Recentemente, mi sono imbattuto in un interessante articolo firmato Carlo Cambi riguardante le differenze teologiche ed ispirative dei modelli di sviluppo economico tra Europa del Nord ed Europa del Sud. Il tema non manca di attualità e di interessanti spunti, anche alla luce della recente crisi economica e sociale che sta investendo più di un Paese europeo, queste considerazioni restano più che mai attuali.
Sarà capitato a moltissimi lettori di incontrarsi e scontrarsi con analisi e letture dalle quali emerge un problema non banale riguardante l’accezione di due termini chiave: Liberalismo e Capitalismo. Il primo termine soprattutto nel XIX e XX secolo è stato oggetto di utilizzo da parte dei soggetti più disparati e per certi versi posti agli antipodi; tanto che il termine liberale oggi suona più come un appellativo indefinito cui necessariamente debba esser seguito dall’immancabile aggettivo qualificativo specifico, per cui si passa dal Liberalismo Conservatore addirittura al liberalsocialismo di estrazione culturale e “sociale” completamente diversa. Questa moltitudine di sfaccettature che un singolo termine porta in sé sarebbe quasi ironica se non facesse trasparire tutto l’opportunismo che molto spesso cela.
Il fenomeno citato rispecchia quanto accaduto in Italia a partire dalla sua unificazione, partendo dallo stesso Cavour e passando per i vari Gioberti, Einaudi, il prof. Federico Caffè, tutti personaggi eterogenei di diversa estrazione culturale e sociale su cui loro stessi solleverebbero qualche riserva sulla casacca a loro attribuita. Si è avuta una fase anche nel periodo della “Seconda Repubblica” italiana, in cui definirsi un Liberale era quasi un obbligo morale, questo valeva anche per chi di liberale aveva ben poco. Il processo descritto ha generato enorme confusione, soprattutto culturale, tanto che ormai il significato della parola “liberale” assume gli aspetti più disparati. Analisi del tutto complementare la si può riscontrare nella parola “capitalismo”, che a differenza del processo “unificatore” prodotto dalla prima, questa separa ed identifica gli schieramenti, rendendo il panorama politico e culturale più variopinto di opinioni e di idee; tanto che un qualsiasi dizionario non è in grado di raccoglierne le molteplici sfaccettature .
Max Weber nel suo libro “Etica protestante e capitalismo” spiega come la nascita del capitalismo Nordico derivi dalla differente visione del lavoro e della società insite nella religione Luterana e Calvinista rispetto alla religione cattolica dei paesi del Sud Europa, e di come questa visione abbia reso possibile lo sviluppo capitalistico moderno. Le motivazioni “teologiche” scaturiscono dal fatto che per i protestanti i segni evidenti dell’opera della Grazia Divina venivano mostrati, in estrema sintesi sotto alcuni aspetti forse anche parziale, attraverso il successo e la ricchezza. Tutta la cultura cattolica ha sviluppato una grande tradizione di dedizione e di aiuto ai poveri in quanto segno di condivisione della stessa condizione cui era coinvolto Dio stesso attraverso Suo Figlio. L’elemento di fondamentale differenza tra le due visioni del mondo si risolve in un solo singolo concetto: responsabilità dell’azione umana. Nel primo caso essendo la Grazia Divina operante nel mondo, l’errore ed il peccato insiti nell’uomo lo renderebbero “incapace” di migliorarsi, togliendo de facto il peso della responsabilità del lavoro e delle opere, in quanto il peccato dell’uomo viene sanato dalla Grazia essendo l’uomo ontologicamente incapace di cambiare il suo status di “eletto” o “condannato”. Nel secondo caso invece l’opera Divina della Grazia e l’opera dell’uomo collaborano nel mondo, pertanto l’uomo diviene responsabile delle sue stesse azioni non solo verso di sé ma anche nei confronti dell’altro. Questo modo diverso di concepire il mondo inevitabilmente ha prodotto due modi di fare impresa, e due concezioni diverse di capitalismo che molto spesso entrano in contrasto.
