Intervento d’apertura di Federica Mogherini, Ministro degli Esteri italiano, alla CEPAL (Comisión Económica para América Latina y el Caribe) del 4 agosto 2014.
L’Europa e l’America Latina sono legate da profondi legami storici, politici, socio-economici e linguistici. Oltre queste interconnessioni, i nostri due continenti sono uniti da una forte convinzione, che sarà al centro delle mie osservazioni di oggi: il credo che il regionalismo è la strada più adatta per perseguire la pace e la prosperità dei nostri cittadini. Attraverso la regionalizzazione, i conflitti possono essere gestiti mediante canali istituzionalizzati. In un mondo globalizzato e sempre più policentrico, la cooperazione e l’integrazione regionale è anche il modo più efficace per promuovere i nostri interessi materiali e immateriali e i nostri valori in tutto il mondo.
Il regionalismo è stato per decenni un’idea prettamente europea. La promozione del regionalismo è stato un tratto distintivo di tutte le azioni esterne dell’Unione Europea. Sia esplicitamente che implicitamente, l’UE è stata sempre vista dagli europei e dai non europei come il “modello di riferimento” per la cooperazione regionale e l’integrazione, sebbene questo non ha necessariamente fatto si che il progetto europeo venisse emulato in toto da altre regioni del mondo. Conseguentemente, l’UE ha promosso il regionalismo attraverso una molteplicità di mezzi, inclusa l’assistenza tecnica e finanziaria in sostegno alle istituzioni regionali, ai programmi, ai progetti, alla liberalizzazione del commercio e alle forme istituzionalizzate di dialogo politico.
L’essenza del progetto d’integrazione europea è stato – ed è tutt’ora – un punto di riferimento per molte regioni del mondo. Non ultime, America Latina e Caraibi. Ancora, le ultime elezioni europee hanno mostrato un certo grado di “euroscetticismo” (volendo usare un eufemismo): c’è una certa preoccupazione tra i cittadini europei riguardo la difficoltà delle istituzioni europee nel rispondere a questa crisi. Gli elettori dell’UE hanno dato un segnale forte durante le elezioni mostrando di essere scontenti della loro situazione economica e sociale. L’area euro soffre di due problemi chiave: una crescita economica insoddisfacente e un basso tasso di creazione di posti di lavoro. La crisi economica sta a colpendo tuttora le vite di milioni di europei. Durante la campagna elettorale, con il peggiorare della crisi, quelle che io chiamo le “voci anti-sistema” sono cresciute, sostenendo che la vita di tutti sarebbe più semplice in un’Europa senza Unione Europea.
Il dibattito politico sembra polarizzare sempre di più gli europei attorno a fuorvianti linee politiche di divisione: austerità contro crescita; il “nord” contro il “sud”; interesse nazionale contro interesse europeo.
Il Governo che io rappresento ha fatto una scelta diversa. Invece di votare contro l’Europa, abbiamo chiesto ai nostri cittadini di votare per un’altra Europa. Abbiamo chiesto agli italiani di capire che non siamo qualcosa di diverso dall’Europa, ma siamo il nucleo stesso dell’Europa. Che non c’è distanza tra Roma e Bruxelles, ma al contrario che abbiamo una cruciale e diretta responsabilità in quello che viene deciso – da tutti noi – a Bruxelles. E questo è quello che hanno fatto gli italiani. La stra grande maggioranza.
Con quel voto di fiducia, il Governo italiano ha ottenuto la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, impegnato a dare nel periodo post elettorale una forte attenzione su ciò che può essere realizzato per avviare una ripresa economica e occupazionale in Europa. Come leader europei sappiamo che le nostre azioni coordinate devono mirare a dare risultati concreti ai cittadini. E questo è il nostro primo impegno: cambiare l’Europa e le sue politiche.
Mettere le finanze pubbliche su solide basi è importante. E mentre emaniamo riforme nazionali che creino posti di lavoro dobbiamo essere certi che queste riforme siano coerenti con le prerogative dell’unione monetaria. Ma senza un’iniziativa di crescita europea, sarà difficile o probabilmente impossibile da portare a termine. Questo è il motivo per cui stiamo lavorando con i nostri amici dell’UE in modo da sviluppare una strategia di crescita europea convincente.
