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L’Uno (in noi) è causa dell’unità, determinazione, stabilità, uguaglianza. La MONADE (UNITA’ , TAO ).
La molteplicità è effetto di mutevolezza, dicotomia, frazionamento, allontanamento, distinzione, divisione, indeterminatezza, diseguaglianza… La DIADE Illimitata, indefinita (Dualismo Transuente delle Sub-Potenze come attributi di Yin e Yang).
L’Uno in Noi (intesi come Moltitudine di Esseri Viventi) lascia qualche traccia, dei principi (Arché), immagini impresse nell’anima come essenze dell’intelletto. È il principio UNITARIO , il centro dell’essenza che determina l’ascesa conoscitiva dell’anima in tutte le sue fasi, consentendo infine la RIUNIFICAZIONE.
E’ possibile ravvisare in ogni grado della realtà la presenza dell’Uno, fondamento universale del tutto. In particolare esiste anche nell’anima una traccia, un’immagine del principio primordiale, il cosiddetto Uno i noi, vertice o fiore dell’anima, dell’intelletto e della nostra stessa esistenza… Questo Uno non è totalmente indicibile, , ma solo non dicibile per mezzo di un semplice discorso affermativo o negativo.
Invece, Nulla del genere può essere applicato al principio ineffabile supremo (L’Uno vero e proprio) che è privo di qualsiasi relazione o elemento comune con il mondo -> ” non è partecipato né comunica qualcosa di sé alle cose che derivano da lui”.
Mentre l’Uno in noi (pur essendo inferiore all’Uno vero e proprio) è in grado di indicare la via al nostro desiderio di conoscenza, il principio supremo è invece oggetto di un’ignoranza assoluta (l’Uno vero e proprio) proprio per l’essenza di qualsivoglia punto di contatto tra noi ed esso. Ne consegue il rivolgimento, capovolgimento dei nostri pensieri e desideri su di lui, non avendo nessun contatto esso è nulla, anzi non è neppure questo, non è neppure il nulla… Non esiste un equivalente concettuale adeguato per esprimerlo.
Eppure non si può negare che l’ineffabile sia qualcosa di cui parliamo. Allora come si formano in noi tali ipotesi, rappresentazioni?
Esso non offre alcun appiglio o sospetto di sé alla conoscenza. Le ipotesi-pensieri-inferenze logiche che formuliamo e le rappresentazioni che formiamo non nascono in virtù di una comunanza ontologica, bensì attraverso i ragionamenti sul principio immediatamente inferiore, l’Uno (in noi).
Tutte le idee che ci formiamo sull’ineffabile non lo hanno per oggetto, bensì riguardano i nostri scatti soggettivi (opinioni infondate) a lui riferiti.
Le affermazioni sull’ineffabile non dicono nulla sulla sua natura, ma descrivono soltanto le nostre rappresentazioni, infondate, su di esso, il contenuto della nostra ignoranza.
Per spiegarci meglio vediamo il seguente aneddoto:
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E’ come se un cieco dalla nascita negasse l’esistenza del calore nel colore. Costui potrebbe forse avere ragione, poiché il colore non è caldo. Il calore, infatti, è tangibile, e lo conosce attraverso il tatto, mentre non sa assolutamente nulla del colore (l’ineffabile), se non che non è tangibile (sa infatti che non lo conosce). Una conoscenza siffatta, però, non è affatto una conoscenza di quello [del colore], bensì della propria ignoranza. E così anche noi, quando diciamo che quello [l'ineffabile] è inconoscibile , non riferiamo nulla di esso, ma riconosciamo un nostro stato relativo ad esso. L’insensibilità del cielo e la cecità non risiedono infatti nel colore, bensì nell’osservatore: e pertanto è in noi l’ignoranza di quello che ignoriamo
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In atre parole il secondo Uno (l’Uno in Noi, cioè quello inferiore) è la prima Ipostasi, è l’insieme dei fenomeni molteplici in forma assolutamente in divisa, come totalità (anteriore a qualsiasi divisione) che fa assorbito ogni cosa nella sua semplicità. La seconda ipostasi è il Nous, l’intelletto intrinsecamente contraddistinto dalla molteplicità.
