L’impronta della volpe è un noir fresco di stampa, sottolineo noir dal momento che Konaté, uno dei più importanti scrittori africani contemporanei, non si limita a raccontare e a risolvere un crimine. Egli vuole spingere il lettore occidentale a riflettere sulla realtà africana su cui tesse la sua storia, ad analizzare e ad avvicinarsi al mondo dei Dogon, un popolo animato da tradizioni antichissime.
Nel cuore del Mali, nella regione della falesia di Bandiagara, esistono paesaggi attraversati dal fiume Niger, villaggi costruiti con il fango, dove brulica la vita di questo popolo, basato su credenze animistiche, riti di divinazione, sulla magia. Un luogo quasi fuori dal tempo, ma anche qui il progresso inizia a insinuarsi silenziosamente, compaiono i primi interessi economici. Le conseguenze saranno tragiche. Tre ragazzi muoiono nel giro di poche ore in circostanze misteriose e il commissario Habib e l’ispettore Sosso iniziano a indagare. Vengono interrogate le persone e le autorità del posto, ma nessuno ha visto niente. Come è possibile che le vittime, destinate ad aumentare, muoiano in completa solitudine? Il presunto assassino riesce a uccidere a distanza? I due detective per poter sbrogliare la matassa dovranno abbandonare le proprie certezze, la razionalità non può essere d’aiuto. Riusciranno ad interagire con questa gente solo una volta che avranno compreso il loro modo di pensare. Credenze e tradizioni sono la chiave vincente. Il giallo, ben costruito, così passa quasi in secondo piano perché si raccolgono informazioni e si resta affascinati da questa misteriosa cultura africana, la cui divinità esprime la propria volontà attraverso le impronte delle volpi.
Cos’altro non ho detto? Ecco cosa: la scrittura di Konaté è semplice e scorrevole e l’acquisto del libro aiuta i progetti e le attività del COSPE.
Simona Leo
Moussa Konaté, L’impronta della volpe, traduzione di Ondina Granato, Del Vecchio Editore, pp. 200, euro 13.