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L’Europa dei disoccupati e della regressione

Creato il 12 aprile 2013 da Albertocapece

disoccupatiAnna Lombroso per il Simplicissimus

Alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione nell’Eurozona ha continuato a crescere «raggiungendo livelli senza precedenti». Lo segnala la Bce nel bollettino mensile, secondo cui i dati delle indagini, con una disoccupazione al 12% a febbraio, «segnalano un ulteriore calo dei posti di lavoro nel primo trimestre del 2013».
“Vengono dissolti tutti i rapporti stabili con il loro seguito di modi di vedere e di concezioni venerate e di venerande età e i rapporti nuovi invecchiano prima ancora di potersi consolidare. Si volatilizzano le immobili gerarchie sociali, viene profanato tutto ciò che vi è di più sacro..”. Si è avverata la profezia di questi due visionari che oggi verrebbero definiti “giovani” (Marx aveva poco più di trent’anni e Engels una quarantina), che attribuiva alla borghesia la tragica potenza distruttrice di cancellare i rapporti feudali idilliaci e patriarcali, non lasciando tra uomo e uomo che il nudo interesse, il freddo pagamento in contanti.
A 170 anni di distanza, il mondo non è finito, si è macchiato di stragi orrende, continua la lotta contro classi e popoli, che sempre di più prende la forma di una guerra contro i lavoratori e il lavoro, grazie a una crisi ch rappresenta l’opportunità per ripristinare forme di asservimento, di assoggettamento, di schiavitù.

Ieri mentre venivano pubblicati i dati sulla disoccupazione, venivano resi noti quelli di un’altra forma di aggressione al lavoro, di disprezzo per gli uomini e loro vite: dall’inizio dell’anno sono documentati 111 lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro. Il 42% sono morti in edilizia, il 20% in agricoltura, l’8,9% nell’industria e il 8,6% nell’autotrasporto, in tanti muoiono nei servizi. Se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere si superano le 220 vittime (stima minima), come è successo ieri che un operaio è stato travolto da un treno sui binari e si è visto, fugacemente, che la notizia non è certo tra i titoli di testa, l’immagine di quel corpo straziato con ancora addosso la pettorina gialla. Nemmeno la disoccupazione ha l’effetto di contenere questo stillicidio, nemmeno la precarietà risparmia le vite nude, anzi. L’incertezza, la paura di perdere le residue sicurezze, rende più sposti, la sensazione di non essere protetti, tutelati, fa essere più spericolati e soli. Parallelamente alla globalizzazione, si verifica la disgregazione del diritto: processi e sentenze di valore morale epocale, vengono rovesciate, si offre una “necessaria” indulgenza all’Ilva in cambio del mantenimento di posti avvelenati, si smantella l’edificio di garanzie e conquiste in nome dell’ineluttabilità della responsabile rinuncia.
Implacabilmente nuovi e antichi poteri lasciano molti sconfitti sul terreno. Suicidi, assassinati, disperati. E tra le vittime ci sono anche, con la democrazia, la capacità di immaginare altro da questo, la critica, l’utopia e il lavoro. Paradossalmente la lotta contro classe lavoratrice non è mai stata così spietata e potente come ora che il lavoro non c’è e viene meno la speranza di trovarlo, mantenerlo, conservarne e ristabilirne diritti, valori e dignità.

Autorevoli pensatori di fine secolo scorso parlavano della necessità di andare al di là della società del lavoro, convinti che il “posto”, l’occupazione, la professione, ben oltre la funzione di fonte di reddito, di crescita economica, di identità personale riconosciuta, rappresenti un formidabile strumento di controllo sociale: solo quando c’è lavoro per tutti sarebbe possibile “tenere insieme” la società,sorvegliarla e governarla.
Pare che oggi la forma più diffusa e sofisticata di controllo sociale siano invece la minaccia e il ricatto del non-lavoro, della disoccupazione, della precarietà, dell’incertezza, incertezza della stabilità, del salario, del luogo, della durata in una gamma infame e poliedrica di estorsioni, costrizioni, intimidazioni che minano la forza, la resistenza e la dignità e agitate in nome della crescita, della modernità, della profittevole competizione, per celare autoritarismo, sopraffazione, barbarie.

Stiamo vivendo non una semplice “recessione” economica, ma un cambiamento di sistema, del suo modo di pensare e di agire, sempre più individualistico, manageriale, socialmente irresponsabile, munito di privilegi e retribuzioni impensabili, condizionato solo dall’andamento dei corsi di Borsa e dalle esigenze momentanee e capricciose dei grandi azionisti, dei potenti fondi e delle banche di investimento. L’ingiustizia che patisce il lavoro in Italia è testimoniata anche dall’evoluzione della distribuzione della ricchezza nazionale: la quota di pil destinata a rendite e profitti cresce vistosamente mentre quella destinata ai salari precipita. La percentuale di pil destinata ai profitti è salita dal 23% del 1983 al 31% nel 2005, per i salari invece si è partiti dal 76% per scendere al 68% e oggi è ancora inferiore. Luciano Gallino ha stimato in 250 miliardi di euro all’anno la ricchezza uscita dai salari a favore dei profitti. Circa il 10% della popolazione italiana controlla oltre il 50% della ricchezza nazionale, secondo la Banca d’Italia. Il lavoro e i lavoratori sono vittime di un’espropriazione impunita e impudente, culminata nelle recenti “riforme” che hanno incrementato ingiustizie, emarginazione, frammentazione, precarietà. E mentre crolla il modello di sviluppo della teocrazia di mercato, non si riesce evidentemente ad esprimere un pensiero innovativo o arcaico, capace di elaborare e proporre qualcosa di “altro”, diverso e “alternativo”, passando dal partito liquido al partito palestra, negando con la fine delle ideologie, la necessaria egemonia delle idee, riducendo la rappresentanza di bisogni e interessi all’espressione di lobby, costringendo la sovranità dentro alla gabbia dall’ubbidienza.

Non credo alla divaricazione manichea tra piazze legali e palazzi illegali, tra gente virtuosa e politici viziosi. Ma c’è, di sicuro, quella tra poteri e popolo, tra padroni e lavoratori, tra chi gode la libertà come privilegio esclusivo e chi è stato estromesso dalla civiltà, dalla vita attiva e dignitosa, dalla speranza e dal futuro. E la rabbia dei mendicanti farà paura.


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