Di lui viene detto: la cosa più comprensiva di tutto… la circonferenza estrema… il muro di cinta del tutto… il vertice indiviso… l’avvolgimento più ampio dell’universo… il perimetro della realtà… il limite dell’illimitato… l’uno anteriore a tutti i molteplici.
Se per tali ragioni l’Uno (inferiore) si sottrae alla piena conoscenza, a maggior ragione si sottrarrà ad essa l’Uno supremo, il principio ineffabile, assolutamente indeterminato e superiore.
Egli non è né conoscibile né inconoscibile; ragionare su di esso equivale a un ” camminare sul vuoto”, ha un vacuo ” declamare meccanico”.
E’ sbagliato imporre all’uno e indeterminato una determinazione di qualsiasi sorta
Plotino sull’Uno Supremo:
” non è lui (l’ineffabile) il non-ente incomprensibile a chi voglia conoscerlo, ma siamo noi il nulla rispetto lui. Per questo non v’è modo di conoscerlo, perché nulla sono tutte le altre cose rispetto quello, mentre le conoscenze afferrano i simile con simile… mi sembra evidente che noi riferiamo a lui le nostre affezioni!”
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RENÉ GUENON – GLI STATI MOLTEPLICI DELL’ESSERE
Premessa
[…]
In realtà lo stato umano è soltanto uno stato di manifestazione come tutti gli altri, e fra un numero indefinito di altri; esso si trova, nella gerarchia dei gradi dell’Esistenza, nella posizione assegnatagli dalla sua stessa natura, cioè dal carattere limitante delle condizioni che lo definiscono, e questa posizione non gli conferisce né superiorità né inferiorità assolute.
[…]
Quando parliamo di stati superiori di stati superiori e inferiori dobbiamo operare tale ripartizione gerarchica sempre in relazione allo stato umano preso come termine di paragone, poiché nessun altro stato è direttamente sperimentabile da noi in quanto individui.
[…]
È opportuno tenere sempre conto dell’inesprimibile, ossia di ciò che non può essere racchiuso in alcuna forma.
[…]
Dobbiamo ricordare che, quando parliamo di stati molteplici dell’essere, ci riferiamo a una molteplicità di ordine «trascendentale».
I – L’infinito e la molteplicità
Per comprendere appieno la dottrina della molteplicità degli stati dell’essere, occorre risalire alla più primordiale delle nozioni, quella dell’Infinito metafisico. L’infinito è ciò che non ha limiti. Tale è in particolare il caso dello spazio, del tempo.
La formazione dell’indefinito a partire dal finito è possibile solo a condizione che il finito contenga già in potenza l’indefinito. È del tutto evidente, per la natura stessa stessa del rapporto causle, che il «più» non può scaturire dal «meno», né l’Infinito dal finito.
L’Infinito, per essere veramente tale, non può ammettere alcuna restrizione, il che lo presuppone assolutamente incondizionato indeterminato, poiché ogni determinazione è necessariamente una limitazione.
Ciò che non ha limiti è ciò di cui nulla si può negare, dunque ciò che tutto contiene, ciò al di fuori del quale non vi è nulla.
L’idea dell’Infinito, quale è stata da noi qui enunciata, non può racchiudere alcuna contraddizione, proprio in quanto non contiene alcunché di negativo. Infatti, se si considera il «Tutto» in senso universale e assoluto, è evidente che non può essere limitato in alcun modo.
Nulla può esservi al di fuori dell’Infinito, poiché ciò sarebbe una limitazione, e l’Infinito non sarebbe più tale. Concepire una «pluralità di infiniti» è un’assurdità, perché essi si limiterebbero l’un l’altro.
A rigore non si può nemmeno parlare di una molteplicità di aspetti in esso realmente e «distintivamente» esistenti; siamo noi, in realtà, a concepire l’Infinito sotto diversi aspetti, perché non ci è dato fare altrimenti.
