Magazine Cultura
L’impero cartaginese
di Pierluigi Montalbano.
Aristotele, nel IV a.C., studiò la costituzione di Cartagine e scrisse che gli interessi commerciali dei territori oltremare erano curati da corrispondenti subordinati all’amministrazione centrale. In Sardegna, la popolazione era culturalmente formata da genti nuragiche nelle quali, già da secoli, si erano integrati piccoli gruppi familiari di mercanti levantini (e di altri lidi) che scelsero di diventare sardi. In Sicilia, verso la metà del VI a.C., si sviluppò un fiorente mercato misto, formato da greci e cartaginesi. La parte occidentale dell’isola era in mano al potente impero di Cartagine, soprattutto le città di Mozia (Marsala), Palermo e Solunto. I greci controllavano la parte occidentale e fra i due imperi commerciali, soprattutto lungo la linea di confine, gli scontri furono frequenti. Stabilizzata la situazione in Sicilia, Cartagine , attratta dalle ricchezze minerarie e agricole della Sardegna, tentò un’impresa militare per la conquista dei porti sardi e nel 540 a.C. inviò una flotta al comando dell’ammiraglio Malco, desideroso di divenire una sorta di regnante locale. L’esercito cartaginese fu massacrato dai sardi e l’aspirante governatore fu crocefisso dai suoi stessi soldati al ritorno nella capitale nord-africana (così racconta lo storico Giustino nel 200 d.C.).
Qualche anno dopo, Cartagine si alleò con gli etruschi di Caere (Cerveteri) per cacciare via i greci focesi di Massalia (Marsiglia) e Alalia (Corsica) che disturbavano i commerci nel Tirreno. La coalizione, formata da 60 navi africane e 60 navi etrusche, affrontò nei pressi delle Bocche di Bonifacio una flotta di 60 navi greche. Fu una battaglia navale cruenta che si concluse con l’affondamento dell’intera flotta di ciascun contendente. I greci scompaiono per sempre dal panorama tirrenico, ma anche gli etruschi escono fortemente indeboliti. I sopravvissuti della battaglia navale si rifugiano nei villaggi sardi della costa nord-orientale e, si mescolano con i locali. Ciò è testimoniato dalla scomparsa, dopo un secolo di floride attività commerciali, dei materiali greci da Olbia.
Una decina di anni dopo, l’esercito cartaginese tenta una nuova conquista dell’isola. A capo delle truppe si trovano Asdrubale e Amilcare, figli del generale Magone che nel 560 a.C. conquistò parte della penisola iberica. Contrariamente a quanto riportato dalle fonti di parte (Polibio 160 a.C.), i cartaginesi non riuscirono a fiaccare la resistenza delle città costiere sarde, infatti, come traspare dalle iscrizioni dedicatorie del Tempio di Antas, nelle quali gli offerenti si dicono cittadini di Sulki e Karaly, è evidente che Cartagine, sconfitta negli scontri determinanti, scese a patti con i capi sardi e si limitò ad accordarsi per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie (inutilizzate nella fase nuragica precedente) e a collaborare nella gestione delle potenzialità agricole, saldamente in mano alle comunità nuragiche del Campidano. Un indizio della nuova politica economica fu l’abbandono dei territori non adatti allo sfruttamento agricolo a vantaggio di un’occupazione capillare delle pianure favorevoli alle colture cerealicole. Si nota la presenza di numerosi poderi che vanno a costituire la spina dorsale dell’economia isolana. I nuovi insediamenti agricoli si sviluppano particolarmente dove erano attivi, in età più antica, i ricchi cantoni nuragici. La politica di sfruttamento minerario fu caratterizzata dalla rivitalizzazione dei luoghi di culto nuragici. Furono edificati il Tempio di Antas, nel cuore del bacino argentifero sardo, e il tempio di Matzanni, accanto ai tre pozzi sacri nuragici e all’unico giacimento di stagno nativo dell’isola.
Nell'immagine: il Pozzo Matzanni di Vallermosa
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