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L’Europa degli inganni

Creato il 08 maggio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

piketty

di Alessandro Corneli

Thomas Piketty è l’economista francese che da circa un mese è al centro dell’interesse e del dibattito tra economisti americani. L’edizione francese del suo “Le Capital au XXIe Siècle”, apparsa lo scorso settembre, non fece rumore. L’edizione in inglese, “Capital in the Twenty-First Century”, apparsa a marzo, ha invece scatenato il dibattito tra premi Nobel dell’economia che, a partire dalle colonne del New York Times, non le hanno fatto mancare grandi elogi e le prime critiche. Tra circa un mese sarà disponibile l’edizione italiana (speriamo integrale).

La tesi di Piketty è che il capitalismo favorisce intrinsecamente per sua natura, e quindi inevitabilmente, la disuguaglianza: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. La sua proposta di soluzione è utopistica: una supertassa, applicata da tutti gli Stati, e quindi a livello globale, per ridistribuire la ricchezza. L’analisi è stata condotta su una decina di Paesi che, negli ultimi due secoli, si sono maggiormente sviluppati proprio grazie al capitalismo. Solo per un breve periodo, dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli Anni Settanta del Novecento, le due estremità si sono ravvicinate. È stato il periodo d’oro della classe media, la stessa che, da trent’anni, invece, soffre per la ripresa della legge ferrea del capitalismo: la ricchezza si accumula in poche mani e il polo opposto della povertà si amplia. L’1% della popolazione mondiale (70 milioni di ricchi e super-ricchi) possiede la metà della ricchezza mondiale; la parte bassa della classe media precipita nella proletarizzazione e nell’emarginazione.

La tesi potrà essere discussa anche per i suoi risvolti politici: se la classe media si assottiglia, il sistema democratico si indebolisce. Fatto, questo, che è sotto i nostri occhi da parecchi anni. I riti elettorali non portano a risultati definitivi. Lo stesso potere dei governi, che si misura su base nazionale, perde efficacia e credibilità, come dimostra la loro impotenza di fronte alla recente crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2007-2008.

Oggi, su La Repubblica, è apparso un manifesto/appello, firmato dallo stesso Piketty e da altri 14 economisti di vari Paesi, pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian, che fornisce alcune proposte riguardanti l’Europa.

L’obiettivo dichiarato è quello di “riacquistare il controllo del capitalismo finanziario globalizzato del XXI secolo e di regolamentarlo in maniera efficace”. I destinatari sono i 18 Paesi che fanno parte dell’Eurozona. La premessa è chiara: “Un’unica valuta con 18 debiti pubblici diversi sui quali i mercati possono speculare liberamente, e 18 sistemi fiscali e benefit in competizione incontrollata tra di loro non funziona, e non funzionerà mai. I paesi della zona euro hanno scelto di condividere la loro sovranità monetaria, e quindi di rinunciare all’arma della svalutazione unilaterale, ma senza mettere a punto nuovi strumenti economici, fiscali, e di budget comuni. Questa terra di nessuno è il peggio di tutti i mondi immaginabili”.

Il messaggio è chiaro. L’Europa così com’è non va. Hanno quindi ragione coloroi quali sostengono che l’Europa deve essere cambiata. È un po’ come il capitalismo che, secondo Piketty, favorisce alcuni in modo sistematico e sfavorisce altri in molto altrettanto sistematico.

Prima di elencare le proposte dei firmatari del messaggio, bisogna spiegare perché l’Europa è stata costruita nel modo che sappiamo, partendo dalla moneta unica senza unificare politiche economiche, fiscali e bancarie. La spiegazione è semplice: gli Stati (ovvero i loro gruppi politici dirigenti) hanno voluto conservare il privilegio di favorire i loro supporter economici: elusioni ed evasioni fiscali per alcuni, crediti facili per altri, quindi conservazione di aree di privilegio (a fini elettorali) e negazione di una vera concorrenza a parità di condizioni. Se l’Italia è in particolari difficoltà, rispetto ad altri Paesi, è perché la classe politica è stata più accondiscendente, come dimostra il suo enorme debito pubblico che continua a crescere pur nell’alternanza dei governi.

Veniamo alle proposte di Piketty che partono da un’accoglienza piena del principio di sussidiarietà: “Meno Europa per le questioni nelle quali i paesi membri agiscono bene da soli, più Europa quando l’unione è essenziale”.

Prima proposta: i paesi della zona euro devono condividere la Corporate Income Tax, cioè l’imposta sul reddito d’impresa, attraverso l’istituzione di un’autorità sovrana europea che fissi una base fiscale comune, integrata da una universalizzazione dello scambio automatico delle informazioni bancarie che consenta di combattere i paradisi fiscali esterni all’Eurozona.

Seconda proposta: per dare base politica alla realizzazione della prima proposta, occorre dare vita a una camera parlamentare per l’Eurozona, da cui emanerebbe un ministro delle finanze e cioè un vero e proprio governo, mettendo fine al mito dell’unanimismo.

Terza proposta: mettere in comune i debiti pubblici dei paesi dell’Eurozona, processo in parte iniziato con il Meccanismo europeo di stabilità.

Queste proposte sono condivisibili. Eviterebbero una spaccatura tra una zona con l’euro forte e una zona con l’euro debole. Mettere insieme i debiti in un unico debito pubblico europeo impedirebbe ai singoli paesi europei di continuare a indebitarsi e di favorire la distorsione del credito a favore degli amici e bloccherebbe la speculazione che assale ora questo e ora quel debito pubblico nazionale. L’uniformità del trattamento fiscale, con organismi di controllo non più nazionali, stabilirebbe pari condizioni di operatività e stimolerebbe i capitali verso gli investimenti stabili e duraturi, quindi produttivi.

Adesso anche la Francia chiede un cambio più favorevole tra euro e dollaro. La Germania si oppone e sostiene che non si può toccare l’indipendenza della Bce. Il principio è bello, ma l’indipendenza non equivale all’equità. Nella sua indipendenza,con le sue decisioni, la Bce non può che favorire alcuni e sfavorire altri. È un mito che va abbattuto. In nome della chiarezza. La stessa che si deve usare quando si parla di Europa.

Il fatto che – mi riferisco alla campagna elettorale in Italia, ma non solo – questa chiarezza manchi, dimostra una cosa: che i veri anti-europeisti sono coloro (persone e gruppi economici) che non vogliono la realizzazione delle tre proposte sopra indicate in quanto vogliono continuare ad influire sui governi nazionali per continuare a ricevere benefici da essi, come i crediti facili. Perché, alla fine, è al denaro che essi mirano, non allo sviluppo.


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