Quel che conta, però, è comprendere appieno ciò da cui nasce e dipende la limitazione, in modo da attribuirla soltanto alla nostra stessa imperfezione e senza trasferire tale imperfezione nell’àmbito illimitato della stessa Possibilità universale.
L’Infinito è considerato allora più particolarmente nel suo aspetto attivo, mentre la Possibilità ne è l’aspetto passivo; però, sia esso da noi considerato come attivo o come passivo, si tratta sempre dell’Infinito.
Si tratta in definitiva di «perfezione attiva» (Khouen), in quanto la Perfezione, in senso assoluto, è identica all’Infinito inteso nella sua totale indeterminatezza.
II – Possibili e compossibili
La Possibilità Universale, abbiamo detto, è illimitata, e non può che essere illimitata. Ne discende che tutti i sistemi filosofici dell’Occidente moderno sono ugualmente impotenti dal punto di vista metafisico, in quanto sistemi [Va infatti osservato che ogni sistema filosofico si presenta essenzialmente come opera di un individuo.]. Essi non sono infatti, come tali, che concezioni limitate e chiuse, le quali possono avere un certo valore in ambito relativo, ma diventano pericolose e false nel momento in cui ambiscono a qualcosa di più e pretendono di essere un’espressione della realtà totale. È uno dei motivi per cui il pensiero filosofico non ha e non può avere niente in comune con le dottrine di ordine puramente metafisico.
Ciò va ben compreso, al riguardo, è che una possibilità di manifestazione non ha, come tale, alcuna superiorità rispetto a una possibilità di non-manifestazione, ha soltanto una natura diversa.
Si può solo dire che, come le caratteristiche di un determinato oggetto escludono da tale oggetto la presenza di altre caratteristiche con le quali esse sarebbero in contraddizione, così le condizioni da cui un determinato mondo è definito escludono da quel mondo i possibili la cui natura non implica una realizzazione soggetta a quelle stesse condizioni; tali possibili sono pertanto al di fuori dei limiti del mondo considerato, ma non per questo sono esclusi dalla Possibilità.
Lo spazio non è che uno dei possibili modi della manifestazione.
III – L’essere e il non essere
I diversi modi della manifestazione universale, cioè tra i diversi ordini di possibilità che essa comporta e che costituiscono la moltitudine indefinita dei mondi o dei gradi dell’Esistenza.
Se si definisce l’Essere. in senso universale, come il principio della manifestazione, e nel medesimo tempo come ciò che di per se stesso comprende l’insieme di tutte le possibilità di manifestazione, dobbiamo dire che l’Essere non è infinito, poiché non coincide con la possibilità totale. Al di fuori dell’Essere vi è dunque tutto il resto, cioè tutte le possibilità di non-manifestazione, e inoltre le possibilità di manifestazione allo stato non manifestato. Per designare ciò che è pertanto al di fuori e al di là dell’Essere, siamo costretti a chiamarlo Non-Essere. Il Non-Essere, nel senso indicato, è al di là dell’estensione dell’Essere, e contiene in principio l’Essere stesso. L’infinità appartiene soltanto all’insieme dell’Essere e del Non-Essere, poiché questo insieme coincide con la Possibilità universale. L’Essere manifesta le possibilità, il Non-Essere non le manifesta. L’Essere contiene dunque tutto il manifestato; il Non-Essere contiene tutto il non-manifestato. Incluso l’Essere stesso; ma la Possibilità universale comprende a un tempo l’Essere e il Non-Essere. Per ciò che concerne i rapporti tra l’Essere e il Non-Essere, è fondamentale osservare che lo stato di manifestazione è sempre transitorio e lo stato di non-manifestazione è l’unico assolutamente permanente e incondizionato.
IV – Fondamenti della teoria degli stati molteplici
Se si considera un qualsiasi essere nella sua totalità, esso dovrà comportare, perlomeno virtualmente, stati di manifestazione e stati di non-manifestazione, perché solo in questo senso si può davvero parlare di «totalità»; in caso contrario, si è soltanto in presenza di qualcosa di incompleto e frammentario, che non può veramente costituire l’essere totale.
