Federsupporter Logo verde">Federsupporter Logo verde">">Federsupporter Logo verde">Federsupporter Logo verde">Federsupporter Logo verde">">Federsupporter Logo verde">Federsupporter Logo verde">">Federsupporter Logo verde" height="84" width="224" alt="Federsupporter Logo verde Lincoerenza del patteggiamento nella giustizia sportiva: le osservazioni di Federsupporter" class="aligncenter size-full wp-image-1476" />
Interessante intervista telefonica rilasciata dall’Avv. Massimo Rossetti all’emittente ligure Primocanale e disponibile sul loro sito internet.
L’Avv. Rossetti, responsabile dell’area giuridico-legale dell’Associazione Federsupporter, si concentra sulla poca coerenza dell’utilizzo dell’istituto del patteggiamento nell’ambito della giustizia sportiva.
Le considerazioni brevemente accennate nell’intervista telefonica possono essere trovate anche nel post sul sito di FederSupporter dal titolo “La Giustizia Sportiva: se fa comodo è Giusta!“
Don Rodrigo nel pallone
(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico-Legale)
“In che cosa posso ubbidirla? disse Don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui eran proferite, voleva dir chiaramente: bada a chi sei avanti, pesa le parole e sbrigati” (dal Capitolo VI dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni).
Le parole di cui sopra, che descrivono l’incontro tra Fra Cristoforo e Don Rodrigo, delineano con magistrale efficacia i tratti della mentalità e del comportamento del signorotto. Ebbene, detti tratti mi fanno immediatamente sovvenire quelli di alcuni “padroni” e “padroncini” del pallone. Arroganza, prepotenza, supponenza, convinzione di essere al di sopra di tutto e di tutti, ecco quello che, a mio avviso, si può desumere da una serie, purtroppo, né insolita né sporadica, di parole, atti e fatti di alcuni -non pochi- dei suddetti “ padroni” e “padroncini”.
Ciò ha trovato e trova piena e puntuale conferma avuto riguardo, in particolare, alle vicende del così detto “calcioscommesse”. Tutti o quasi tutti i soggetti interrogati e deferiti dalla Procura della FIGC hanno pubblicamente e reiteratamente ostentato dichiarazioni ed atteggiamenti di assoluta estraneità ai fatti loro contestati, di totale innocenza e, quel che più conta, di incrollabile certezza di poter dimostrare, all’occorrenza, in sede di giustizia sportiva, la veridicità ed il fondamento di quanto affermato. Non a caso, una formula, quasi di rito, è stata ed è “sereni e tranquilli”.
Ci si sarebbe, pertanto, dovuto e ci si dovrebbe attendere che questi “illibatissimi” soggetti, dall’alto delle loro conclamate “serenità e tranquillità”, dinanzi agli organi della giustizia sportiva, avrebbero dato e darebbero seguito e corso alle loro così impegnative e categoriche affermazioni. Si è assistito e si assiste, invece, ad una corsa sfrenata al patteggiamento con la motivazione che, nel processo sportivo, sarebbe pressoché impossibile far valere la propria innocenza: ciò in quanto vi sarebbe, rispetto al processo penale, l’inversione dell’onere della prova. Vale a dire che, mentre nel secondo è l’accusa che deve provare la colpevolezza dell’imputato, nel primo è quest’ultimo che deve provare la propria innocenza. Questo, però, non è vero.
Il processo sportivo, così come quello penale, si ispira ai principi del giusto processo costituzionalmente previsti e garantiti, in cui compete all’accusa portare le prove della colpevolezza piena dell’incolpato, fermo restando che, secondo la giurisprudenza sportiva, “la prova di ogni fatto, specialmente in riferimento ad un illecito sportivo, può anche essere e, talvolta, non può che essere, logica, piuttosto che fattuale” (cfr. Corte di Giustizia Federale, 19 agosto 2011, Comunicato Ufficiale n. 47/667 del 19 settembre 2011). A ciò aggiungasi che, secondo la giurisprudenza ordinaria di legittimità, la colpevolezza può essere provata anche mediante indizi, qualora essi siano gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni, precisi, cioè non generici e non suscettibili di diverse interpretazioni, concordanti, cioè non contrastanti tra loro.
Per quanto concerne il patteggiamento, come già specificato nelle mie note del 1° agosto scorso (vedi www.federsupporter.it), esso è (art. 444 e segg, CPP), oltreché conveniente per l’ordinamento sul piano dell’economia processuale, senz’altro premiale per l’imputato, implicitamente presupponendone la colpevolezza. Tale istituto, sempre a mio avviso, non dovrebbe, al di là delle suesposte convenienza e premialità, trovare applicazione nell’ordinamento sportivo con riferimento a quelli che, in detto ordinamento, costituiscono massimi illeciti, tra cui, per l’appunto, l’illecito sportivo e l’omessa denuncia di quest’ultimo. Fattispecie, quella dell’omessa denuncia che, secondo la giurisprudenza sportiva (cfr. Corte d’Appello Federale, Comunicato Ufficiale n.10/C del 23 settembre 2004), per essere integrata, richiede appena che “i tesserati abbiano avuto rapporti con persone che, anche solo stiano per porre in essere gli atti indicati al comma 1 (atti diretti ad alterare le gare, ndr)”.
