In questi giorni sto leggendo più libri in contemporanea, e uno mi sta dando filo da torcere, perché particolarmente difficile, nel senso di doloroso. Ma ne parlerò in seguito, quando l’avrò assimilato.
Perché allora questa premessa? Perché avverto tra “quel” libro e il romanzo di Marisa Salabelle una sorta di legame intimo, di connessione, quel ponte che talvolta si riesce a gettare tra un libro ed un altro, pur non essendoci somiglianze reali tra autore, lingua, storia o ambientazione. Quindi un altro giorno ci sarà Marie, e oggi vi parlerò di Efisia, ma le due- per me- si tengono per mano.
Tutto ha inizio con una fine, squallida e assurda: è il 25 luglio, festa patronale a Pistoia, e due ragazzini trovano in un fosso il cadavere di una donna. Ogni dettaglio –dagli abiti volgari al trucco marcato e sbavato alla miserevole fine- lascia pensare che si tratti di una prostituta. Noi che leggiamo, invece, lo sappiamo da subito: quel corpo sgraziato appartiene a Efisia Caddozzu. E chi sarebbe Efisia? È questo il vero nodo del romanzo, che intreccia percorsi insoliti per delinearne il ritratto: risale al giorno della nascita di Efisia e ne ripercorre la vita, segue le indagini sulla sua morte portate avanti tra sciatteria e noncuranza e ascolta un personaggio collaterale, un giovane giornalista che si impunta per arrivare ad una –seppur parziale- verità, mentre si dibatte in dilemmi amorosi. E da questi sentieri diversi emergono diverse figure di Efisia che è una ma anche tante, almeno nelle testimonianze della gente.
…troppo buona era Efisia, si fidava di tutti, voleva aiutare tutti…
Povera figliola, tanto buona, ma così bruttina!
Signorina Cadozi molto stronza! Io spero che morta.
So che quello che sto per dire sarà strano. Ma veramenti signora Caddosi una donna molto cattiva.
– Pensa che insegna, fa volontariato, si occupa del padre invalido, senza mai sgarrare; è un panzer, ti dico. E intelligente, anche.
– Non ha una famiglia sua?
– No, e chi vuoi se la pigliasse con quella faccia…
Perché può avere tante qualità o mille difetti, Efisia, ma soprattutto è brutta. Violacea e data per morta appena nata, sgraziata e brutta da bambina, brutta, sgraziata e tettona, da giovane adulta. E si sa come va il mondo, per le brutte non è mai facile. Non attirano coccole e vezzeggiativi quando sono piccole –e già che da una famiglia come la sua, anche bella, avrebbe ricevuto poche gentilezze- non diventano “popolari” tra le compagne a scuola, non attirano gli sguardi dei ragazzi e degli uomini. Eppure Efisia ce la fa, studia, va avanti, esplora il mondo con curiosità, fa politica, si immerge nel volontariato, è una stimata maestra elementare.
E non trascura il lato sensuale della vita, lei, così brutta: il sesso la attrae, senza complessi né rimorsi, dà piacere e ne riceve senza complicazioni, senza preoccuparsi della morale o del “cosa penseranno”. Lei, l’integerrima maestra e uno, due, tanti negroni (non intendiamo qui l’aperitivo, sia chiaro) che non vedono i suoi difetti, ma solo la sua disponibilità senza remore, perché “la signorina Caddozzu quando si tratta di extracomunitari ci ha il debole, basta guardare con quell’albanese”.
Ed è sicuramente per quello che è finita male, lo pensano tutti quelli che dicono di conoscerla, e lo pensiamo anche noi, leggendo. È colpa dell’albanese, quel malandrino che la sfruttava, sessualmente e non solo, e che ora è scomparso.
Ma la verità è sempre altrove, ci prende in giro nascosta dietro una delle tante maschere, e la scopriremo solo noi e solo nelle ultime pagine.