Per quale motivo nessun leader statunitense è stato mai ospite d’onore in occasione dell’annuale parata per la Festa della Repubblica indiana? Dopotutto, vi hanno preso parte Capi di Stato e di Governo, Re e Regine di ogni parte del mondo e persino leader cinesi e pakistani. L’assenza degli Stati Uniti dalla lista è dunque singolare.
La scelta di un ospite d’onore per la Festa della Repubblica è un gesto denso di significato. Può indicare la direzione strategica che un Paese intende intraprendere, come nel caso dell’invito rivolto al primo ministro giapponese Shinzo Abe a presenziare come ospite d’onore alle celebrazioni del 2014. Analogamente, gli inviti sono stati estesi all’Iran nel 2003, al Brasile nel 2004, all’Arabia Saudita nel 2006 e all’Indonesia nel 2011. Altra scelta costante è stata la Russia, i cui Presidenti, prima sovietici e ora russi, hanno partecipato tre volte, l’ultima delle quali ha visto come ospite Putin, nel 2007.
In altre occasioni, si è celebrata la vicinanza a paesi come il Bhutan, il cui re è stato ospite d’onore nel 2013 per la quarta volta consecutiva. Alcune scelte, tuttavia, sono semplicemente sconcertanti: ad esempio, il Perù nel 1987, l’Argentina nel 1985 o la Bulgaria nel 1969.
Simbolismo
Nel 1958, un maresciallo dell’Esercito Popolare Cinese, Ye Jianying, partecipò alle celebrazioni; sono stati accolti anche alcuni leader pakistani, in particolare il Governatore Generale Ghulam Mohammed nel 1955 e Rana Abdul Hamid, Ministro dell’Agricoltura, nel 1965. Molti leader occidentali, come i Primi Ministri ed i Presidenti di Regno Unito, Australia, Germania e Francia hanno ricevuto un invito, ma nessun statunitense.
Si potrebbe sostenere che questo tipo di celebrazioni sono solo simboliche e non hanno un particolare significato. I simboli, tuttavia, hanno una finalità. In questo caso, essi denotano la bontà delle relazioni intrattenute. Diventa dunque degno di nota che nessun Presidente statunitense, nemmeno il venerato Lincoln, abbia ricevuto l’onore di una strada a lui dedicata, per non parlare di una statua a Nuova Delhi. Una strada del centro di Delhi porta il nome del primo Presidente della Repubblica di Cipro, l’arcivescovo Makarios III; un’altra è intitolata a Olof Palme, altre portano i nomi di Kwame Nkrumah, Gamal Abd el-Nasser, Nelson Mandela, Mustafa Kemal Atatürk e Alexander Dubček, ma nessuna, ad esempio, in memoria di John Kennedy che, nell’ora più oscura della storia indiana, la sconfitta del 1962, si è levato a sostegno del Paese.
Sotto molti punti di vista, quelle con gli Stati Uniti sono fra le più importanti relazioni esterne dell’India. Essere amici degli Stati Uniti, egemone globale sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha il suo peso in termini di assistenza, investimenti, esperienze, competenze e influenza politica.
Coltivare relazioni meno che amichevoli con gli Stati Uniti può, invece, causare notevoli problemi e l’India ha conosciuto entrambe le facce della medaglia. Gli aiuti statunitensi sono stati fondamentali nel prevenire una carestia di massa negli anni ’60, mentre il trasferimento di competenze ha rilanciato il sistema universitario indiano, consentendo il decollo della rivoluzione verde. Ma ancora più determinante per le sorti del Paese è stata la benedizione politica offerta dagli Stati Uniti, grazie alla quale l’India è rimasta uno dei destinatari preferenziali dell’assistenza della Banca Mondiale. Più di recente, l’appoggio USA ha reso possibile un miglioramento della posizione dell’India per quanto riguarda l’uso dell’energia nucleare a scopi civili.