L’ambito della manifestazione è propiamente l’ambito del transitorio e del molteplice, soggetto a continue e indefinite modificazioni.
Gli stati di non-manifestazione appartengono all’ambito del Non-Essere, considerato nella sua integralità. L’Esistenza universale sarà allora la manifestazione integrale dell’insieme delle possibilità che l’Essere comporta.
L’Esistenza, pur nella sua «unicità», comporta una indefinità di gradi, che corrispondono a tutti i modi della manifestazione universale e tale molteplicità indefinita dei gradi dell’Esistenza implica come correlato una molteplicità ugualmente indefinita di stati di manifestazione possibili. Quindi, ciascuno stato di manifestazione di un essere corrisponde a un grado dell’Esistenza.
Ciascuna di queste condizioni, presa singolarmente, può estendersi al di là dell’ambito di quella modalità e, grazie alla propria estensione, o combinandosi con condizioni di altra natura, costituire gli ambiti di altre modalità che fanno parte della medesima individualità integrale.
È quasi superfluo sottolineare lo scarso rilievo che ha l’«io» individuale all’interno della totalità dell’essere: esso non rappresenta infatti che uno stato come gli altri.
V – Rapporti fra l’unità e la molteplicità
Nel Non-Essere non vi è molteplicità e, a rigore, non vi è nemmeno unità, perché il Non-Essere è lo Zero metafisico, che è logicamente anteriore all’unità.
Lo Zero metafisico è soltanto un aspetto dell’Infinito; o almeno ci è consentito considerarlo tale in quanto contiene in principio l’unità, e di conseguenza tutto il resto.
L’unità, allorché è affermata, contiene in principio la molteplicità, ovvero è essa stessa il principio immediato di tale molteplicità.
La molteplicità è compresa nell’unità primordiale, e non cessa di esservi compresa con il suo sviluppo in modo manifestato; tale molteplicità consiste nelle possibilità di manifestazione. La molteplicità dunque esiste nell’unità stessa, e l’unità stessa, a sua volta, non è un principio assoluto e autosufficiente, ma trae la propria realtà dallo Zero metafisico. L’Essere, non è il principio supremo di tutte le cose; è soltanto, lo ripetiamo, il principio della manifestazione. Né l’unità dell’Essere né l’«unicità» dell’Esistenza escludono la molteplicità dei modi della manifestazione, e da ciò consegue l’indefinità dei gradi dell’Esistenza, nell’ordine generale e cosmico, e quella degli stati dell’essere, nell’ordine delle esistenze particolari.
VI – Considerazioni analogiche tratte dallo studio dello stato di sogno
Nello stato di sogno, l’uomo si trova in un mondo interamente immaginato da lui, i cui elementi sono di conseguenza tratti da lui stesso, dalla sua individualità più o meno estesa, come altrettante «forme illusorie».
VII – Le possibilità della coscienza individuale
La coscienza è piuttosto una condizione dell’esistenza in certi stati; si potrebbe dire che essa è una «ragion d’essere», poiché è evidentemente ciò attraverso cui l’essere individuale partecipa dell’Intelligenza universale. La coscienza è dunque qualcosa di peculiare allo stato umano ed è nondimeno suscettibile di un’estensione indefinita.
VIII – Il mentale, elemento caratteristico dell’individualità umana
Fra tutte le forme che la coscienza può assumere, ne esiste sicuramente una che è propriamente umana, e questa forma determinata (ahankara o «coscienza dell’io») è quella inerente alla facoltà che noi definiamo «mentale», cioè precisamente a quel «senso interno» designato in sanscrito con il nome di manas, e che è la caratteristica essenziale dell’individualità umana. Questa facoltà deve essere accuratamente distinta dall’intelletto puro.
IX – La gerarchia delle facoltà individualità
La profonda differenza fra l’intelletto e il mentale consiste essenzialmente nel fatto che il primo è di ordine universale, mentre il secondo è di ordine puramente individuale.
XI –Principi di distinzione fra gli stati d’essere
Se si considerano tutti questi stati nei loro rapporti con lo stato individuale umano, è possibile classificarli in «pre-umani» e «post-umani», senza però che l’impiego di tali termini debba in alcun modo suggerire l’idea di una successione temporale; non si può qui parlare di un «prima» e di un «dopo».
