Jean Clair ha scritto un libro, “L’Hiver de la culture“. Un pamphlet non ignorabile. I giornali ne parlano e le loro “firme” sono convocate a risolvere rapidamente la questione. Il problema che Clair pone (scagliandosi contro la fabbrica delle “superstar” dell’arte) è contenuto, per sintesi, in queste due affermazioni…
1 – “Une étrange oligarchie financière mondialisée, comportant deux ou trois grandes galeries parisiennes et new-yorkaises, deux ou trois maisons de vente, et deux ou trois institutions publiques responsables d’un patrimoine d’un État, décide ainsi de la circulation et de la titrisation d’œuvres d’art qui restent limitées à la production, quasi industrielle, de quatre ou cinq artistes.” Una strana oligarchia finanziaria globale – traduciamo velocemente – composta da due o tre grandi gallerie parigine e newyorkesi, due o tre case d’asta, e due o tre istituzioni pubbliche responsabili del patrimonio di uno stato, decidono così la circolazione e la cartolarizzazione (n.d.r. Collateralized Debt Obligations o Cdo: obbligazioni che hanno per collaterale un debito, comprati e venduti da privati a privati, da banche a fondi, da banche a banche, in un intreccio senza fine di scambi meramente finanziari) di opere d’arte che si limitano alla produzione, quasi industriale, di quattro o cinque artisti.
2- “Il existe encore une musique sacrée: de jeunes compositeurs écrivent encore des messes, des requiem, des opéras métaphysiques. La danse non n’a jamais peut-être été aussi belle, fascinante (…) On devine la raison: il y a dans ces disciplines - le mot reprend son sens - un métier, une maîtrise du corps longuement apprise, une technique singulière, année après année enseignée et transmise. Or il n’y a plus ni métier ni maîtrise en arts plastiques.“ Esiste ancora una musica sacra: giovani compositori scrivono ancora delle messe, dei requiem, delle opere metafisiche. La danza non è forse mai stata così bella, affascinante (…) Se ne intuisce la ragione: c’è in queste discipline – la parola riprende il suo significato – un mestiere, un controllo del corpo appreso con il tempo, una tecnica specifica, insegnata e trasmessa anno dopo anno. Oggi non ci sono più ne’ mestiere ne’ controllo nelle arti plastiche.
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Gillo Dorfles, sul Corriere della Sera, conclude: ” …Un esempio: Lucian Freud, il quale pur essendo un pittore notevole, secondo me non è all’ altezza della sua fama. Invece mi sembra eccessivo il terrore di Clair per artisti come Maurizio Cattelan o Damien Hirst, che pur essendo in un certo senso paradossali, non sono degni del suo disprezzo. Tutto ciò che precede mi induce a formulare un giudizio su Jean Clair che lui stesso si attira: è un reazionario. E non mi si venga a dire che così faccio entrare la politica nella critica d’ arte. In questo caso esiste, e come, un parallelo malefico tra posizione politica e posizione critica.”
Massimiliano Parente, dalle colonne de Il Giornale risolve così: “… ogni anno, a cicli più mestruali che storici, qualche intellettuale troppo di sinistra o troppo di destra o semplicemente troppo vecchio si lagna della modernità (…) Basta anche andarsi a spulciare per curiosità il Libro dei conti di Lorenzo Lotto, grande ritrattista rinascimentale della borghesia veneziana, tanto per farsi un’idea di quanto fosse pratica e mercantile l’arte che oggi ci fa tanto sdilinquire d’ammirazione: il costo di un quadro variava non solo rispetto alle dimensioni ma perfino rispetto al numero di figure e oggetti dipinti, un tot al chilo. Vuoi essere ritratto a cavallo? Costa trecento ducati. Però se vuoi risparmiare ti ritraggo in piedi con una mela in mano, una mela costa solo trenta ducati, affare fatto? “
Achille Bonito Oliva, intervistato da Adnkronos: “L’arte contemporanea è un massaggio al muscolo atrofizzato della sensibilità collettiva perché la nostra è una società di massa addomesticata dai media. L’arte ha una funzione energetica. (…) Le critiche di Jean Clair vengono da lontano. Già in altri testi ha lanciato queste invettive. Ma in realtà le sue teorie sono il frutto della sua depressione culturale. La sua è una sfiducia nel futuro. Vede l’arte come una minaccia.”