Lo so, lo sappiamo, che per l’America Latina e le altre regioni del mondo, l’UE rimane un punto di riferimento fondamentale, e seppur non emulato direttamente, è un’importante guida. Questo è il motivo per cui il modo in cui l’UE uscirà dalla sua crisi esistenziale attuale è e sarà di fondamentale rilevanza non solo per se stessa ma anche per il futuro del regionalismo mondiale.
A tale riguardo, la crisi politica ed economica dell’UE dal 2010 ha nutrito una nuova e pericolosa narrativa riguardante non solo il fatto che il modello dell’UE possa dopo tutto non essere sostenibile, ma anche che la profonda integrazione regionale possa non essere desiderabile. Infatti, gli ultimi quattro anni hanno visto l’Unione segnata da una profonda polarizzazione, frammentazione e asimmetria in diversi settori politici, tra gli stati membri, tra i leader e tra leader e cittadini.
Abbiamo bisogno di cambiare per il bene dell’UE e del regionalismo mondiale (incluso quello dell’America Latina).
La sfida è quella di contrastare le forze centrifughe immaginando e lavorando per realizzare una nuova Europa, una che riconcili gli europei con il progetto d’integrazione dotando di nuovo l’Unione della sua legittimità perduta, in termini di capacità di offrire pace e prosperità ai suoi cittadini e di farlo attraverso un processo democratico inclusivo e responsabile. L’Europa oggi ha bisogno di una nuova narrativa. Al principio, il progetto europeo consisteva nel consolidare la pace nel continente dopo la devastazione portata dalle due guerre mondiali e da un genocidio. Con la fine della Guerra Fredda e il collasso dell’Unione Sovietica, la sfida è divenuta quella di riunificare l’Europa all’interno di un ordine mondiale liberale.
Oggi, quelle convinzioni sono ancora con noi. Ma da sole esse sono insufficienti. In un XXI secolo che sta testimoniando un profondo cambiamento dei poteri globali, una nuova narrativa europea può convergere su come assicurare una capacità di recupero europea in un mondo policentrico e favorire una transizione pacifica verso un nuovo ordine globale consensuale, sia come attore che come modello per le altre regioni del mondo. Nel fare questo, l’UE deve essere legittimata ed efficace entro i suoi confini e da questa posizione deve essere in grado di proiettare il suo peso economico, strategico e normativo su i suoi vicini e oltre.
E’ attraverso una nuova Unione Europea che l’Europa salverà se stessa e continuerà a giocare il suo legittimo ruolo di attore e punto di riferimento in tutto il mondo, cominciando dall’America Latina. In questo contesto, una relazione politica e strategica tra le due regioni. Il crescente peso e l’attivismo mostrato dal subcontinente latinoamericano su scala globale può funzionare come un’enorme spinta verso questa direzione. Da parte nostra, come italiani e come europei, abbiamo bisogno di cogliere le implicazioni politiche di questo nuovo scenario e proporre una piattaforma strategica che serva per le sfide che ci troviamo di fronte. Una piattaforma da costruire insieme.
La crisi economica, scoppiata nel 2008 e che ha ancora una presa salda sulle nostre economie, non ha solo cambiato in peggio le condizioni sociali e gli stili di vita di noi europei – partendo dalle generazioni più giovani. Ma anche comportato una certa stagnazione nelle relazioni tra le due regioni. Nonostante tutto, l’Unione Europea continua ad essere il primo investitore diretto e il secondo partner commerciale nell’area. Nonostante un clima economico globale controverso e negativo, la regione latinoamericana, con il suo bagaglio unico di risorse naturali, è stata in grado di far fronte – specie nel primo periodo – alla crisi. Ora anche voi siete stati colpiti da un rallentamento della crescita e da problemi economici, sebbene ad un livello più basso del nostro, grazie all’abilità di molti paesi di promuovere politiche d’inclusione sociale di vasti segmenti della popolazione colpiti da povertà e fino ad ora messi ai margini; all’espansione del mercato interno; alla promozione della giustizia sociale e dell’uguaglianza. Tutto ciò con attenzione – che negli ultimi anni si è tradotta in rappresentanza politica diretta – alle popolazioni native precolombiane.