XII – I due caos
Fra le distinzioni che si basano sull’analisi di una condizione di esistenza, è quella tra gli stati formali e gli stai informali. Suddetta distinzione coincide dunque, in fondo, con quella fra gli stati individuali e gli stati non-individuali (o sovra-individuali), i primi dei quali comprendono nel loro insieme tutte le possibilità formali, e i secondi tutte le possibilità informali.
Il noto simbolo del «camminare sulle Acque» rappresenta l’affrancamento dalla forma, o la liberazione dalla condizione individuale.
XIII – Le gerarchie spirituali
Soltanto la gerarchizzazione degli stati molteplici della realizzazione effettiva dell’essere totale consente di capire come debbano venire considerate, dal punto di vista puramente metafisico, quelle che vengono chiamate genericamente «gerarchie spirituali».
Da quanto abbiamo detto consegue che per «gerarchie spirituali» possiamo intendere propriamente solo l’insieme degli stati dell’essere superiori all’individualità umana, e in special modo degli stati informali o sovra-individuali, stati che dobbiamo peraltro considerare realizzabili per l’essere a partire dallo stato umano, e ciò anche nel corso della sua esistenza corporea e terrena. Infatti questa realizzazione è essenzialmente implicita nella totalizzazione dell’essere, dunque nella «Liberazione», che permette all’essere di affrancarsi dai legami di ogni particolare condizione di esistenza. Perciò non può esistere alcun grado spirituale superiore a quello dello Yogi, poiché costui, giunto alla «Liberazione», non ha più nulla da ottenere.
XV – La realizzazione dell’essere per mezzo della conoscenza
L’essere si realizza attraverso la conoscenza, e che si può realizzare soltanto in questo modo. L’unica distinzione che possiamo legittimamente operare, quanto al valore della conoscenza, è quella già indicata tra la conoscenza immediata e la conoscenza mediata, cioè tra la conoscenza effettiva e la conoscenza simbolica.
XVI – Conoscenza e coscienza
La conoscenza, intesa in senso assoluto e in tutta la sua universalità, non ha affatto per sinonimo o per equivalente la coscienza. La coscienza non è che un modo contingente e particolare di conoscere, in determinate situazioni, una proprietà inerente all’essere considerato in certi stati di manifestazione; a maggior ragione non si può parlare in alcun modo di coscienza per gli stati incondizionati, cioè per tutto quel che oltrepassa l’Essere, dato che la coscienza non è nemmeno applicabile a tutto l’Essere. Al contrario, la conoscenza, non può tollerare alcuna restrizione e, per essere adeguata alla verità totale, deve essere coestensiva non solamente all’Essere, ma alla stessa Possibilità universale, e dunque essere infinita. Poiché la conoscenza totale è adeguata alla Possibilità universale, non esiste nulla di inconoscibile, ossia, in altri termini, «non vi sono cose inintelligibili, vi sono solo alcune cose attualmente incomprensibili», cioè inconcepibili non tanto in se stesse e in modo assoluto, ma solo per noi in quanto esseri condizionati, vale a dire limitati nella nostra manifestazione attuale alle possibilità di uno stato determinato.
XVIII – La nozione metafisica della libertà
La liberta come assenza di costrizione: la costrizione è una limitazione, ossia in realtà una negazione. Là dove non esiste dualità, non vi è necessariamente alcuna costrizione, e questo basta per provare che la libertà è una possibilità, dal momento che discende immediatamente dalla «non-dualità«, la quale, come è ovvio, è esente da ogni contraddizione. A questo punto, si può aggiungere che la libertà è non soltanto una possibilità nel senso più universale, ma anche una possibilità d’essere o di manifestazione. La libertà assoluta può appartenere soltanto all’essere liberato dalle condizioni dell’esistenza manifestata e divenuto assolutamente «uno», nel grado dell’Essere puro, o «senza dualità», se la sua realizzazione oltrepassa l’Essere.