L'indispensabile minimo
Da Marcoscataglini
Io lo so che sbaglio (chi non sbaglia?), ma non resisto, ecco tutto. Inizio a leggere un saggio che poi rimanda ad un altro, poi ad un altro, ed un’altro ancora, in modo virale. Impoverisco le mie magre finanze, ma arricchisco i miei pensieri, e questo, dico io (perchè mia moglie dice invece che anche le tasche andrebbero almeno un po’ arricchite), è certamente un bene. Comunque, tempo fa stavo a Milano ed avevo un po’ di tempo a disposizione: così me ne sono andato in un negozio che vende gadgets legati alla natura. Qui trovo (ed acquisto) un libro delizioso, “Cloudspotting” di Gavin Pretor-Pinney: per un fotografo amante del paesaggio come me, l’osservazione e lo studio delle nuvole è un piacere enorme, e rende più consapevoli quando si scatta. Il libro è in pratica una guida per coloro che trascorrono il proprio tempo libero ad ammirare la grandiosità delle nubi e che vogliono comprenderne le dinamiche. L’autore fa parte della redazione di una rivista britannica chiamata “The Idler” (l’ozioso) interamente dedicata agli sfaccendati ed ai praticanti, appunto, dell’ozio (ma creativo). A dirigere questa rivista è uno scrittore completamente fuori di testa, ma che alla fine dice cose sacrosante, che fanno riflettere: Tom Hodgkinson. Ovviamente i suoi riferimenti erano nel libro delle nuvole, così ho acquistato due suoi saggi editi in Italia, e li ho trovati brillanti (ed anch’essi ricchi, in senso lato, di spunti utili per un fotografo creativo). I libri ci cambiano, cambiano le nostre idee, esaltano i nostri dubbi, soprattutto se sono buoni libri. E’ questo il motivo per cui ho cominciato con nuova lena a scattare con la Holga ed altre fotocamere economiche, è questo il motivo per cui mi sto sforzando, anche nella professione, di basare la mia attività non sugli strumenti, ma sulle finalità. Il mercato vorrebbe imporci l’acquisto di sempre nuove fotocamere, di nuovi strumenti sempre più perfezionati e potenti (e costosi). Ma ne abbiamo davvero bisogno? Credo che non sia stupido riappropriarci, per quanto possibile, delle nostre più profonde capacità. Siamo passati da una tecnologia più comprensibile e gestibile (la pellicola) ad una di cui non siamo in grado di comprenderne fino in fondo il funzionamento. Un tempo c’era chi si produceva da solo i materiali sensibili e magari scattava con fotocamere a foro stenopeico autocostruite. In teoria, con un po’ di capacità e conoscenze tecniche (specie di chimica), chiunque è in grado di realizzare i materiali necessari per scattare una foto analogica (magari di non grande qualità tecnica, ma certo creativa). Chi saprebbe costruirsi oggi una fotocamera digitale? O una stampante? Certo, abbiamo la possibilità di controllare molto di più lo “sviluppo” delle nostre foto oggi che dieci anni fa, ma non è certo la stessa cosa. Questa, ovviamente, non vuole essere una “tirata” contro il digitale (che a me piace tantissimo), ma dobbiamo essere sempre profondamente consapevoli degli strumenti che utilizziamo, e tirarci fuori dalle logiche di mercato, per approdare, invece, sulle sponde dell’arte. Se a queste considerazioni aggiungiamo quelle contenute nel libro “Avanti Tutta” di Simone Perotti (il guru italiano del downshifting), il quadro è completo. Ad esempio:”...il Sistema che ci circonda prova a venderci qualcosa che non ci soddisfa, in modo da poterci vendere altro il prima possibile. Capite? Noi paghiamo qualcosa perché non ci soddisfi appieno. Non vi sentite come me un po' sfigati, accorgendovi di questo?”. Vi viene in mente nulla? Vi siete mai chiesti come mai quando leggete i test di una qualsiasi fotocamera (sulle riviste cartacee o online) il redattore segnala sempre che si, l'oggetto in questione funziona benissimo, però non si capisce come mai il costruttore abbia lasciato questo o quel difetto? Perché è stato tolto il pulsante della profondità di campo? Perché il monitor ha solo 230.000 pixel quando i modelli più avanzati ne hanno quasi un milione? Perché non ci sono le esposizioni multiple? Perché certe regolazioni non sono presenti? Già, perché? A volte sono sottrazioni di basso costo: togliere la presa pc del flash, o non mettere un comando ad hoc per l'autoscatto o limitare quest'ultimo ai soli tempi di 2 e 10 secondi quanto fa risparmiare? Centesimi, al massimo. E allora perché? La risposta è che voi non dovete essere totalmente soddisfatti della vostra nuova fotocamera, in modo che abbiate sempre l'impressione di doverne comprare una più evoluta e completa, in grado di darvi “tutto ciò che serve”. Un esempio lampante è dato dalle fotocamere compatte della Canon. Ottime, per carità. Io adoro la mia G9, anzi è forse la mia fotocamera principale. Ma, mi sono sempre chiesto perché i tempi di scatto più lenti si fermino a 15 secondi. E perché non ci sono le esposizioni multiple? La Panasonic Lx 3 (e ora la Lx 5) arriva a 60 secondi e ha le esposizioni multiple, ad esempio. Poi ho scoperto un software su Internet che “cracca” il software interno di gran parte delle compatte Canon, aggiungendo il formato RAW ai modelli che ne sono privi, portando i tempi di scatto sino al minuto e insomma, trasformando anche il modello più economico o antiquato in un gioiellino in grado di fare quasi tutto. E allora? Il limite non è dunque nell'hardware, per così dire, i limiti sono messi via software! Con un semplice aggiornamento, fattibile anche via Internet, la Canon potrebbe fornire ai suoi clienti degli oggetti tecnologici di grande livello, in grado di dare notevoli soddisfazioni per molti anni. Immaginate perché non lo fa?
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