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Più conosco gli uomini, più amo il mio cane. Questa frase, attribuita a Socrate, a Diogene e poi a Lord Byron, è sempre più attuale e fotografa un fenomeno in atto nella nostra società. Mi riferisco alla crescita e diffusione del sentimento di sfiducia, disprezzo e persino odio nei confronti del genere umano noto come “misantropia”. Non è indispensabile amare gli animali per professarsi misantropi. Basta avere maturato la convinzione che i nostri simili siano indegni del nostro amore e della nostra attenzione. Non credo d’essere un misantropo, non ancora, almeno, ma confesso che sono sulla buona strada per diventarlo. Quand’ero piccolo pensavo che il misantropo e l’uomo nero fossero la stessa persona. Da giovane, ritenevo i misantropi esseri infelici, pieni di problemi, in guerra con se stessi e quindi con il mondo. Perciò li commiseravo. Ero influenzato dalla ricca letteratura e dai luoghi comuni sul tema, in virtù dei quali la figura del misantropo è disegnata con tinte fosche. Mi condizionava il famoso dipinto di Bruegel il Vecchio custodito al Museo di Capodimonte di Napoli, in cui la figura del Misantropo avvolto in una mantello nero evoca atmosfere cupe e sinistre. Su di me influivano anche gli studi umanistici. Le parole di Socrate nel Fedonedi Platone, il giudizio di Aristotele, il pensiero di Schopenhauer e Heidegger, il Timone di Shakespeare e le Misanthropeper eccellenza, l’Alceste di Moliere, erano le fonti cui attingevo per considerare la misantropia un profondo malessere dell’anima. Ho scoperto questo malessere in molti artisti e letterati, fra cui Leopardi, Mark Twain, Bukowski, Cioran e Salinger. L’ho ritrovata in alcuni personaggi del piccolo e grande schermo, come il Dr. House e Hannibal Lecter. Lentamente, però, mi sono accorto che la misantropia non è così orripilante e, soprattutto, ingiustificata come si è solito credere. Nei suoi Pensieri, il grande imperatore-filosofo Marco Aurelio ammoniva se stesso (e implicitamente il lettore) a “non avere mai nei confronti del misantropo i sentimenti che il misantropo nutre nei confronti degli altri uomini”. Ho dunque cominciato a provare minore avversione per i misantropi, cercando di capirne le ragioni fino al punto di giustificarli. Intanto, è evidente che non si nasce misantropi ma lo si diventa. A fare insorgere in un uomo l’avversione per i propri simili è il mix di esperienze personali ed emozioni maturate nel corso della propria vita. Questo mix è fatto di sfiducia, delusione, amarezza, consapevolezza della malvagità e imbecillità umana, rabbia, impotenza. Insomma, un disincanto a causa del quale ci si accorge che l’uomo è un lupo per l’altro uomo, per cui conviene prendere le distanze oltre che le debite contromisure. Si comincia a soffocare i propri sentimenti per evitare d’essere feriti, ci si chiude in una torre eburnea in cerca della solitudine e della pace, e si osserva il flusso magmatico della vita dall’alto, giudicando e disprezzando il formicaio di cui un tempo abbiamo fatto parte. I misantropi non sono tutti uguali né sociopatici, sia chiaro. L’educazione, la cultura, la sensibilità e il ceto dettano le differenze. Ma tutti, io credo, a un certo punto della loro vita si vedono costretti ad affrancarsi dal prossimo, ritenendo questa scelta ottimale per porre fino alla sofferenza dell’anima. Non è un caso che alcuni filosofi abbiano emancipato la figura del misantropo, riconoscendovi l’uomo saggio che si oppone al dolore che sistematicamente altri uomini provocano più o meno consapevolmente. Il misantropo è una sorta di eroe solitario moderno e oggi più che mai lo capisco. Appartiene alla schiera dei disillusi, è uno che ha compreso che “l’inferno sono gli