Terminiamo le citazioni di questa polemica con Sgarbi che, per così dire, trae le conclusioni e tuona, ancora da Il Giornale: ” Il problema non è che gli artisti siano pagati! Figuriamoci per Clair, già direttore del Museo Picasso, che certo non si scandalizza per le quotazioni del grande artista spagnolo, di Van Gogh o di Pollock. Il problema è l’inconsistenza (che si esaurisce in una battuta non approvata) delle proposte di Cattelan, Hirst o Koons. E la risposta non può essere né quella di chi considera Clair reazionario (con ciò compiacendolo), come fa Dorfles, né quella di chi, come Beatrice, ne condivide lo spirito e però contesta il richiamo a testimonianze «autentiche», a «interrogazioni assolute e drammatiche» che Clair evoca ma che non possono essere cercate «nell’antica figurazione di un Freud o un Music perché, per quanto si parli di grandi maestri, siamo in presenza di un linguaggio troppo antico e lontano inadatto a spiegarci come siamo oggi». Ingenua riflessione, se si pensa che il marmo di Carrara lo ha usato Michelangelo ma lo possono usare anche artisti innovativi o concettuali come Jan Fabre e lo stesso Cattelan.”
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A noi sembra – e lo speriamo – che le fiamme appiccate da Jean Clair siano destinate a durare oltre all’estate e ai tentativi di spegnere l’incendio. Clair, in fondo, dice cose semplici. 1- il mercato dell’arte è globalizzato analogamente a quello finanziario ed è nelle mani di pochi potenti , ricchissimi. 2- Molti artisti approcciano l’arte in maniera “improvvisata” e senza lunga disciplina. Noi siamo d’accordo. A noi pare che non siano affermazioni ne’ di destra ne’ di sinistra. Non crediamo che Clair si “lagni della modernità” o che sia un depresso che “veda l’arte come una minaccia”. Pensiamo che le opere d’arte e il loro mercato non siano la stessa cosa. Il mercato è il mercato.
Il teschio coperto di diamanti di Hirst, è valutato decine di milioni di Euro. Hirst stesso, in un’intervista, ha ricordato: “…Elvis Presley ha realizzato tanti soldi sia dalle t-shirt con su scritto Amo Elvis Presley sia con quelle con Odio Elvis Presley e questa idea mi è sempre piaciuta.”
E, con ciò, non intendiamo ipotizzare che sia, poi, così inattuale l’idea di una “vanitas” del terzo millennio, libera da ogni metafisica (se non quella del “Potere del Denaro”)… Vogliamo semplicemente sottolineare come ci sia una differenza sostanziale tra chi pensa - come Andy Warhol – che “Fare denaro è un’arte. Un buon affare è il massimo di tutte le arti” e chi crede che l’arte sia, oggi come sempre, uno dei modi migliori di porre domande, inesauribili, sull’identità umana. A cosa serve il Gusto se non a dire “chi siamo”? A cosa la Forma se non a definire lo spazio di un’esistenza e il perimetro di una “Casa”.
La Casa di Hirst, dei suoi – abili! – manager, critici, gallerie che muovono oceani finanziari, è un’abitazione con il pavimento in oro. Per noi è inabitabile, ma contenti loro… Circa 300 degli “Spot” di Hirst saranno, l’anno prossimo, esposti planetariamente nelle gallerie Gagosian di New York, Londra, Los Angeles, Parigi, Roma, Atene, Ginevra e Hong Kong. Questo è marketing! La Coca Cola fa più profitti del Barolo? Noi ci ostiniamo a preferire il secondo.
D’altra parte nemmeno la provincia dell’Impero si muove su logiche tanto differenti. In Italia, quante sono le riviste d’arte non ridotte, ormai, a elenchi di “locandine a pagamento”? Quante le gallerie – anche storiche – che riescono ad affermare ancora la loro centralità riunendo gruppi di artisti che “ci credono” e discutono come matti, producendo Manifesti , teorie, scontri, controteorie…?
Anche se è un verbo orrendo, ci viene da dire: si “vivacchia”. Rimedio? Propendiamo per la “cura” che ripropone Jean Clair: “…une maîtrise du corps longuement apprise”. Disciplina e rigore. Ricerca. Distanza dal potere e dal lusso. Troppo difficile?
Jean Luc Neverborn