Sono convinta che questo è stato possibile attraverso il consolidamento della democrazia e la volontà – affermata delle istituzioni elette – di indirizzarsi ai bisogni sociali con politiche pubbliche innovative. La mia interpretazione degli eventi è che anche le proteste sociali, che sarebbero state inimmaginabili nel passato, sono appunto il risultato preciso della politiche di crescita che, insieme all’economia, hanno permesso alla società di crescere, insieme al suo protagonismo, ai bisogni e alle esigenze, in poche parole, alla consapevolezza della cittadinanza.
Porgo, rispettosamente, una domanda: oltre al Brasile, in quale altro dei paesi BRIC sarebbe possibile?
Ho partecipato personalmente, non di recente, a momenti di analisi collettiva e di elaborazione del “Social Forum” di Porto Alegre e, andando indietro con la memoria a quelle attività e al ruolo giocato dalle personalità che più tardi sarebbero state al potere nei loro paesi – come il Presidente Lula – posso dire che è li che sono stati posti alcuni dei fondamenti per le successive politiche pubbliche che si sarebbero poi rivelate di successo.
Sono consapevole che molti governi latinoamericani, nell’ultimo periodo, stanno domandandosi come difendere questa crescita, come mantenerla, rafforzarla e diversificarla; come garantire la sostenibilità di politiche sociali che sono state adottate; e come affrontare nuove diseguaglianze. Davanti a noi abbiamo alcune sfide importanti per il futuro, come la ridefinizione di una strategia condivisa con l’obiettivo di una nuova partnership tra l’UE e l’America Latina e i Caraibi, basata sulle complementarità storiche e culturali tra le nostre due regioni. In questo contesto, ha luogo la sfida comune contro il cambiamento climatico. Abbiamo grandi aspettative in merito al ruolo e al coinvolgimento che la regione dell’America Latina può giocare nel ridefinire un accordo globale sul clima. Anche nel caso dell’Agenda delle Nazioni Unite post 2015, le nostre rispettive esigenze e i nostri impegni si potranno basare sullo sviluppo sostenibile, la stabilità economica, il sostegno alla crescita economica e al libero commercio, alle energie pulite e rinnovabili, alla sicurezza alimentare, all’inclusione sociale e all’uguaglianza di genere.
La presidenza italiana dell’Unione Europea sostiene fermamente il bisogno di concludere tutti gli accordi commerciali i cui negoziati abbiano come scopo quello di creare uno sviluppo senza precedenti, sia in termini quantitativi che qualitativi, nelle relazioni economiche tra le nostre regioni. In particolare, daremo grande importanza al sostegno della politica estera europea con lo scopo di ravvivare i negoziati UE-Mercosur, rafforzare il dialogo UE-Messico e rianimare quello con l’America centrale sulle tematiche di sicurezza.
Guardando oltre il periodo di presidenza italiana (anche in considerazione della Presidenza a tre che condividiamo con Lettonia e Lussemburgo), mi piacerebbe sottolineare che la preparazione del secondo vertice UE-CELAC (Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici) che si terrà a giugno 2015 a Bruxelles, è di grande importanza. L’Italia è impegnata a ravvivare l’agenda UE-CELAC. Questo è anche il motivo per cui ho colto l’opportunità data dalla mia presenza, dopo domani a Bogotà, alla cerimonia di inaugurazione del Presidente Santos, di chiedere un incontro con la delegazione del Costa Rica. Cominceremo così a parlarci direttamente, il Ministro degli Esteri italiano, Presidente dell’UE, e il Ministro degli Esteri del Costa Rica, Presidente pro tempore della CELAC. Mi sembra un buon inizio.
Ma… non appena passeranno le due presidenze temporanee, le proiezioni esterne degli Stati rimarranno qui. Per questa ragione, è mia ferma intenzione mettere la relazione con l’America Latina di nuovo tra le priorità della politica estera dell’Italia, uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea e un paese così intrinsecamente legato a questa regione.
Questa visita, anche se nel mezzo di una drammatica crisi nel Mediterraneo e in Medio Oriente, in cui siamo chiamati a giocare un ruolo da protagonisti, e la mia missione in Argentina, Messico e Cuba, che ho pianificato per ottobre, insieme con la mia visita in Brasile, programmata per l’inizio del 2015, dimostrano chiaramente il nostro impegno, che non è solo il mio, ma di un intero governo e del Presidente Renzi.
