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L'estate di Kikujiro

Creato il 07 aprile 2014 da Jeanjacques
L'estate di Kikujiro
In gita scolastica possono capitare molte cose. A me infatti, in terza superiore, è capitato di dover coprire le spalle a un compagno di camera ubriaco che aveva finito per vomitarsi addosso, coprendolo coi professori come solo un abile fanfarone saprebbe fare. In seconda superiore invece mi capitò di andare a Milano con la scuola e, oltre al fatto che quella mattina stessa conobbi una decerebrata in grado di sputtanarmi per mezza città, capitai in un tabacchino della capitale della moda e trovai un dvd a cinque miseri €uri. Che insomma, per quella gita mi ero portato dietro trenta sacchi, e i venticinque restanti li spesi poi alla gigantesca Feltrinelli che c'era vicino al Duomo - che per inciso, davanti a me alla cassa c'era un nazi che si era comprato il Mein Kampf. Comunque, il dvd era proprio questo del film qui recensito, L'estate di Kikujiro, film del quale non avevo mai sentito parlare ma che avevo comprato sulla fiducia, oltre che per il sottocosto allucinante, anche perché il nome del buon Kitano è sinonimo di garanzia, il più delle volte. Era un regista che non avevo avuto modo di conoscere particolarmente, ma quel poco di suo che avevo visto mi era piaciuto un sacco.
Il piccolo Masao è rimasto l'unico bambino nella sua cittadina, poiché tutti gli altri sono partiti per le vacanze. Uno strambi signore, amico di famiglia, si offrirà di portarlo in vacanza, anche se il vero scopo è quello di trovare la madre del piccolo...

Mi piace parlare del poliedrico artista nipponico [è infatti comico, cabarettista, pittore, attore, presentatore, scrittore, ideatore del programma tv Takeshi Castle, regista, sceneggiatore, attore e pittore, infatti è sua la celebre frase: "Non sono bravo in nessuna delle cose che faccio, ma nessuno è bravo a farne così tante come me"] con questo film, perché nella sua produzione è quello più atipico. Non ci sono atmosfere tristi, scenari violenti o immagini disturbanti. E' una storia ai limiti della semplicità e della banalità, ma raccontata con una delicatezza e un'ironia tale da diventare pura poesia. Perché forse a una prima occhiata può sembrare che questo film non parli di nulla, ma alla fine fa più di molti altri. Questo film parla di vita, di delusioni e dell'imparare ad affrontarle. Sempre con un sorriso sulla bocca, ma senza moralismi o perbenismi vari. E' una storia fin troppo semplice, un road movie forse un po' zuccheroso che però riesce a spiegare quanto l'esistenza di una persona possa essere dura. Durante quel viaggio il piccolo Masao ne vedrà di tutte, incontrerò addirittura un pedofilo, finendo per essere salvato all'ultimo. incontrerà l'indifferenza della gente, le speranze infrante di un ladro poeta e troverà una conclusione inaspettata. Sarà un processo di crescita accompagnato da un compagno di viaggio forse addirittura più bambino di lui, perché del personaggio interpretato da Kitano (che per tutto il film, tranne alla fine, verrà chiamato semplicemente signore) ci è dato sapere ben poco. Ci viene esplicitato fin da subito che è un po' tocco di mente, e il grande tatuaggio sulla schiena fa intendere che forse in passato è stato affiliato a qualche clan di yakuza - mafiosi nipponici, per chi non lo sapesse. Ma ciò che conta è il suo rapporto alla vita, che si contrappone a quello del bambino. Sono due anime candide anche se in maniera diversa, il bambino perché l'età gli impedisce di comprendere certe cose, il signore perché quella sua ingenuità gli permette di vedere col sorriso certe cose. Ma non si tratta di un esaltazione di quel modo di veder,e perché a conti fatti il signore è un perdente. Uno che in qualche maniera è stato schiacciato dalla vita, come molti altri prima di lui. Il suo modo di vedere la vita non è una scelta, ma una necessità, altrimenti la pressa che lo a fatto cadere così a fondo rischierebbe di appiattirlo ancora di più. E quindi i due bambini, uno anagraficamente e l'altro in senso filosofico, viaggiano, fanno incontri e scoprono che, tutto sommato, sotto quintali di merda l'esistenza ha ancora qualche sorriso felice per loro. Ed è proprio in questo la forza del film, nel riuscire a far sorridere senza esagerare troppo, perché la risata è sempre veicolata a quello che vuole essere il senso finale del film, ottenendo così un'opera semplice, compatta e sincera. Un piccolo inno alla vita in tutte le sue forme, anche se non così esplicito o edulcorato come molti suoi simili o antesignani. Fanno da contrappunto poi le splendide musiche di Joe Hisaishi, collaboratore storico di gente come Hayao Miyazaki, che con pezzi come questo sa dare tutto il senso di fanciullesca ingenuità della pellicola. Ma è anche un atto d'amore verso le figure paterne, poiché Kikujiro, il nome del signore, non è altro che quello del padre di Kitano stesso, un ubriacone violento dal quale il regista ha preso ispirazione per il suo personaggio.

La prova che la semplicità non sempre va a braccetto con la banalità. Questo forse non è un film imperdibile, ma di sicuro fa bene al cuore. Ergo, ne consiglio la visione!Voto: ★½L'estate di KikujiroL'estate di KikujiroL'estate di KikujiroL'estate di KikujiroL'estate di KikujiroL'estate di Kikujiro

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