Gli stessi USA, tuttavia, hanno dato vita al peggior incubo per la sicurezza nazionale indiana, quando hanno sostenuto ed armato la giunta militare in Pakistan, creando in ultima istanza un rivale dell’India. Inoltre, la distensione nelle relazioni sino-americane ha tenuto l’India in una posizione di squilibrio per tutti gli anni ’70 e ’80. Alcuni esperti credono che certi problemi nelle relazioni indo-americane siano di natura strutturale. Tali problemi sono riconducibili a diverse visioni del mondo, a contrastanti priorità economiche, nonché ad asimmetrie dei rispettivi poteri nazionali.
La Guerra Fredda
Negli anni ’50, lo sviluppo economico era la sfida più importante da vincere per l’India. Il Paese si prefisse dunque di promuovere la pace mondiale perseguendo una politica di non-allineamento rispetto ai due blocchi contrapposti. Per gli Stati Uniti, d’altra parte, la questione principale era la nascente minaccia proveniente dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati. In termini economici, gli Stati Uniti seguirono un percorso di capitalismo liberale ed erano alla ricerca di mercati “aperti” in cui investire e con i quali attuare scambi commerciali. L’India, dal canto suo, adottò un modello “socialistico”, isolando la propria economia dal resto del mondo. Questo modello, però, non diede i risultati attesi: l’India non riuscì a sviluppare appieno il suo potere nazionale, mentre le asimmetrie tra i due Paesi, già esistenti su questo fronte negli anni ’50, rimasero inalterate.
La fine della Guerra Fredda può aver cambiato molte cose, ma non ha modificato la visione di Nuova Delhi riguardo al non-allineamento, trasformata in chiave moderna in “autonomia strategica”. Sul versante economico, l’India ha subito dei cambiamenti accettando, seppure non pienamente, la “panacea” del liberismo economico. Permangono, tuttavia, significativi ostacoli agli investimenti ed agli scambi commerciali, spesso solo a causa di una burocrazia arretrata. Per quanto riguarda il potere militare, resta ancora l’asimmetria, sebbene l’India sia ora una potenza nucleare. La mancata ristrutturazione e riforma delle forze armate, però, continua a indebolirne le capacità.
Le relazioni indo-statunitensi
Nonostante le recenti tensioni legate al caso Khobgrade, l’India e gli Stati Uniti sono ora molto più vicini di quanto siano mai stati in passato. Tuttavia, è la qualità delle relazioni indo-americane che si differenzia notevolmente da quella delle relazioni che gli USA intrattengono con altre democrazie, quali Regno Unito, Germania, Francia e Giappone. L’India non sembra essere riuscita – come hanno fatto invece Cina e Pakistan – ad incassare i vantaggi delle sue relazioni con gli USA. Ciò è in gran parte la conseguenza tanto della persistente debolezza economica e militare dell’India, quanto della qualità della sua leadership politica, la quale non sembra in grado di portare il Paese oltre una strategia di “moderazione passiva” . Il potere economico e militare creano dinamiche proprie e, in un certo senso, l’India non riesce ancora porsi come interlocutore credibile nelle dinamiche di potere asiatiche.
Ma, per tornare all’interrogativo di partenza, perché l’India incontra tante difficoltà nel riconoscere il valore delle proprie relazioni con gli Stati Uniti e nel promuoverle apertamente? Ciò è in parte il riflesso della costante diffidenza nei confronti degli Stati Uniti per quanto riguarda il delicato stato delle relazioni indo-pakistane, ma soprattutto è il segno di un complesso di inferiorità nazionale. Gli americani si fanno metafora del parente ricco, dal quale l’India si sente in diritto di ricevere aiuto, senza però ammetterlo, in quanto una tale ammissione non farebbe che esaltare il proprio fallimento nell’accumulare la moneta di scambio del potere: un’economia florida o un potente apparato militare.
(Traduzione dall’inglese di Giulia Micheletti)
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