Dopo l'articolo introduttivo del mese scorso in cui si è cercato di fare il punto sullo stato di salute del Postmoderno e di riassumere, anche se in maniera sommaria, lo stato attuale del dibattito che lo riguarda, cercheremo, a partire da questo secondo appuntamento, di addentrarci un po' più all'interno della questione.
Ci sembra allora appropriato partire proprio dall'etimologia e dal significato della definizione Postmoderno e non tanto perché il buon senso suggerisce che, dal momento in cui si decide di parlare di qualcosa o di qualcuno, è corretto quanto prima introdurne il nome e il cognome - il buon senso associato al Postmoderno non è mai una chiave di lettura sufficientemente solida - quanto piuttosto perché, proprio partendo dalla struttura etimologica di quella definizione, è possibile sollevare e - per quanto è possibile - chiarire alcune delle domande più frequenti e impegnative. Postmoderno è un termine composto (come chiunque ha di sicuro già notato), formato dalla particella «post» e dall'aggettivo «moderno». Postmoderno sembrerebbe dunque ciò che apertamente e spregiudicatamente si ritiene successivo al Moderno. E qui troviamo subito la prima difficoltà. A detta di molti detrattori infatti, questa dichiarazione di posteriorità è troppo evidente, troppo marcata, talmente marcata da risultare falsa, poco credibile. In più, non in tanti sono disposti ad accettare che la Modernità possa avere un dopo, che possa finire o interrompersi. Dichiarare di essere successivi alla Modernità è allora una sorta di gioco, uno scherzo impudente e una pretesa vanagloriosa e arrogante. A questo punto bisogna però considerare, una volta di più, che proprio nel gioco, nello scherzo ironico, nell'impudenza ponderata, risiedono alcune delle caratteristiche fondamentali del Postmoderno; nel non riconoscere più nelle certezze moderne alcuna legittimità e consistenza.
L'altra fondamentale ragione di diffidenza sta nel fatto che la definizione di Postmoderno rimane semanticamente ed etimologicamente legata proprio al termine di cui rivendicherebbe così ostentatamente il superamento, in una sorta di mancata rimozione edipica, di stallo controverso, di trauma costante. In realtà entrambe le obiezioni mancano leggermente il loro bersaglio, nel momento in cui non colgono le sfumature delle teorie e delle pratiche artistiche che definiamo Postmoderne. A conti fatti, come evidenzia perfettamente Gaetano Chiurazzi (Il Postmoderno, Bruno Mondadori), essere postmoderno non significa aver superato la modernità e le sue caratteristiche principali, non significa, rigettarla e ripudiarla, ma solo guardare alle stesse problematiche moderne da un'altra angolatura, più distaccata, conscia e consapevole che del tempo è passato, che le prospettive sono cambiate, che il mondo e la storia si sono evoluti, che quanto prima era considerato vero adesso è meno vero, quanto era considerato certo adesso è senz'altro meno certo.
...«postmoderno» indica piuttosto un diverso modo di rapportarsi al moderno che non è né quello dell'opposizione (nel senso dell'«antimoderno») né quello del superamento (nel senso dell'«ultramoderno»).
Per approfondire questo discorso prendiamo in considerazione le tre copie di termini Postmodernità/Modernità, Postmodernismo/Modernismo, Postmoderno/Moderno. Rispettivamente: due epoche storiche, due movimenti artistico-filosofici, due aggettivi di riferimento.
La barriera che separa Modernità e Postmodernità è molto netta. La Modernità è l'epoca che va grosso modo dal XVI secolo all'inizio del XX (da notare che i confini della Modernità non coincidono con quelli convenzionali della Storia Moderna), l'epoca della rivoluzione industriale, del primo capitalismo, del mito e della fiducia nel progresso, nella distinzione dicotomica tra bene e male e nel potere vivificante della ragione, della fede nel procedere lineare del tempo; mentre la Postmodernità è l'epoca che segue, l'epoca segnata dalla rivoluzione «Postindustriale» di Daniel Bell, dalla globalizzazione, dal progresso nel campo delle comunicazioni e dei trasporti, dalla società dei servizi, sempre più liquida e immateriale, dalla crisi delle certezze e delle ideologie.
Il limite che separa Postmodernismo e Modernismo è molto più sfumato invece. Una sfumatura che fa grande differenza. In accordo con le teorie Mikhail Epstein (The Place of Postmodernism in Postmodernity) l'atteggiamento modernista (che si sviluppa tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo), perfettamente visibile nelle avanguardie di primo novecento (dal Surrealismo al Dadaismo, dall'Astrattismo al Cubismo) tende già a mettere fortemente in dubbio il logocentrismo e la razionalità moderna, l'idea di una verità fondante e di certezze incontestabili, dell'idea di progresso come costante autoperfezionamento. Il Modernismo porta alla luce il dubbio, la paura per un progresso fuori controllo, per l'orrore delle guerre, lo sbigottimento, la scissione del soggetto, l'impossibilità di trovare una sola e univoca inquadratura da cui guardare il mondo, lo sbriciolarsi della fiducia nella ragione umana. Tutto questo accompagnato dal senso di tragedia imminente, di terrore per la fine. Il Postmodernismo prenderà le mosse esattamente da questo sgretolamento, accettando il dubbio, l'irrazionalità, l'impossibilità di far combaciare i pezzi di un mondo troppo complesso e irriducibile, convivendo con il molteplice, il multiforme, l'incerto e anestetizzando la paura, scongiurando il senso della fine. L'uomo, il filosofo e l'artista postmoderni, imparano a stare in equilibrio sulla fune, in equilibrio sul baratro. Si sono rassegnati alla mancanza di appigli sicuri che caratterizza l'epoca in cui vivono.
L'atteggiamento generale postmoderno dunque è quello di chi ha rinunciato di buon grado alla ricerca delle certezze assolute e intoccabili e delle verità inappellabili, immergendosi, nella fine, nell'incerto, nell'indefinito, per estrarre solo piccoli brandelli di verità. Il Postmoderno, per dirla con Lyotard è l'epoca della «fine delle grandi metanarrazioni» (La condizione Postmoderna, Feltrinelli), una fine che non porta rimpianti né sofferenze, onestamente e cinicamente accettata e metabolizzata.
Giunti fin qui speriamo, alla fine della seconda "puntata" della nostra rubrica, di aver fatto almeno un minimo di chiarezza su alcuni punti essenziali del concetto di Postmoderno. Se non ci siamo riusciti siamo pronti a prenderci una buona parte della responsabilità. Ma d'altra parte, quella dipenderà forse proprio dal fatto che la troppa chiarezza, così come le certezze troppo certe e le verità troppo gridate, nel mondo in cui viviamo, non hanno più presa né mordente; dipenderà dalla scoperta che molte delle grandi verità Occidentali non sono altro che illusioni, atti di prevaricazione che nascondono la violenza dell'affermazione, celano il sopruso e l'inganno. La troppa certezza è qualcosa di cui dubitare, un bene che oggi, stiamo imparando sempre più a ritenere pericoloso.
Benvenuti nell'incertezza di essere Postmoderni!