“Il teorema del lampione”, ovvero cercare le chiavi perse sotto il palo della luce perché è l’unico spazio illuminato: il titolo dell’ultimo libro di Jean-Paul Fitoussi è emblematico della situazione di stallo in cui versa l’attuale politica economica europea – e non solo: un lampione che emana un fascio di luce limitato e circoscritto, insufficiente per affrontare la situazione in maniera chiara ed esauriente.
Il volume si inscrive in un filone ormai consolidato di pubblicazioni tese a denunciare lo sbandamento – peraltro già annunciato da tempo – della degenerata politica economica neoliberista e a caldeggiare un modello economico etico e solidale. Liberaeforte ha dedicato ampio spazio all’argomento in numerosi interventi.
Il libro offre un quadro completo delle cause che hanno portato alla recessione che si è abbattuta sull’Europa dal 2009. La convinzione nella capacità di autoregolamentazione di un mercato lasciato completamente libero, senza limiti e freni, si è rivelata una politica controproducente. A farne le spese, come di consueto, la popolazione, in particolare le fasce più basse e a rischio. Il lavoro di Fitoussi analizza con rigore le tappe e i passaggi delle vicende fino a oggi: “la crisi della teoria economica, la crisi finanziaria mondiale, la crisi bancaria, la crisi europea dei debiti sovrani, e, infine, quella dei nostri sistemi di misura”.
La conclusione: “Le nostre teorie economiche – falsificate a piú riprese dai fatti – e le nostre politiche rivolte a obbiettivi che derivano da esse (stabilità dei prezzi, concorrenza, sostenibilità del debito) non riescono piú a rendere conto della realtà né a rispondere ai bisogni della popolazione”.
Il dato più preoccupante che emerge da questa analisi è il deficit di democrazia e di federalismo in cui versa attualmente l’Europa. Gli interventi auspicati sono dunque rivolti in direzione di un rinvigorimento dell’autorità democratica, della responsabilità politica e della solidarietà in modo da evitare una volta per tutte di “rimettersi ai mercati per disciplinare i governi piuttosto che alla democrazia per disciplinare i mercati”. Un vero federalismo europeo che si muova in questo senso, rileva Fitoussi, era il genuino obiettivo dei padri fondatori, e solamente così saremo in grado di fermare il disfacimento che sta contagiando pericolosamente anche la sfera politica. A questo proposito, Fitoussi non manca di riservare una stoccata alla condotta egocentrica e poco solidale della Germania che tende a minare gli equilibri di una istituzione, quella europea, già troppo fragile.
Un’altra considerazione interessante avanzata dall’autore consiste nel rilevare una eccessiva importanza tributata alle alterazioni del Prodotto interno lordo, come se fosse l’unico strumento per valutare le condizioni di una nazione. Il Pil è un dato che però non riporta il livello di benessere dei cittadini e la qualità della vita nelle sue varie sfaccettature. In alcuni casi può succedere che la crescita del Pil crei scompensi nell’equilibrio di un paese, come l’aumento della povertà e del divario tra le classi sociali. Occorre un’ottica che interpreti la realtà con senso etico e di responsabilità.
Sottoscriviamo l’appello di Fitoussi e ricordiamo l’invito a praticare “buona politica” e “buona economia” di Luigi Sturzo, europeista convinto che già aveva intuito le conseguenze di un sistema liberista senza controllo; invito ripreso e portato avanti da economisti e personalità tra cui ricordiamo Marco Vitale, il cardinale Maradiaga e Giovanni Palladino. Speriamo che l’Europa e i singoli paesi che ne fanno parte si dimostrino finalmente aperti alla ricezione di questo messaggio.
Marco Cecchini