La stessa sorte ha toccato l’evoluzione dei fenomeni economici e sociali occidentali dalla riforma ai nostri giorni, gli effetti più evidenti si riflettono sul ruolo e funzionamento dello Stato e delle norme implementate. L’assetto dello stato germanico si alimenta delle necessità prodotte dal modo di fare impresa e dalla diversa concezione del lavoro in quanto espressione del proprio successo teologico e non. Gli elementi normalmente presenti nel mercato quali povertà/ricchezza, produzione/scarsità, vengono influenzati da questa visione del mondo e si assiste a fenomeni completamente nuovi anche a causa del fenomeno dell’industrializzazione a partire dal XVIII secolo in alcuni casi amplificandoli. Erroneamente si crede che sia stata l’industria a provocare i danni ambientali e sociali, a volte volutamente accresciuti altre un po’ marginalizzati. I termini del problema non sono così semplici. L’industria ha semplicemente risposto alla naturale esigenza dell’uomo di soddisfare i propri bisogni sempre crescenti. In questo contesto sono nati gli Stati Moderni e la concezione dell’uomo protestante ha enormemente cambiato il volto dei rapporti istituzionali. Se l’uomo è ontologicamente peccatore ed incapace di cambiare la sua particolare condizione, lo Stato può svolgere egregiamente la funzione di sanatore delle ferite sociali prodotte dall’uomo stesso. Lo Stato moderno è nato ed ha trovato linfa vitale in questo approccio etico-negativo dell’uomo. Questa concezione di stato si è radicata anche nei paesi di tradizione cattolica (Francia, Italia, Portogallo) con moltissime eccezioni particolari (in primis Polonia, Irlanda, Spagna) ma anche in questi sono innegabili le ferite da esso prodotte.
Nella cultura germanica, ma ormai anche in quella anglosassone, anche qui ci sono notevoli differenze, lo stesso Weber, ma poi anche Nietzsche ed Hegel, hanno attribuito allo stato lo stesso ruolo di Dio. Tutte le correnti di pensiero sul ruolo e funzioni dello stato nascono per limitare o aggiungere questo potere, senza mai mettere in discussione l’approccio sulla società e sulla realtà da cui esso si ispira, ovvero che l’uomo faccia solo danni. Paura già espresssa da Pio IX e Leone XIII sui danni che implica l’approccio dello Stato Onnipotente come emerge dall’enciclica Rerum Novarum. A causa di questa visione abbiamo assistito al progressivo aumento del peso ed ingerenza dello Stato nei rapporti sociali e familiari tanto da attribuirsi un potere infinito e cancellando l’esperienza dei secoli addietro in cui la collaborazione tra i ceti e le numerose opere di assistenza create dalla rete delle esperienze dei movimenti religiosi, che hanno invece portato l’europa a brillare nel mondo. Per la legge del contrappasso il seme da cui era originariamente nato il liberalismo francese, getta la maschera e mostra il suo vero volto. La preoccupazione della libertà e dell’uguaglianza non hanno portato affatto alla formazione di Stati Liberali così come originariamente stilizzati dai vari filosofi illuministi. Si è piuttosto assistito ad un passaggio da un sistema dispotico pre-rivoluzione francese ad un’apparente democrazia oligarchico rappresentativa, molto più invasivo dell’assetto precedente.
La Rerum Novarum aveva anticipato il rischio di una deriva autoritaria dello stato cosi come era stato concepito. La funzione dell’impresa e del lavoro non possono essere contrapposte al bene comune di tutti, lo Stato riveste l’autorità sufficiente per dirimere le controversie legali senza porsi gerarchicamente al di sopra del soggetto principale della società, la persona umana. Credo che sia proprio questo il contesto , nel nostro piccolo, in cui si mostrano le macroscopiche differenze a livello europeo, sia tra Nord e Sud dell’Europa che tra le varie estrazioni culturali note (destra e sinistra, ma oramai non hanno più molto senso politico), sia a livello economico che sociale. Lo Stato liberale condannato da Pio IX e l’approccio portato avanti dai “liberali” classici à la Cavour non hanno nulla a che vedere con l’assetto istituzionale di uno stato realmente liberale.