Ci sono libri che lasciano il segno perché fanno da spartiacque fra il “prima” e il “dopo” negli studi su una materia. In questo caso la materia è un uomo: il leggendario Giuseppe Tucci (1894-1984), il più importante orientalista che l’Italia abbia avuto. E il libro in questione è la sua biografia (culturale, umana, politica) scritta da una brillante studiosa: Enrica Garzilli, sanscritista, blogger e direttrice dell’International Journal of Tantric Studies e del Journal of South Asian Women Studies.
L’enciclopedico lavoro di Garzilli si intitola L’esploratore del duce. Le avventure di Giuseppe Tucci e la politica italiana in Oriente da Mussolini a Andreotti. Con il carteggio di Giulio Andreotti (Memori/Asiatica Association, due volumi di circa 700 pagine ciascuno, 35 euro cadauno) e getta una luce definitiva su un uomo che è stato – fra luci e ombre – un protagonista assoluto della politica culturale italiana in Asia per oltre mezzo secolo.
Enrica Garzilli, autrice della biografia di Tucci
Esploratore, archeologo, grandissimo studioso dell’arte e della filosofia buddhista – in particolare di area himalayana – Giuseppe Tucci organizzò numerose spedizioni in Tibet (“il più grande amore della mia vita”, scrisse) dal 1929 al 1948; poi in Nepal dal 1950 al 1954. E bisogna ricordare che all’epoca questi Paesi erano praticamente sconosciuti in Occidente. Tucci ne riportò una serie di fondamentali conoscenze dell’arte buddhista, pubblicate poi nella collana di Indo-Tibetica ma anche in opere più “divulgative” come il suo libro Teoria e pratica del mandala (Ubaldini editore, pp. 167). Dal 1925 al 1930 insegnò in prestigiose università indiane frequentando uomini come il Mahatma Gandhi, il poeta Tagore e Radhakrishnan, per riversare poi la sua conoscenza della cultura indiana in opere come la Storia della filosofia indiana appena ripubblicata da Laterza (pp. 450, euro 12).
Inoltre, Giuseppe Tucci fondò e poi presiedette l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), che ha organizzato per decenni le missioni archeologiche italiane in Asia (nel mio piccolo anch’io partecipai a una di tali missioni, in Nepal, nel 1985, cioè un anno dopo la scomparsa di Tucci); fondò anche il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma, che custodisce una meravigliosa raccolta di sculture indo-greche del Gandhara; Tucci creò infine la più grande raccolta europea di testi (spesso manoscritti rarissimi) di cultura tibetana; e potrei continuare a lungo…
Fin qui le luci dello studioso, messe in giusta evidenza nei due volumi della sua biografia. Ma è giusto non tacere anche le ombre, del pari analizzate nell’opera di Garzilli. Tucci potè fare tutto quel che fece negli anni Venti e Trenta grazie alla protezione del filosofo fascista Giovanni Gentile. Tucci fu fascista? Certamente sì. Ma come ha ricordato qualche anno fa un altro grande orientalista, Fosco Maraini, “più che fascista Tucci fu tuccista”, ovvero utilizzò il rapporto con le istituzioni per realizzare le spedizioni e le ricerche che gli stavano a cuore, facendosi poi strumento e artefice della politica mussoliniana in Asia, che ebbe – fra le molte sue conseguenze – la visita in Italia del Mahatma Gandhi nel 1931 ( Mussolini sperava di utilizzare Gandhi in funzione anti-inglese) e lo stringersi del nefasto legame con il Giappone, che portò all’Asse italo-nippo-tedesco. Tucci ebbe dunque un ruolo di primo piano anche nella politica estera fascista in Asia.
Ma c’è un’ ombra ben peggiore sulla sua vita di illustre studioso e diplomatico “sui generis” : la firma che Tucci appose, insieme ad altre 180 “personalità”, sull’ignobile Manifesto della razza che diede il via alla politica antisemita del regime fascista. Un atto inescusabile, che rende ripugnante il Tucci politico tanto quanto era ammirevole il Tucci studioso orientalista (e non costituisce ammenda il fatto che lo stesso Tucci abbia salvato poi dalla deportazione lo psicologo ebreo Ernst Bernhard).
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Tucci in quanto fascista cadde in ombra e l’IsMeo venne chiuso. Per poter riaprire la sua “creatura” e ricominciare le proprie ricerche in Asia Tucci cercò e trovò, dopo quella di Giovanni Gentile, la protezione di un altro influentissimo politico: Giulio Andreotti. Che fece riaprire l’IsMEO e sostenne le missioni archeologiche italiane in Asia, legandole all’azione diplomatica del Ministero degli Esteri italiano.
Di questo e di moltissimo altro si parla nei due volumi dell’opera di Garzilli. Che non costituisce un “santino” di Giuseppe Tucci, bensì l’analisi dell’attività di uno studioso dell’Oriente che ebbe una notevole influenza sulla politica italiana in Asia e che – fra molte luci e alcune pesanti ombre – è stato comunque uno dei maggiori protagonisti della cultura italiana del XX secolo.