In occasione del World Aids Day al Florence Queer Festival viene proiettata la pellicola di Zhang Ziyi, Together. Il regista ha avuto sempre una linea cinematografica molto dissidente, dissacrante, fuori da ogni limitazione, in una chiave poetica libera, emancipata, sarcastica. L'opposizione al regime e l'evidenzazione delle sue contraddizioni laceranti e repressive hanno portato l'ormai firma internazionale a produrre documentari e report su temi totalmente evasi e rimossi dalle autorità governative: dalla questione della droga a quella omosessuale, dalla microcriminalità all'illegalità diffusa, al tema del viaggio e dello sradicamento, raccontato sottoforma di diario, on the road come narrazione oseremo dire riprendendo un clichè alla Wim Wenders, in "Return to the Border", dove l'autore affronterà un ritorno alla sua città nativa, ai confini con la Corea del Nord, di cui evidenzierà, come in un tuffo nell'infanzia e nel passato ormai remoto e trascorso, un'autarchia dei comportamenti che vedono anche una certa ritrosia e afasia remissiva tipica delle società agresti e contadine. La marginalità, dunque, la precarietà, l'emarginazione e l'esclusione sociale sono i pilastri di una produzione che vede nel regista l'autore per eccellenza della "macchina digitale", quello strumento a basso costo utile a produrre doc o videoarte, strumenti che riescono e sono riusciti a scalfire il mondo omologato della cinematografia cinese, spesso soggetta al meccanismo di "ricatto economico", ossia il perverso compromesso finalizzato a ottenere cospicui fondi in cambio di un'acriticità assoluta. Il compromesso non è mai piaciuto a Zhang tanto che ha voluto esprimere attraverso le sue opere una "immagine spoglia" della Cina: a volte il cineasta rileva il reale riscritto con una dose di sarcasmo come in City Scene e in Bored Youth. La poeticità scalfisce la permanenza di un incessante ed esasperato dialogo tra l'autore e i protagonisti reali incontrati nel documentario Together, utile a dare una visione di speranza e di riscatto per le persone vittime di una malattia, l'Aids, che ancora non è profondamente conosciuta in Cina, nonostante ci siano stati provvedimenti negli ultimi anni diretti a garantire l'accesso all'assistenza sanitaria e alle cure. Il documentario ha una sua autonomia nonostante fosse stato realizzato inizialmente con l'idea di farne un "backstage" di Life is a Miracle, Mo Shu Wai Zhuan in lingua originale, diretto dall'altrettanto famoso regista cinese Gu Changwei. Il lavoro epocale della grande firma vede un contenuto toccante quanto drammatico, la storia d'amore tra due personaggi in un villaggio colpito e sconvolto dall'arrivo del virus, inizi degli anni 90, con tinte che danno un risvolto eclettico a livello estetico e di contenuto al lavoro cinematografico: melò, dramma a sfondo sociale e inserti grotteschi con una certa dose di cinismo, mai eccedenti sempre equilibrati. "L'AIDS per i cinesi è un discorso molto delicato, su cui c'è una certa sensibilità: per questo non è stato facile fare un film sull'argomento, siamo anche dovuti scendere a dei compromessi" confida Gu Changwei in un'intervista rilasciata a Movieplayer a Marco Minniti. La denuncia è presente nell'opera del regista quando si evidenzia come solo nel 2000 la malattia "venga ufficialmente riconosciuta" mentre "prima si parlava di «malattia calda», intendendo malattia letale, ed è così che viene chiamata nel film". La malattia all'inizio veniva denominata come grande febbre: ma di febbre, sottolinea l'autore, è ammalata tutta la società in preda all'avidità. Il lungometraggio delinea un confronto tra chi è vittima del virus e chi, quotidinamente, vive la propria esistenza nell'affanno continuo e alienante.
Zhang Ziyi ha ripreso, così, le testimonianze dirette di coloro che vivevano il villaggio dove è ambientato il film di Gu Changwei, questa è stata la volontà del regista di Life is a Miracle. Il documentario di Zhang è, così, contemporaneo al lungometraggio di Changwei. Together ha visto un lavoro di ricerca molto accurato da parte dell'autore, tanto da darne un'espressività lirica, una trama originale e una dimensione artistica autorevoli. Zhang Ziyi è venuto a conoscenza dell'esistenza di una comunità, presente anche sul web sotto il nome di QQ, un grande Instant Messaging Service cinese, di malati di Aids, per molto tempo silentiti o totalmente dimenticati dal resto della società e dalle autorità: con queste persone Zhang è riuscito a interlocuire, molti hanno voluto oscurare il proprio viso, mantenendosi nell'anonimato, attraverso un dialogo che vede la giusta scelta estetica dello scorrere continuo del testo, quasi come se lo spettatore fosse davanti al computer dello stesso autore, rileva efficacemente una recensione pubblicata su cinemagay.it.
È, quindi, fisso il campo di ripresa così come è a tutto campo, dando un effetto più rilevante, la visita che l'autore fa in una scuola di bambini affetti dal virus, confrontandosi con i volontari durante il percorso che conduce all'istituto. Uno stereotipo comune associava e, ancora in molti casi, associa oggi la malattia alla promiscuità: il pregiudizio sociale e culturale vengono abbattuti, o comunque rivisti, nella pellicola di Zhao Liang, affinchè si riesca ad aprire una breccia utile a confrontarsi con i malati di Aids e a tutelarne la dignità, analizzandone le condizioni di vita, spesso precarie e ai margini.
Qualcuno ha criticato al cineasta il tono, soprattutto nell'epilogo del documentario, troppo distensivo nei riguardi del potere, elemento sempre presente nella produzione di Zhao come aspetto deteriore dell'umanità e come soggetto repressivo verso cui occorreva ribellarsi con la capacità autonoma della denuncia. L'opera vuole, invece, avere un approccio di speranza e aprire spiragli di fiducia per un miglioramento delle condizioni civili e sociali di un'intera comunità di persone affette dal virus e di un atteggiamento intelligente e di comprensione da parte delle autorità, non più soggette a una cecità che ha mietuto innocenti vittime di un flagello devastante.
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