L'importanza di chiamarsi Franco

Creato il 28 marzo 2015 da Giorgiocaccamo
I cugini di mio padre, venezuelani ma figli di siciliani emigrati lì negli anni '60-'70, possono votare alle elezioni italiane. E votano anche in Venezuela. Per i loro connazionali, sono "italiani" (detto anche con tono critico); per gli altri italiani, per i siciliani, per i loro parenti, sono gli "americani", i venezuelani. Anzi, a Modica il loro Paese è universalmente noto come "Americazuela". Un intreccio di nomi, nazionalità, identità. Ogni tanto ricordo di essere laureato in Antropologia culturale e quindi mi tornano alla mente certi concetti sul senso di appartenenza e sull'identità nazionale. Discorsi antropologici, non sociologici, mi preme sottolinearlo.

Una volta giocavano come oriundi Altafini, Angelillo e Sivori...

E così penso un po' a quei parenti lontani tutte le volte che si riapre il dibattito sugli oriundi, sugli italiani-stranieri. Per decenni la parola oriundi è stata quasi bandita. Il suo più cospicuo e immediato utilizzo è nell'ambito dello sport, soprattutto del calcio (la nostra nazionale di calcio a 5 è composta quasi interamente da brasiliani). Ecco, di oriundi non se n'è parlato per un po', dopo le sconfitte della nazionale italiana di calcio negli anni Sessanta: giocavamo da far schifo, ma la ben nota e sempre attuale tendenza a trovare capri espiatori portò a identificare in quei calciatori sudamericani naturalizzati italiani (in virtù di lontane parentele) i colpevoli degli insuccessi dei Mondiali 1962 e '66 (così come però erano stati artefici dei trionfi degli anni Trenta). Poi sono passati 40 anni e Marcello Lippi rinverdì la tradizione puntando sull'argentino Camoranesi, indispettito quando gli si chiedeva perché non cantasse l'inno di Mameli.
Il discorso, in realtà, è molto complesso. Altro che sport. Continua a esserci di mezzo l'arretrata legislazione italiana sulla cittadinanza, quella che assegna ai legami di sangue il primato per rilasciare presunte patenti di italianità. Lo ius sanguinis. Qui non si tratta di buttarla in polemica tra chi è favorevole a concedere la cittadinanza a chiunque nasca in Italia (applicazione estensiva dello ius soli) e chi invece difende ancora, più o meno consapevolmente, un principio di paradossale autarchia: italiano è solo chi "ha sangue italiano". In breve e semplificando: chi nasce in Italia da famiglia straniera deve aspettare la maggiore età per poter diventare eventualmente italiano, mentre chi è figlio o nipote o pronipote di italiani emigrati può vantare la cittadinanza tricolore. Gli "italiani nel mondo" valgono più delle "seconde generazioni".
La premessa è lunga. Arriviamo al punto. Il ct della nazionale di calcio, Antonio Conte, ha convocato due oriundi per le prossime partite: l'argentino Franco Damián Vázquez e il brasiliano Éder Citadin Martins, uno del Palermo, l'altro della Sampdoria. Giocatori discreti, nient'affatto dei campioni, tantomeno dei fenomeni. Anzi. La cifra comune agli oriundi del Ventunesimo secolo è una certa mediocrità. Lo stesso Camoranesi era un discreto calciatore che giocava con l'Italia perché la nazionale argentina lo ignorava. Così come tutti (TUTTI) gli altri oriundi hanno vestito o vestiranno la maglia azzurra perché scartati dalle rispettive nazionali. Da Amauri a Paletta, da Thiago Motta agli ultimi arrivati. Mentre i vari Balotelli & co. (Okaka e Ogbonna, tra gli altri), i Black Italians a cui dedicai la mia tesi di laurea, devono inevitabilmente combattere con i pregiudizi e gli stereotipi e il razzismo strisciante, Eder diventa italiano in virtù di un bisnonno e Vázquez per la mamma veneta. Le rispettive squadre sono contente: così si liberano pure posti da extracomunitari...
Non c'è niente da fare, il fenomeno degli oriundi continuerà. Con buona pace delle critiche di Roberto Mancini, allenatore dell'Inter(nazionale): una squadra piena zeppa di stranieri, che, ai tempi della prima esperienza nerazzurra dello stesso Mancio, raggiungeva il minimo legale di italiani in rosa grazie a qualche oriundo sudamericano. E ora lui si lamenta perché dice che con la nazionale dovrebbero giocare solo quelli nati in Italia. Coerente, perlomeno: ha lanciato lui Balotelli. Gli risponde Conte: la nazionale francese è piena di africani. Non ho parole... Agghiaggiande, direbbe lo stesso ct. Ma come si fanno a dire certe cose?!? Africani? Tutti francesi, tutti nati in Francia. Di africano hanno le origini, sempre che questo voglia dire qualcosa. Anche il "suo" Paul Pogba allora è africano? Ma per favore. Questo, checché ne dicano i benpensanti, si chiama razzismo.
Il "palermitano" Vázquez dunque potrebbe giocare da italiano, mentre il connazionale e compagno di squadra Paulo Dybala, decisamente più forte, crede nella chiamata della nazionale argentina. Pazienza per la nonna napoletana (e i parenti di origine polacca, peraltro). Intanto, però, tifosi e giornalisti palermitani e siciliani esultano perché dopo due anni c'è un rosanero in nazionale. L'ultimo era stato Federico Balzaretti, torinese oriundo di Pezzana, Vercelli.

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