Sappiamo benissimo che la questione ergetica è fondamentale per il mantenimento e lo sviluppo di una società, e proprio in questi mesi in Italia si assiste a un vivace dibattito tra chi vuole il nucleare e chi le energie rinnovabili. Ebbene, Nick Lane e Willian Martin, due ricercatori rispettivamente dell’University College di Londra e dell’Università di Dusseldorf, sono convinti che la produzione di energia sia anche la chiave per capire cosa ha permesso alla vita di evolversi nelle forme che conosciamo ora.
I due scienziati hanno pubblicato sull’ultimo numero di Nature la loro ipotesi, secondo la quale i batteri non hanno potuto svilupparsi in forme di vita complesse proprio perché non avevano abbastanza energia per farlo. Per arrivare a questa conclusione, Lane e Martin hanno fatto dei semplici calcoli basandosi sulle dimensioni dei genomi e sull’energia prodotta dalle cellule, confrontando quello che accade in un organismo procariote (come i batteri) e un eucariote (come animali, piante e funghi).
I risultati, riportati in questa tabella, mostrano che mediamente un procariote è in grado di sviluppare una potenza di 0,03 femtoWatt per ognuno dei suoi geni; al contrario, una cellula eucariote raggiunge in media 57,15 femtoWatt. Osservando queste statistiche, si vede anche che gli eucarioti hanno dimensioni maggiori, possiedono genomi più grandi e un numero di geni molto più elevato. Da dove traggono allora tutta questa energia?
A rendere possibile questo incredibile rifornimento di energia sono i mitocondri, piccoli organelli presenti solo negli eucarioti che si sono specializzati nella sintesi di ATP, la moneta energetica delle cellule. I macchinari molecolari utilizzati dalle cellule per “respirare”, che convertono l’ossigeno e i nutrienti in ATP, si trovano sulla loro membrana, ripiegata molte volte su se stessa al fine di massimizzare l’efficienza. E’ grazie ai mitocondri che gli eucarioti hanno potuto evolversi, differenziandosi nell’infinità di specie viventi che possiamo ammirare oggi. Sintetizzare le proteine costa alla cellula circa il 75% dell’energia che produce, e se non se ne ha a sufficienza è impossibile “mantenere” anche solo pochi geni in più: ecco perché i procarioti possono a malapena arrivare ai seimila geni, mentre gli eucarioti se ne possono permettere fino a 25mila. Inoltre, anche la semplice replicazione del DNA, pur costando meno (2%) è pur sempre una spesa: i poveri batteri riescono a fatica a mantenere genomi lunghi 6 milioni di paia di basi, mentre i più evoluti eucarioti se la cavano egregiamente persino con 11 miliardi di paia di basi.
Dovendo ridurre al minimo il patrimonio genetico da replicare, i procarioti hanno dei genomi estremamente compatti: in un milione di paia di basi di DNA, i batteri ci fanno stare ben 1000 geni, mentre gli eucarioti ne hanno appena 12. Hanno così tanta energia disponibile che mantenere tutto quel “DNA spazzatura” non è un gran sacrificio: anzi, proprio da lì potrebbe nascere qualche nuovo gene utile per far fare alla cellula un salto di qualità. Avere più energia a disposizione consente infatti alla cellula di fare esperimenti, inventandosi nuovi geni e nuove soluzioni molecolari per vincere la lotta per la sopravvivenza.
In quattro miliardi di anni di evoluzione, i procarioti sono rimasti più o meno dove li avevamo lasciati: senza un nucleo, senza organelli specializzati nella produzione di energia e soprattutto senza essere mai stati in grado di diventare pluricellulari. Secondo una recente teoria, proprio quattro miliardi di anni fa avvenne l’evento che permise a un semplice procariote di diventare eucariote: quella fortunata cellula accolse dentro di sé un altro piccolo batterio, e invece di mangiarselo ebbe la brillante idea di addomesticarlo, sfruttandolo per i suoi scopi. Quel piccolo batterio diventò il primo mitocondrio, la centrale energetica che consentì l’enorme salto evolutivo delle forme di vita complessa.
Lane N, Martin W “The energetics of genome complexity” Nature 2010, 467: 929-934