La
legge di stabilità del Governo italiano è passata in maniera
“condizionata” l’esame della “rigorosa” Commissione Europea. L’ok definitivo
alle leggi di bilancio 2016 di
Italia, Spagna, Austria e Lituania, viene così rimandato alla prossima
primavera: come per uno studente poco ligio ai propri doveri, l’ammissibilità
alla flessibilità richiesta dall’Italia su investimenti e riforme viene
rimandata di qualche mese perché i professori dell’Ue vogliono vederci chiaro
sulle potenzialità dell’esaminato.
Da Bruxelles arriva quindi una
promozione parziale, perché da quelle parti credono che l’Italia rischi
pericolosamente di non rispettare il tetto di deficit previsto, con la
conseguente incognita di non raggiungere l’autentico valore morale che
presuppone l’Europa unita: il “pareggio di bilancio” (ormai si sa, per apostrofarla con de Benoist “l'Europa e la politica ancelle della finanza”).
Fin qui niente di nuovo, in sostanza
l’Italia potrebbe non raggiungere i ragionieristici target posti quali
indiscutibili moloch dall’Europa tecnocratica dei colletti bianchi mai eletti a
nessuna latitudine.
Tralasciando però la contingente
cronaca, qui ci limiteremo invece a far funzionare, per una volta, il buon
senso, convinti che proprio il buon senso sia l’unico rimedio contro l’imperante
avanzata dell’irrazionalismo a tinte europeiste. Com’è possibile, ad esempio,
chiamare col nome di “legge di stabilità” un qualcosa che non è ancora
stabile e stabilito, dato che non ha ancora superato i duri criteri di
conformità previsti dalla Commissione europea? La questione, apparentemente di
lana caprina, non tocca solo aspetti retorici connessi all’infelicità
terminologica.
Al netto dell’aspetto formale, la nozione che la vicenda
suggerisce, è invece assolutamente concreta, ed esemplifica, benché
sommariamente, il modus operandi di
una “certa” burocrazia, smascherandone il sistema: essa non hanno alcun
sistema! Della serie: io dovrei adottare misure economiche per dare stabilità
al Paese e le adotto senza sapere se, effettivamente – sempre secondo
gl’infallibili calcoli dell’UE – siano in grado di sortire quella “stabilità”
tanto agognata. Com’è possibile ottenere
“stabilità” da una riforma che, almeno sino alla sua formale
approvazione, potrebbe essere cambiata in corso d’opera perché ci si è accorti
che non potrebbe sortire l’effetto sperato (alias non soddisfa i criteri di
valutazione europei = instabilità!)? Com’è possibile tirare avanti qualche
mese con una legge il cui intento dovrebbe essere “la stabilità”, se quella
stessa legge è invece illegittima e non conforme?
Ma sì, facciamo passare un po’ di tempo
– sembra affermare il Commissario per gli affari economici e monetari,
Moscovici – e poi, con calma, valutiamo la bontà delle vostre riforme. Insomma,
l’Ue, pur essendo la sovrastruttura politica-finanziaria più importante ed
influente del Vecchio Continente, sembra comportarsi come quell’innamorato che
si prende una pausa di riflessione. D’altronde, cosa dovremmo aspettarci da
un’Unione Europea che non è stata eletta da nessuno; che rassomiglia ad un
aggrovigliato pasticcio legislativo privo di una fondante Costituzione (non si è mai visto, a tal proposito, uno
Stato che non avesse una Carta costituzionale capace di determinarne le
fondamenta, i valori ed il senso…a meno che non si voglia credere che i
“valori” dell’Europa unita siano quelli “finanziari” incarnati dal Trattato di
Lisbona. Era meglio Napoleone!); che si è realizzata esclusivamente come un
Leviatano mercantile, senza dotarsi
prima di un’adeguata organizzazione politica.
Magari proprio per questa mancanza di “senso”
e di direzione, si capisce forse bene dove si è formato il concetto di stabilità
che sembra guidare le sorti europee. Frequentando
la scuola ove il caos è
sinonimo di organizzazione, nel luogo in cui gl’interessi particolari di ogni
stato finiscono, altrettanto casualmente, per sostanziarsi in bizantinismi
legislativi senza capo né coda. E così, nell’Europa che dovrebbe aver chiuso la
disputa sugli universali qualche secolo fa, stabilità e instabilità possono essere persino la stessa cosa.
I
termini, vuoti contenitori da riempire di senso, dipendono infatti sempre dal
soggetto che li sostanzia, dal destinatario di quelle qualificazioni… ma in
Occidente nessuno sembra ormai avere la benché minima idea di chi sia davvero
il soggetto agente (il mercato?). Mentre si sa
benissimo chi sono i sub-getti
passivi - gli uomini, retrocessi velocemente a consumatori, gli stessi che hanno
già perso la poco meritevole etichetta dicittadini ed elettori–.