Il partito berlusconiano, via via che passa il tempo, diventa sempre più un partito dove regna l’incoerenza. Seppure, onestamente, credo non sia vera incoerenza, bensì assenza totale di identità culturale e politica; vuoto etico e scarso rispetto per il proprio elettorato di riferimento, fatto di piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e persino dipendenti pubblici e privati.
Vedete, è dura dare le bastonate all’unico (grande) partito che si oppone alla sinistra, ma è anche vero che non ci si può nascondere dietro un dito o far finta di nulla, o continuare a bersi le incoerenze berlusconiane. Per quanto non sia affatto un antiberlusconiano (e non lo sono) e per quanto io riconosca al Cavaliere — che spesso ho “difeso” in questo blog — il merito di aver arginato l’egemonia dei poteri forti e della sinistra, riportando l’Italia su un assetto più liberale, è anche vero che l’attuale partito di maggioranza relativa è un vuoto a perdere. Un castello di nulla che ancora non capisco dove voglia andare a parare e quali siano i suoi obiettivi.
Fossi il leader di un partito di centrodestra in difficoltà, due cose avrei fatto. La prima sarebbe stata quella di non accettare compromessi con i poteri forti. “O me o il voto”, avrei detto. E se voto fosse stato e avessi perso, avrei perso con onore, difendendo in miei principi politici e il mio programma. Avrei lasciato la partita in mano all’avversario. Perché in una democrazia vera le cose funzionano così. Guardate in USA. I repubblicani persero le elezioni presidenziali a favore di Obama. I Democratici erano gasatissimi e pensavano di spaccare il mondo, di governare per sempre e cambiare l’America. Obama poi si è rivelato un flop, e oggi, a distanza di quattro anni, i Democratici sono nella merda. I Repubblicani con Romney rischiano di vincere alla grande o comunque di porre le basi per la vittoria del 2016.
Questa si chiama democrazia dell’alternanza, e per quanto non ci piaccia l’idea che a governare ci vada l’avversario politico, è così che funziona in una democrazia vera. Il problema è che in Italia “democrazia” è un concetto ostico, quasi alieno (salvo quando la si deve usare per demonizzare l’avversario di destra). Nel nostro paese ogni forza politica ha il terrore di perdere consenso, e dunque cerca i modi per mantenerlo o di rimandare l’inevitabile responso negativo, attraverso il compromesso con l’avversario e la suddivisione delle responsabilità. E allora, ecco che vengono svenduti i principi, i programmi e gli ideali per una poltrona, per un diritto di voto, che nella normalità dei casi dovrebbe spettare — con le relative responsabilità — a colui o coloro che escono vittoriosi dalle urne elettorali. In altre parole, le forze politiche (tutte) in Italia si sottraggono alle loro responsabilità, tendono cioè a non sottoporsi al processo elettorale o a ritardarlo il più possibile, anche a costo di sacrificare la democrazia attravero i governi tecnici, composti da individui non eletti da nessuno e legittimati soltanto da banche d’affari, investitori, Stati stranieri, e chi altro ha interessi diametralmente opposti a quelli del popolo italiano (come sta avvenendo ora).
L’Italia è una democrazia immatura. O forse non è nemmeno una democrazia. Sta di fatto che il PDL, per tornare al discorso di poco prima, ha dimostrato di essere parte integrante di questo sistema, di questo modo di pensare e ragionare. Ecco dunque la seconda cosa che avrei fatto. Dopo aver perso le elezioni e aver consegnato il Governo e la crisi alla sinistra, avrei ristrutturato il partito, gli avrei dato un’organizzazione solida, un programma liberale credibile, corredato di principi etici e morali d’acciaio. Perché è chiaro che se la gente oggi tende all’antipolitica è perché nei partiti attuali i principi sono ballerini, gli ideali non esistono, il concetto di politica si sovrappone a quello di affare personale e di tutela del proprio interesse particolare e dei propri privilegi di casta. La gente però ha bisogno della politica vera, ha bisogno di punti di riferimento, di persone pulite che fanno il suo interesse. Ha bisogno di ideali e idee, ha bisogno di sognare e di vedere questi sogni realizzati, forse solo in parte, ma in un contesto etico, morale e politico assolutamente trasparente. Diversamente il rischio è la morte della democrazia e la sua sostituzione progressiva — come già sta avvenendo in Italia — con oligarchie oscure, opache, capaci solo di scaricare le difficoltà economiche del paese sul popolo e dal popolo trarre le risorse per la sua sopravvivenza e il mantenimento del proprio potere egemonico.
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Ecco perché ritengo l’invito di Alfano un invito prima di tutto ipocrita, perché non mi puoi approvare prima un’imposta bastarda e persino incostituzionale, e poi invitarmi a non pagarla, compensando i crediti che io potrei vantare con lo Stato (e se non crediti?). E poi è una grossa pigliata per il culo. Nel programma del PDL c’era l’abolizione dell’ICI e la diminuzione della pressione fiscale. E invece? Invece guardatelo lì Alfano e i suoi a sostenere un Governo che non solo ha mantenuto le vecchie imposte, ma le ha persino ripristinate, inasprite, inventandone pure di nuove. Come può essere credibile un simile partito e il suo leader? Passino le barzellette, passino i festini e i guai giudiziari, ma non può passare (né deve passare) il tradimento del proprio elettorato di riferimento. Questo no, cari Silvio e Alfano. Questo no!
di Martino © 2012 Il Jester