Poiché, dunque, l’istituto del patteggiamento nell’ordinamento sportivo è mutuato da quello penale e poiché in quest’ultimo non è applicabile nel caso di reati molto gravi, non si comprende come mai, invece, in ambito sportivo esso sia applicabile anche nel caso di massimi illeciti contemplati dal suddetto ordinamento. Né mi si obietti che in ambito penale il reato di frode sportiva non è ritenuto particolarmente grave, comportando la pena della reclusione fino ad un massimo di due anni se il risultato della competizione alterata è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici o scommesse regolarmente esercitati, posto che i beni primari tutelati dal predetto ordinamento sono ben diversi da quelli tutelati nell’ambito sportivo.
Infatti, il bene primario che quest’ultimo considera e tutela è proprio quello del leale e corretto svolgimento delle competizioni sportive e non è privo di rilievo il fatto che, di recente, la Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC, nella decisione del 26 aprile scorso (Comunicato Ufficiale n. 90/CDN), abbia sancito che “l’art. 1, comma 1, CGS (Codice di Giustizia Sportiva, ndr), impone il rispetto a tutti tesserati in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, dei principi di lealtà-intesa come qualità di chi non ricorre a sotterfugi-, probità – intesa come rettitudine ed integrità morale-, ma soprattutto di correttezza- intesa come osservanza delle regole”.
Se, quindi, come un autorevole Presidente di un’importantissima società di calcio ha dichiarato e scritto nei giorni scorsi, “la FIGC e la sua giustizia sportiva continuano ad operare fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale” ciò, caso mai, potrebbe avere un fondamento, ma non nel senso voluto dallo stesso Presidente, bensì in senso opposto. Ripeto, infatti, che, a mio parere, ciò che potrebbe essere fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale è che la FIGC e la sua giustizia sportiva consentano il patteggiamento per l’illecito sportivo e per l’omessa denuncia di tale illecito.
Circa, poi, il fatto che pure ha suscitato scandalo nel suddetto Presidente, la Commissione Disciplinare Nazionale abbia respinto il patteggiamento intervenuto tra la Procura Federale ed i difensori dell’incolpato, poiché la pena patteggiata è stata ritenuta incongrua, ricordo che anche l’istituto del patteggiamento penale, che l’ordinamento sportivo mutua, prevede (art. 444, comma 2, CPP) che il giudice possa respingere l’applicazione della pena su richiesta, qualora ritenuta incongrua.
Laddove, se si tiene presente che la pena minima per omessa denuncia è pari a 6 mesi di squalifica, che la pluralità di tali omissioni e l’alterazione dello svolgimento e del risultato delle gare cui ineriscono comportano l’aggravamento delle sanzioni, l’applicazione, nel caso specifico, di una pena di tre mesi di squalifica giustifica ampiamente un giudizio di evidente incongruità. Senza, altresì, tenere conto del fatto che il deferimento per omessa denuncia era stato già una derubricazione dell’originaria incolpazione di illecito sportivo. Derubricazione piuttosto insolita, in quanto, quasi mai, dall’accusa viene applicato il principio “in dubio pro reo”, come è avvenuto nella fattispecie in esame. Applicazione che, piuttosto, appartiene all’organo giudicante, pur volendo considerare che, secondo l’art. 358 CPP, al Pubblico Ministero è concessa la funzione di svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona indagata.
Ricordo, inoltre, che, secondo quanto riportato il 28 maggio scorso dall’Agenzia Ansa, il Presidente del CONI, Dr. Petrucci, con riferimento alle operazioni disposte dalla Procura della Repubblica di Cremona, ebbe ad esprimere “sdegno ed indignazione” per quanto stava emergendo, con l’auspicio che “certi comportamenti illeciti vengano sanzionati senza indugio e con la massima severità, applicando tutte le norme in vigore” e concludendo che “il calcio deve ritornare ad essere patrimonio di milioni di tifosi e non ostaggio di pochi malfattori”.
Viene, allora, da chiedersi, specie alla luce di quanto affermato dal Presidente della Juventus, che cosa di diverso sia accaduto dal 28 maggio scorso ad oggi per far ritenere che “la FIGC e la sua giustizia sportiva continuano ad operare fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale”. Viene anche da chiedersi se una squalifica di tre mesi per una pluralità di omesse denunce per gare il cui svolgimento e risultato sarebbero stati effettivamente alterati sia congrua e se risponda a quell’auspicio del Presidente del CONI, a quanto consta, non contestato dal Presidente della Juventus, secondo cui “certi comportamenti illeciti vanno sanzionati senza indugio e con la massima severità”.
D’altronde, ci si interroga anche sul fatto se, più in generale, sia conforme a tale auspicio la manifesta incongruità e, quindi, l’assoluta mancanza di dissuasività e di deterrenza, delle pene che sono state applicate e che si stanno applicando mediante il ricorso diffuso al patteggiamento. Per fare un esempio, sta avvenendo come se la guida senza patente venisse sanzionata alla stessa stregua di un divieto di sosta. È in questo modo che “il calcio deve ritornare ad essere il patrimonio di milioni di tifosi e non ostaggio di pochi malfattori?”. E, per finire, tanto sdegno, scalpore e scandalo si sarebbero levati se, anziché parlare dell’allenatore di una società importante e potente, si fosse parlato dell’allenatore di qualche altra società? Il modo in cui certe parole sono state profferite sembra voler dire chiaramente “bada a chi sei avanti, pesa le parole e sbrigati”, do you remember Don Rodrigo?
Avv. Massimo Rossetti
(Responsabile Area Giuridico-Legale)



