelle fila della “magica” giuocava l’”ottavo Re di Roma”, sua Maestà Paulo Roberto Falcao, brasiliano atipico, elegante, talentuoso, uno di quei giuocatori che sembrano non sudare mai e invece danzare sopra e oltre la volgarità del giuoco del pallone…l’ultimo Achille sulla strada di Graziani…
L'ottavo Re di Roma, Paulo Roberto Falcao
L’obiettivo della Roma di quell’anno è di quelli grossi: la Coppa dei Campioni, la cui finale si disputerà proprio nella Capitale. Con Falcao in squadra tutto appare possibile: Falcao è Achille e gli Dei sono con lui. Graziani, da buon gregario, fa la sua parte e la Roma riesce a raggiungere la finale. E’ mercoledì 30 maggio 1984 allo stadio Olimpico di Roma. In tribuna c’è anche il Presidente Pertini. L’avversario è il Liverpool che aveva vinto 3 delle ultime 7 edizioni. L’evento è di quelli che segnano la storia calcistica di una generazione di tifosi.
La partita è molto tesa e brutta, come spesso lo sono le finali. Gli inglesi vanno in vantaggio subito, ma un gol di Pruzzo riporta la Roma in parità prima dell’intervallo. Poi non accade più nulla e si giunge ai fatidici calci di rigore. I rigori sono un esercizio più psicologico che tecnico. Ed è per questo che tra i cinque rigoristi designati, c’è sempre quello più esperto e/o il leader della squadra. Di solito calcia per primo, proprio per infondere coraggio ai compagni, perché questo è ciò che distingue gli eroi.
Ma Falcao non è il primo a presentarsi sul dischetto, né il secondo, né il terzo…Dopo il quarto rigore tirato dagli inglesi, la situazione è di 3-2 per loro e tocca ad un romanista: se la palla va dentro tutto rimane in parità, altrimenti il Liverpool avrà il match-ball. Falcao ancora si nega ed allora a prendere il pallone e dirigersi verso il dischetto è lui: “il generoso” Graziani.
Graziani si avvia verso la porta con l’aria di chi sa già cosa accadrà, di chi va incontro ad un destino già scritto, cammina dal cerchio di centrocampo verso il dischetto con l’aria di Ettore…Graziani sistema il pallone, prende la rincorsa: qualche piccolo passo e poi un’ultima larga falcata, come chi ha fretta di abbreviare il supplizio. Il portiere è spiazzato, ma la palla schizza la traversa e finisce tragicamente alta….
Il rigore di Graziani in Roma-Liverpool
Il rigore seguente lo calcia Kennedy e la mette dentro: il Liverpool è campione e la Roma perde la sua finale. Ettore ha perduto ancora una volta. Ma ancora una volta lo ha fatto con coraggio, sfidando gli Dei ed il destino a testa alta.
Achille questa volta era al suo fianco, ma questa volta è rimasto nascosto, lontano dalle prime file, timoroso di sguainare la spada e lanciarsi indomito dove si decidono le sorti della battaglia. Per essere un eroe e per compiere il glorioso destino che gli Dei hanno apparecchiato, anche Achille deve mostrare valore ed audacia: non basta essere un “predestinato”, non basta essere eleganti, talentuosi, principeschi. Il destino va compiuto, anche se sei il prediletto degli Dei. Quella sera Francesco Graziani fallì il rigore decisivo, ma quella sera fu un eroe, il mio eroe.