di Paola Paoletti
Il mito della mummia e “Il Gioiello delle Sette Stelle” di Bram Stoker
Un sarcofago, delle antichissime bende funerarie, un papiro, una stele, dei geroglifici dell'antico Egitto suscitano da tempi immemorabili nel nostro immaginario fascino e mistero.
Ne parla Erodoto, mentre nel Medioevo e in parte fino al XVII secolo i farmacisti arabi ed europei utilizzavano parti di Mummia per guarire malattie, credendo che avessero proprietà taumaturgiche e benefiche.
Il rito e i procedimenti della mummificazione costituirono per gli Egizi gli elementi di una cerimonia religioso-funeraria solenne, che mirava a far diventare il defunto pari al dio Osiris.Quindi nel profondo del nostro immaginario, al di là del semplice mistero, troviamo l'archetipo del sacro legato alla volontà di eguagliarsi al dio e quindi al desiderio dell'immortalità e al superamento della morte.
Quando nel 1903 fu pubblicato “Il Gioiello delle Sette Stelle” di Bram Stoker i racconti legati al mito della Mummia avevano già una lunga tradizione. E la struttura del romanzo di Stoker è la stessa di tutti gli altri che evocano questo mito. Infatti, vi troviamo l'avventura archeologica e la paura che la profanazione delle tombe e del sacro susciti la vendetta della mummia disturbata nel suo sonno. E anche ne “Il Gioiello delle Sette Stelle” ritroviamo i tre nuclei fondamentali di questo genere di narrativa: a) la violazione della tomba; b) la sepoltura del vivo; c) l'amore che va oltre la morte.
In questo romanzo di Bram Stoker la violazione della tomba e il conseguente risveglio della mummia sono preparati piano piano, portando il lettore lontano dal tempo del quotidiano.Nelle pagine, tra le parole, il tempo si dilata e noi, avviluppati negli odori stagnanti, siamo portati per ampie stanze schiarite da luci soffuse e mai naturali, camminiamo tra oggetti immobili che producono ombre misteriose, tocchiamo reliquie imbalsamate dotate di arcani poteri, incrociamo occhi instancabili che osservano movimenti impercettibili, lavoriamo in esperimenti e in spedizioni che durano decenni.Il romanzo ci porta in una dimensione del tempo dilatato che è il tempo della morte, ma è anche il tempo del sacro.
Quando, dopo aver sfidato la maledizione della Valle dei Maghi, il primo ricercatore, Van Huyn, si cala con le funi nella tomba della regina Tera, e ne incontra la mummia, si sofferma con gli occhi su un oggetto funerario e subito il suo sguardo diviene fisso e sente un fremito come di una paralisi. È come se l'oggetto, a sua volta, avesse guardato Van Huyn con gli occhi di Medusa. Egli ha incontrato l'aspetto terrificante del sacro: lo sguardo che pietrifica.Quella di Van Huyn è la nostra esperienza del sacro: la consapevolezza irrazionale che il sacro è “altro” e va “oltre” la nostra dimensione quotidiana, pur restando esperienza del tutto umana e che anzi permette di fare esperienza di sé.
Nei romanzi legati al mito della mummia il secondo punto, la sepoltura del vivo, è sempre legata all'antica colpa della Mummia di aver infranto le leggi sacre e quindi di essersi meritata una mummificazione e una sepoltura eccezionali.Nel romanzo di Stoker la regina Tera sfidò con grande colpevolezza, in quanto donna, il potere maschile della casta sacerdotale e quindi la sua tomba fu nascosta all'interno di una rupe e oscurata dall'eterna maledizione degli dei.La sua mummificazione, pronta per il risveglio e per la rivalsa, ci condurrà la prossima volta dentro la sua avventura immaginosa, mostrandoci i simboli del sacro e del proibito che separano il mondo maschile da quello femminile.