Sono giorni di dibattito febbrile sulla identità. Da più parti si levano le voci di coloro che si dicono preoccupati per la tradizione italiana, nazionale e locale, minacciate – si legge spesso su social network e giornali – dall’arrivo incontrollato di stranieri.
Fa sorridere il fatto che la grande maggioranza di coloro che si scagliano contro la presunta invasione, considerandola il preludio alla cancellazione della propria identità, non sappiano nulla o quasi delle proprie tradizioni, del proprio passato.
Persone che nella quotidianità non dimostrano alcun interesse per la valorizzazione e la conservazione della propria storia: si lamentano se i lavori rallentano quando viene scoperto un reperto archeologico; non partecipano agli appuntamenti dedicati alla storia e alla cultura del proprio luogo; spesso se ricoprono cariche pubbliche non investono in conoscenza, non promuovono il dibattito culturale, né sostengono chi invece si impegna a farlo.
Negli ultimi anni abbiamo assistito, proprio per opera dei governi di coloro che oggi si ergono a paladini dell’identità, al taglio dei fondi alla ricerca; a livello locale (Comunale) le risorse vengono quasi sempre investite su altro anche perché, come disse un noto ministro del governo Berlusconi, “di cultura non si mangia”.
Non sono gli immigrati a minacciare la nostra cultura, ma tutti coloro che quotidianamente la seppellisce sotto la propria indifferenza.