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L'Indice dei libri proibiti

Creato il 04 febbraio 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Il 4 febbraio 1966 terminava, dopo più di quattrocento anni, una pratica vergognosa di controllo del pensiero e delle masse. Con la fine dell'Inquisizione romana, infatti, venne definitivamente abolito l'Indice dei libri proibiti, istituito nel 1558 in pieno clima controriformistico per imporre una stretta soffocante al libero pensiero e a presunti spunti di corruzione morale, a difesa della purezza e a garanzia della salvezza dell'uomo dopo la morte.
L'Indice dei libri proibiti
Non si trattò, nemmeno nel lontano XVI secolo, di un'operazione nuova, perché la distruzione di documenti ritenuti in contrasto con posizioni ideologiche dominanti, politiche o religiose che fossero, venivano distrutte e condannate già nell'antichità, ma il fenomeno crebbe nel corso del Medioevo, un po'perché il processo di copia dei testi era estremamente selettivo e vi era, prima dell'invenzione della stampa, la necessità di far economia di materiale scrittorio e tempi in favore dei testi moralmente più accettabili, un po'perché le minacce di eresia erano percepite come una presenza assillante e pronta a sovvertire dogmi e direttive comportamentali. Fu tuttavia in seguito allo scoppio dei movimenti riformistici protestanti, che ridussero drasticamente la reputazione e l'autorevolezza della Chiesa sia in campo dogmatico che dal punto di vista etico, che Roma intervenne in maniera pesante. Ancor prima della fine del Concilio di Trento (1545-1563) vennero imposti rigidi codici comportamentali e, attraverso l'Indice, venne condannata la lettura di grandissime quantità di testi che vennero bruciati in una grottesca ordalia culturale.
Nell'Index Librorum Prohibitorum vennero inseriti fin da subito il De Monarchia di Dante, Il Principe di Machiavelli, il Decameron di Boccaccio, ma esso crebbe a dismisura nei secoli successivi, inglobando opere di letterati (Erasmo, Bembo, Ariosto, Alfieri, Foscolo, Zola, Dumas padre e figlio, Sartre, Moravia), scienziati e matematici (Galileo, Cartesio), filosofi (Bruno, Pascal, Hobbes, Voltaire) e, addirittura, un papa, Enea Silvio Piccolomini. Si tratta, ovviamente, solo di una piccolissima parte degli autori coinvolti nel rastrellamento, che, in alcuni casi, si tradusse in una persecuzione vera e propria mentre erano in vita (si tengano presenti i casi di Galileo e Bruno, per citarne solo un paio).

L'Indice dei libri proibiti

La statua bronzea di Giordano Bruno in Campo de'Fiori a Roma,
realizzata da Ettore Ferrari nel 1889

Questa caccia alle idee ha frenato per secoli il libero pensiero, soffocato le arti, represso la scienza e ingabbiato l'umanità nei pregiudizi nelle tenebre dell'ignoranza. Al monitoraggio religioso si unirono, in un sedimentarsi di oscurantismo, le azioni di censura dei diversi regimi politici, che si tradussero anche in condanne fisiche ai danni dei nuovi oppositori.
Pensare che una simile situazione si sia mantenuta fino a cinquant'anni fa provoca la nausea. Ecco perché è fondamentale ricordare l'importanza della libera espressione (ovviamente nei limiti della legalità e del rispetto dei diritti umani) e della cultura. Ecco perché - e mi sembra quasi provvidenziale che la ricorrenza dell'abolizione dell'Indice cada proprio in questi giorni - va ricordato che bruciare un libro esponendo in maniera plateale un simile gesto come un'azione liberatoria o di giustizia popolare significa inneggiare ad una forma di violenza e resuscitare pratiche che, anche laddove non si voglia effettivamente riproporne la diffusione, testimoniano uno dei lati peggiori della cosiddetta civiltà.
Solo un paio di mesi fa veniva lanciata nel web l'iniziativa I libri non si bruciano. Si leggono. E oggi mi sento di ribadire l'importanza di condannare certi gesti non per prese di posizione politiche o in favore di questo o quel personaggio pubblico, né per stabilire in maniera perentoria che nessuno possa disfarsi di un libro sgradito (ciascuno, in fondo, fa quel che gli pare con i propri averi), ma per sottolineare che lo sbandierare certi gesti presentandoli come segni di liberazione o superiorità etica appare come un motteggio di un lato della storia di cui non dovremmo andare fieri.
C.M.

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