L’ex pilota di droni confessa: bambini uccisi come nei videogame

Creato il 31 ottobre 2013 da Molipier @pier78
Genny Sangiovanni vedi altri articoli 31 ottobre 2013 11:30 0 Flares Filament.io Made with Flare More Info'> 0 Flares ×

1.626 è il numero di nemici uccisi in battaglia da un ex pilota statunitense. 109mila dollari è il bonus offerto dall’aviazione per trattenere il pilota in servizio. 6 anni di manovre e oltre 6mila ore di volo per centinaia di missioni hanno portato Brandon Bryant a dire “Basta”.

Senza mai alzarsi in volo, il pilota ha guidato decine di droni da anonimi container del New Mexico e del Nevada tra il 2007 ed il 2012. Come in un videogioco con conseguenze reali. Le missioni avevano tra gli obiettivi presunti terroristi di al Qaeda ma capitava di uccidere civili innocenti, tra cui donne e bambini: “sono uomini malvagi, è bene eliminarli”.

I superiori riferivano a Bryant che le missioni video pilotate fanno compiere un “lavoro pulito” ma l’ex pilota afferma che “la verità è che niente è pulito”. Il primo veicolo senza pilota (Uav) lo ha guidato poco dopo aver compiuto 21 anni. Era notte e riusciva solo a vedere tre uomini afghani scendere un sentiero di montagna con dei bastoni da pastori.

Secondo i superiori quelli erano fucili sulle spalle. Dopo aver ingrandito lo zoom ha eseguito l’ordine. Nello schermo davanti ai suoi occhi figurava un fuoco di pixel, poi un fumo in 3d e dopo pochi minuti era rimasto solo un cratere ed i brandelli dei corpi di due uomini. Il terzo afghano aveva perso una gamba. “Le immagini erano così punteggiate, non sembravano per niente reali. Ma lo erano” spiega il top gun.

Il motivo che lo ha spinto a raccontare tutto è che gli americani devono sapere. Due terzi degli statunitensi si dichiara favorevole alle guerre a distanza, guerre che non creano disturbo se causano vittime civili. 82 miliardi di dollari saranno investiti in droni entro il 2025. Un business in espansione per oltre 100 mila nuove occupazioni. Le missioni con droni effettuate ogni anno sono a centinaia.

Tra gli altri obiettivi ci sono anche lo Yemen, il Pakistan e la Somalia: guerre clandestine di cui non si sente parlare. Secondo il soldato Bryant i cittadini non sono realmente consapevoli di quanto accade. Nonostante abbia compiuto diverse missioni, all’inizio non aveva completamente realizzato le conseguenze delle proprie azioni perché “il nostro training era più immaginario che reale”.

Sapevano che il loro lavoro era “uccidere persone e distruggere cose” ma c’era una costante insistenza sul “fattore videogame” che intorpidiva. “Seduto al computer, non senti il missile esplodere, vedi la scena e ascolti solo uno strano ronzio. I ragazzi sul campo sono molto più coraggiosi di me”. Anche se “non siamo degli eroi” e gli effetti psicologici sono più lenti e striscianti, le conseguenze delle uccisioni a distanza ci sono. “Prima o poi si realizza che si sta ‘giocando’ con vite reali e che la guerra non è un videogame”.

I medici hanno diagnosticato a Brandon un disturbo da stress post-traumatico e agli altri ex colleghi non va meglio. Il fatto è che “se non esci, non ti puoi sfogare. Gli psicologi militari vogliono che niente trapeli”.

Una breve storia che l’ex pilota racconta può far comprendere ancora meglio la sua storia. Pochi mesi dopo la prima missione gli è stato dato l’ordine di colpire un obiettivo importante, forse un capo talebano. In una tipica casa afghana con mattoni di argilla, Brandon individua un bersaglio.

Lo zoom gli consente di vedere nell’angolo “una figura, un piccolo essere umano dalle sembianze di un bambino”.  Sgancia la bomba che esplode sulla casa. Passata la nube “nella casa non c’era più nessuno”. Il superiore, pacca sulla spalla, esclama “Tranquillo, era solo un cane”.

Fonte | Lettera43

Profilo di Genny Sangiovanni

Nata nel 1987 e ormai pronta a partire per qualsiasi viaggio e/o conquista anche solo metaforica. Laureata precaria, quindi alla moda! Mi muovo per capire dove andare.

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