La mamma dei grandi fratelli è sempre incinta. Avevamo appena metabolizzato l’occhiuto networkAwareness System Domain, adottato dalla polizia di New York per videosorvegliare minuziosamente le strade della città e confrontare all’istante immagini e banche dati. Ci eravamo consolati nell’apprendere che il sistema newyorkese escludeva il riconoscimento facciale dei cittadini. Scopriamo adesso che l’FBI sta per rilanciare alla grande con Next Generation Identification (NGI), che punta tutto proprio sull’identificazione automatica delle persone.
Un miliardo di dollari sul piatto, per consentire al Bureau di riconoscere i sospetti in luoghi affollati, tramite le immagini e mettendo a confronto tutti i dati biometrici disponibili, dal DNA alla scansione dell’iride, ai campioni vocali, alle impronte digitali. Entro il 2014 Next Generation Identification sarà attivo in tutti gli Stati Uniti. Un gigantesco archivio custodirà foto e dati biometrici dei pregiudicati, almeno così ha dichiarato a luglio il vicedirettore dell’FBI Jerome Pender alla commissione del Senato che vigila sulla privacy:
“Only criminal mug shot photos are used to populate the national repository”.
Tranquillizzati? Non proprio, perché – dice la Electronic Frontier Foundation (EFF) – negli Stati Uniti non ci sono leggi specifiche che limitano l’uso di strumenti di riconoscimento facciale:
“No existing U.S. laws limit the use of facial recognition tools in the public or private sectors”.
Jennifer Lynch, avvocato della EFF, azzarda un’ipotesi inquietante: “Intanto gli utenti di Facebook caricano ogni giorno sul social network trecento milioni di foto…molti non si rendono conto di essere già inclusi in un database di riconoscimento facciale…”.
“Meanwhile, Facebook users are uploading 300 million photos to the social networking site every day. Many Americans don’t even realize that they’re already in a facial recognition database”.
Attenzione, nel Next Generation Identification confluiscono soltanto le foto dei pregiudicati, e dunque oggi è impensabile che il sistema possa includere le foto postate su Facebook. Già, oggi. E domani? E’ così peregrino lo scenario ipotizzato dall’avvocato della EFF?
Davanti alla commissione del Senato per la privacy ha deposto tra gli altri lo scienziato Alessandro Acquisti, della Carnegie Mellon University:
Face recognition is “now”
ha detto. E ha aggiunto:
“the combination of face recognition, social networks data, and data mining, can significantly undermine our current notions and expectations of privacy and anonymity”.
Ovvero, la convergenza tra riconoscimento facciale, social network e database può mettere a dura prova le nostre certezze sul diritto alla privacy e all’anonimato.
Altro che Orwell.
Fonti: New Scientist, Assodigitale