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L'età del Rame in Sardegna
di Pierluigi Montalbano
Nel processo di sviluppo delle comunità protosarde, le miniere hanno indubbiamente esercitato un ruolo primario. Nel Sulcis sono presenti le strutture geologiche più antiche dell'area mediterranea. Fin dal Neolitico, le risorse minerarie della Sardegna erano ambite da popoli già socialmente ed economicamente evoluti che dal nord Africa, dalla penisola iberica, dall’Europa e dalle regioni orientali, avviavano grandi migrazioni e colonizzazioni nel bacino mediterraneo, raggiungendo le estreme regioni occidentali e transitando in Sardegna. La prima grande risorsa geomineraria a essere sfruttata in Sardegna fu l’ossidiana, un composto di lava vitrea di colore nero e notevole durezza, presente nei giacimenti del Monte Arci, nel territorio di Oristano. L'uomo del Neolitico utilizzava l'ossidiana per realizzare armi, utensili e oggetti d'uso comune, indispensabili per le esigenze della propria vita.
Nel Mediterraneo sono testimoniati appena cinque giacimenti rilevanti di questo prezioso materiale, tutti in isole: Melos (Egeo), Pantelleria, Lipari (Eolie), Palmarola (Ponziane) e Sardegna. Per millenni questa rara materia prima percorse le rotte del Mediterraneo, raggiungendo i mercati dell'Africa settentrionale, dei Balcani, della penisola Italica, dell'Iberia e della Provenza. Solo la successiva scoperta dei primi metalli, rame e stagno, indusse l'uomo ad accantonare progressivamente l'uso delle pietre dure.
Nel periodo di passaggio dal Neolitico al Bronzo, le armi e gli utensili di rame svolsero un ruolo subordinato in confronto a quelli in pietra, perciò quest'epoca è chiamata Età del Rame, (anche Eneolitico o calcolitico). Gli inizi della metallurgia in Sardegna risalgono al periodo della cultura di Ozieri, evolvendosi nel periodo delle culture di Abealzu, Filigosa e Monte Claro, dove le tracce della lavorazione del rame diventano sempre più frequenti.
Si producono anche pugnali che vengono colati in forme e induriti a colpi di martello. Fra i corredi tombali della cultura del vaso campaniforme troviamo oggetti realizzati in una lega di rame e arsenico che presentava un maggiore grado di durezza. Il passo successivo, quello cioè di aggiungere al rame alcune parti di stagno per ottenere un bronzo di durezza notevolmente maggiore, ci è noto in Sardegna solo al termine della cultura Bonnannaro, ossia intorno al XVII a.C. A questo periodo sono testimoniate una serie di spade triangolari in rame arsenicato, portate alla luce da Ugas in una tomba di Decimoputzu.
La prova più antica di una lavorazione locale di minerali di piombo ci è fornita da una ciotola in stile Monte Claro rinvenuta presso Iglesias, aggiustata con graffe di piombo proveniente dai giacimenti di galena situati nei dintorni di Iglesias. (Ugas 2006)
Funtana Raminosa, la più grande miniera di rame della Sardegna, si trova invece nella valle al confine fra il Sarcidano e la Barbagia di Seulo. Sul vicino altopiano, a Laconi, si sono rinvenute le prime statue-menhir della Sardegna, sulle quali sono raffigurati pugnali di metallo. Al di sotto della linea della cintola, spicca un doppio pugnale a lame triangolari con impugnatura centrale. Il tridente rappresentato sul petto dei menhir simboleggia una figura umana capovolta: un morto. L'area di rinvenimento delle statue-menhir di Laconi dista meno di 8 km in linea d'aria dai giacimenti di calcopirite, galena e blenda di Funtana Raminosa, nei monti del Sarcidano, lungo il versante occidentale digradante del massiccio delle Barbagie di Belvì e Seulo.
Alla cultura di Ozieri appartengono anche un pugnale e alcune verghe di rame, portate alla luce in una capanna di Cuccuru Arrius di Cabras e un paio di anelli d'argento dalla tomba V della necropoli di Pranu Muttedu di Goni. (Atzeni 1981). La comparsa del metallo e l'inizio della metallurgia si verificò contemporaneamente in Sardegna, in Corsica e in Sicilia dove le prime scorie di rame, ancora aderenti alla parete di un crogiuolo, sono state raccolte nello strato della facies di Diana sull'Acropoli di Lipari. (Thiemme 1980).
È ragionevole ritenere che anche nelle isole si sia verificato un radicale cambiamento degli equilibri consolidati che segnò il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico. La diffusione del metallo fu la causa della diminuzione di interesse nei confronti dello sfruttamento e della circolazione.
Alla metà del II Millennio a.C. si arriva alla cultura di Monte Claro che si articola in facies locali: meridionale, oristanese, nuorese e settentrionale. Il patrimonio culturale è ricco ed elaborato, con numerosi insediamenti in grotta e all'aperto, deposizioni in tombe a fossa, a forno, a cista e megalitiche, sempre con rito inumatorio. Lo strumentario di selce e di ossidiana è scarso e l’eccezionale fioritura della facies di Monte Claro è forse spiegabile con un’economia agricola in ripresa, con un incremento delle attività pastorali e con l’avvio allo sfruttamento delle risorse minerarie dell'isola che inseriscono a pieno titolo la Sardegna nelle rotte di prospezione mediterranea, innescando un processo economico ed evolutivo di vasta portata.
Nell'immagine alcuni manufatti in rame della cultura di El Argar. La fonte è all'interno della foto.
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