altri” come recita la famosa sentenza di Sartre. E l’amore? – si chiederà perplesso chi mi legge. Temo sia una delle concause della misantropia. Chi ama e crede negli altri, trovandosi ripagato con moneta falsa, facilmente finisce per soffocare le proprie mozioni di affetto e fiducia negli altri. Sentirsi traditi dall’umanità conduce gli esseri umani verso nuovi lidi, vuoi la ricerca spirituale o la passione per i beni materiali piuttosto che l’affetto verso gli animali. Ecco perché molte persone amano i cani, i gatti, i cavalli e in genere gli animali più di quanto non amino i propri simili. Non credono più nell’umanità e non mi sento di biasimarli. Può darsi che fra qualche anno io mi riconosca membro del club dei misantropi. In fondo ho sempre creduto nell’uomo, nella sua creatività e negli slanci del suo cuore. Ho sempre pensato che sia l’espressione più alta del creato, più alta delle stelle e delle galassie. Ma da un po’ di tempo a questa parte, confuso e deluso da un mondo che osservo con gli occhi di un alieno, mi ritrovo a pensare che il genere umano non potrà sopravvivere alla propria, sciagurata inclinazione verso il basso anziché l’alto. Cosa me lo fa credere? Mi basta osservare e ascoltare la gente, considerare la direzione di marcia. La gente si è incarognita e detesta il prossimo. Lo si deduce dalle relazioni sociali e dal comportamento umano nei luoghi pubblici, ad esempio. Rabbia, irascibilità, maleducazione e mancanza di rispetto dettano le parole e i gesti quando siamo al volante di un’auto nel traffico o su un treno, in qualsiasi ufficio pubblico e luogo affollato. La gente ringhia, schiuma, ti guarda in cagnesco e se hai la fortuna di essere una persona luminosa, ti odia. Non ti perdona di essere fortunato o felice. Ho sempre creduto e sostenuto l’umanesimo e oggi, alla vigilia del compimento dei miei primi sessant’anni di vita, riscontro con tristezza che l’umanesimo è estinto. Intorno a me urla sguaiatamente e si scalmana un’umanità viziata da falsi bisogni, velleità e prepotenze, meschinità e cattiveria, stupidità e arroganza. Un’umanità ignorante che ha rinunciato ai principi e ai valori in nome del relativismo e si è buttata a capofitto nel trogolo alla ricerca del potere e del piacere. Come si fa ad amare un’umanità così grifagna? Lo so, la gente non è tutta così. Esistono ancora le brave persone ma purtroppo, quando le incontriamo ci meravigliamo. Perché sono sempre di meno, sempre più isolate e incomprese per non dire dileggiate. La notizia più triste e preoccupante è che molti sono diventati misantropi e non sanno d'esserlo. Sono i misantropi del XXI secolo, misantropi odiosi che non fuggono negli eremi ma vivono come lupi in mezzo alle pecore. Odiano gli altri, che manipolano e di cui s’approfittano. Non hanno pietà né comprensione. A differenza dei misantropi di una volta (sprezzanti ma privi di malvagità) non si fanno scrupoli nell’azzannare le proprie vittime. Ce ne sono tanti, troppi in giro. Sono i discepoli di cattive scuole, allevati dalla televisione demenziale e dal cinema diseducativo, e hanno scelto d’essere dei predatori. Ragion per cui, la nuova misantropia si sta diffondendo inesorabilmente. Alla luce di questa tendenza, dichiaro la mia simpatia per i vecchi, cari e in fondo nobili misantropi la cui onestà morale riconduce in secondo piano la paura che ha soffocato in loro la speranza. Erano e sono innocui, non tanto diversi da noi.Una domanda, a questo punto, giusto per indurvi a riflettere. Chi sottoscriverebbero la frase di Cioran, noto misantropo: “Respireremmo finalmente meglio se un bel mattino ci dicessero che la quasi totalità dei nostri simili si è volatilizzata per incanto”.Siate sinceri, mi raccomando. Ci sta non sopportare più la gente.