Un ulteriore prova della nostra volontà politica sarà rappresentato dal nostro ciclo di Conferenze Italia-America Latina e Caraibi. Questo è per noi un’occasione importante di interazione con l’intera regione. Prima della sesta edizione del 2013, queste conferenze erano strumenti di politica estera italiana “verso” l’America Latina. Con l’approvazione unanime della Dichiarazione Finale della Sesta Conferenza, da parte di tutti i 20 paesi che sono parte dell’IILA (Istituto Italo-Latino Americano), si crea un nuovo strumento comune, condiviso da 21 paesi, al fine di rafforzare il dialogo, lo scambio e la costruzione di idee comuni e politiche di crescita.
Proprio per questa ragione abbiamo proposto che la successiva Conferenza, la settima, si tenesse a giugno 2015, immediatamente dopo la conclusione del vertice UE-CELAC di Bruxelles. Speriamo che molti ministri degli esteri, i rappresentanti dei governi e – ci piacerebbe molto – anche i Presidenti, possano venire il 12 giugno a Milano, dove, nel contesto dell’Esposizione Universale, avrà luogo la settima conferenza Italia-America Latina e Caraibi.
Tra le tematiche su cui ci piacerebbe iniziare a lavorare, cominciando dall’energia, dal cibo e dalla sostenibilità (che saranno coperte dall’Expo), ci sono quelle relative all’innovazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese. Ci sono temi che ci uniscono. Senza la continua innovazione e la ricerca (scientifica, produttiva, e attraverso il network dei centri tecnologici), la cornice delle piccole e medie imprese cesserebbe di essere lo strumento contro la crisi che noi tutti apprezziamo. Una tale esperienza di valore richiede un impegno di socializzazione, non vogliamo tenerlo tutto per noi. A questo fine, il prossimo dicembre, l’IILA sarà la sede di uno scambio senza precedenti di conoscenza scientifica e operativa sulle PMI, che avrà luogo tra gli operatori delle imprese stesse e i rappresentanti del governo di molti paesi latinoamericani e i loro omologhi italiani.
Inoltre, il contributo italiano, a causa delle radici storiche dell’emigrazione italiana in alcune aree dell’America Latina, potrebbe anche tradursi in una virtuosa mobilitazione di partnership locali.
Gli accordi di associazione, sebbene estremamente importanti, devono essere integrati con gli accordi territoriali e politici. E’ su questo terreno che possiamo riscoprire una “attrattiva” condivisa, una mutua attrazione, non solo a livello governativo.
Inoltre, il “caso argentino” ha portato di nuovo alla nostra attenzione il problema del debito sovrano e i meccanismi di governance finanziaria internazionale: evidenziando la necessità di una riforma della governance globale. Credo che sia una preoccupazione comune, quella di avere il dovere morale e la responsabilità politica di fare uno sforzo comune per arrivare a soluzioni condivise. Con lo stesso approccio vogliamo affrontare questioni come quelle della sicurezza dei migranti (specialmente dei minori), la lotta contro il crimine organizzato e il traffico di droga, la difesa delle risorse naturali.
L’Europa deve capire l’importanza di un tipo di “dialogo politico rafforzato” che consenta di concepire una partnership strategica tra l’UE e la ECLAC. Dobbiamo evitare di marchiare il prossimo summit con la “continuità”. Al contrario, dovrà essere in grado di esprimere fattori di cambiamento strutturale in un contesto globale in rapido cambiamento. Dovremo migliorare la nostra efficacia generando più consenso e partecipazione di tutti gli attori coinvolti. E dobbiamo, soprattutto, ottenere legittimità davanti agli occhi della nostra opinione pubblica e dei nostri attori sociali.
Diversi anni fa, in un’altra veste, mi è capitato di venire in Cile. In quel periodo, mi ritrovai con alcuni amici che conoscevo da anni. Oggi li ho ritrovati leader dei loro paesi e questo mi da una grande gioia. Oggi, nel nuovo ruolo politico e istituzionale che ricopro, non dimenticherò che ho attraversato “quella porta d’ingresso” – il Cile – a questa fantastica regione. Voglio comprendere meglio – con rispetto e ammirazione – un’area che ha dato e sta dando tanto al nostro pianeta e spero che in questo modo, saremo in grado, insieme, di dare il nostro contributo alla crescita comune.
(Traduzione dall’inglese di Martina Zannotti)