Dunque è durato appena due mesi il tempo della “tregua” sull’annosa querelle della toponomastica. La legge provinciale approvata il 20 settembre aveva illuso tutti quelli che di questo tema vorrebbero non sentir più parlare (crediamo si tratti della maggioranza degli abitanti di questa provincia). La sua impugnazione, operata dal governo centrale su allarmata sollecitazione degli esponenti del centrodestra locale, spedisce invece alla Corte costituzionale un testo giudicato lesivo del principio del bilinguismo garantito dallo Statuto di autonomia e adesso bisognerà attendere nuovi, sicuramente agitati sviluppi. Intanto, chi si era stracciato le vesti – oltre ai suddetti esponenti del centrodestra “italiano” anche gli oltranzisti “tedeschi” – adesso torna a sorridere sollevando la poco credibile speranza che una delle parti abbia la peggio.
Sembra peraltro assai dubbio che il ricorso alla Corte costituzionale possa rivelarsi utile a smorzare il contrasto pronto a riaccendersi in ogni istante, come s’è visto. Il rischio, molto concreto, è che l’intervento “esterno” della Consulta sia inteso come l’ennesima ingerenza nazionalista da chi è sempre pronto a considerare con scetticismo tutto quello che proviene da Roma; oppure, sul fronte opposto, come l’improbabile riaffermazione di un principio in grado di limitare l’autonomia e le decisioni delle sue istituzioni più rappresentative, in questo caso la giunta provinciale. Per uscire dall’impasse occorrerebbe riconoscere di aver prodotto qualcosa di discutibile, reagendo al rigetto del governo con un rinnovato spirito di mediazione.
La legge sulla toponomastica non avrebbe dovuto chiudere soltanto una contesa decennale su un aspetto tutto sommato marginale, ancorché simbolicamente rilevante, del nostro modello di convivenza; avrebbe dovuto soprattutto mostrare che le principali questioni legate alla gestione delle competenze acquisite dalla provincia potevano essere risolte in loco, senza causare ulteriori tensioni e relativi interventi, diciamo così, extraterritoriali. Gli ultimi mesi hanno visto invece purtroppo emergere elementi di una crisi del “sistema” tali da intaccarne in profondità lo smalto. È un po’ come fallire un esame che richiedeva conoscenze ormai metabolizzate, mentre già si pensava di potersi dedicare a compiti ben più ambiziosi. Se poi aggiungiamo che il governo tecnico si sta dimostrando alquanto insensibile riguardo alla nostra specificità, il quadro si fa ancora più fosco. A meno di un anno dalla fine della legislatura, il rendiconto minaccia di risultare complessivamente e pericolosamente molto deludente.
Corriere dell’Alto Adige, 21 novembre 2012