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L’esperienza mistica di Bertrand Russell

Creato il 29 novembre 2013 da Uccronline

Bertrand RussellRidurre il pensiero del celebre Bertrand Russell alla sciocchezza della teiera celeste è un’umiliazione per lo stesso filosofo gallese. Attraverso tale provocazione Russell pensava di dimostrare che l’onere della prova sull’esistenza di Dio spetta a chi afferma la sua esistenza e non, invece, allo scettico. Altrimenti, sosteneva, bisognerebbe dimostrare anche l’inesistenza di una teiera celeste in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica e troppo piccola per essere rivelata dal più potente dei nostri telescopi.

Vissuto in epoca positivista Russell parlava evidentemente di dimostrazione scientifica ignorando che nemmeno nella scienza (e nella matematica, che è il linguaggio con cui si esprime) è vero solo ciò che è dimostrato. In secondo luogo è evidente che se l’esistenza di Dio si potesse provare attraverso il metodo scientifico, allora Dio sarebbe necessariamente parte della Sua creazione, come la teiera, e dunque non potrebbe più esserne il Creatore ultimo.  Inoltre, è arduo pensare che l’ipotesi dell’esistenza di una teiera celeste stia su un piano di parità con l’ipotesi della sua inesistenza, così come nessuno si sente in dovere di confutare i milioni di cose improbabili che una fantasia fertile può concepire. L’importante non è se Dio sia confutabile o no (e non lo è), ma se Dio sia probabile o no, ed è molto più probabile che l’ordine, la regolarità e la bellezza del cosmo rispondano ad una Causa prima, rispetto all’esistenza di un topino fatato o della teiera in orbita. Non a caso nessuno crede davvero alla teiera o è ad essa agnostico, mentre tanti credono a Dio o sono agnostici rispetto ad esso, riconoscendone comunque una plausibilità.

Infine, se a questo punto come obiezione si postulasse l’esistenza di un unicorno rosa anch’esso al di fuori del tempo e dello spazio, dunque non indagabile dalla scienza (che non può indagare ciò che è meta-fisico), e creatore onnipotente di quel che esiste, si starebbe semplicemente teorizzando ancora una volta Dio, anche se usando un altro nome e dandogli una forma precisa. L’obiezione cadrebbe nel vuoto, sarebbe ridondante.  L’obiezione della teiera, in ogni caso, non vale per i cristiani i quali non credono al dio di Albert Einstein e dei deisti ma al Dio rivelato da Gesù Cristo: «Dio nessuno l’ha mai visto. Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Tra noi e Dio c’è di mezzo il testimone eccezionale chiamato Gesù.

Avendo sbagliato analogia, Russell non ha affatto mostrato a chi spetta l’onere della prova, dilemma risolto dall’argomento del consenso comune. Ovvero, è sull’accusa e non sulla difesa che grava l’onere della prova, come dicono i giuristi: la negazione dell’esistenza di Dio è un fenomeno recente e sostenuto da poche persone rispetto alla mole degli uomini credenti che si sono succeduti sulla Terra; non solo loro a doversi giustificare ma è il non credente che deve trovare motivi per negare una realtà che contrassegna tutti gli uomini di tutti i tempi. Come affermava Alexis de Tocqueville: “l’irreligione è un accidente, solo la religione è lo stato permanente dell’umanità”. Si potrebbe anche dire: è “l’eccezione” che va giustificata, non la “normalità/consuetudine”. Oltretutto, c’è un’altra cosa da sottolineare e lo ha fatto il filosofo Umberto Eco dicendo: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p. 23).

Torniamo però a Bertrand Russell, sottolineando un recente articolo sul “Guardian” dove per l’appunto si specifica che la sua scrittura sulle tematiche etice e religiose mancava dell’originalità e della raffinatezza rispetto alla sua opera filosofica sulla matematica. Nonostante fosse un uomo molto intelligente supportò l’eugenetica di Francis Galton e sostenne diversi luoghi comuni contro le religioni, oggi ripresi dagli anticlericali di professione. Tuttavia nella sua autobiografia ha rivelato di tanto in tanto un rapporto più complesso e ambivalente alla religione. In particolare descrivendo un episodio del 1901, quando assistette la moglie del suo collega di Cambridge, Alfred Whitehead, sofferente di problemi di cuore. Tale esperienza causò a Russell una sorta di visione spirituale: «Il terreno sembrava cedere sotto di me e mi sono trovato in un’altra regione», ha scritto. «Nel giro di cinque minuti sono passato attraverso a diverse riflessioni come il fatto che la solitudine dell’anima umana è insopportabile; nulla può penetrarla tranne la più alta intensità del tipo di amore che gli insegnanti religiosi hanno predicato».

Tale visione (indimostrabile ma a cui lui credette immediatamente, giusto per sottolineare) fu così potente che lui divenne «una persona completamente diversa». Anche se questa «intuizione mistica» è poi sbiadita di fronte ad una vecchia «abitudine di analisi», i suoi effetti -ha scritto-, «sono rimasti sempre con me, modificando il mio atteggiamento durante la prima guerra, il mio interesse nei bambini, la mia indifferenza per disgrazie minori e un certo tono emotivo in tutti i miei rapporti umani». L’aver vissuto imbevuto di un’atmosfera iper-positivista non lo ha purtroppo aiutato a far emergere le sue significative intuizioni.

La redazione


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