L’infermiera ugandese Busingye: «l’HIV non si vince con il preservativo»

Creato il 13 dicembre 2012 da Uccronline

Ancora una volta il quotidiano Avvenire pubblica una bella intervista, in questo caso a Rose Busingye, infermiera ugandese  specializzata in malattie infettive, fondatrice e presidente del Meeting Point Kampala Association che si occupa della cura di pazienti affetti da HIV/AIDS, dei loro figli e dell’assistenza ai giovani.

Ricordiamo che la Chiesa è fortemente impegnata nella lotta contro l’HIV, oltre il 25% delle strutture che nel mondo assistono i malati di Aids sono cattoliche, tra i più attivi la Comunità di Sant’Egidio, l’associazione AVSI e il Catholic Medical Mission Board (Cmmb), quest’ultimo impegnato nelle aree più povere del mondo attraverso l’invio di personale medico volontario e di strumentazioni mediche, nonché la raccolta e la distribuzione di farmaci alle popolazioni bisognose. Numerosi anche gli interventi del Santo Padre su questa tematica, l’ultima proprio nel novembre scorso quando ha lanciato un appello di sensibilizzazione su questa tragica realtà in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS. Il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone ha anche richiesto l’accesso gratuito alle cure. Non a caso sia l’ONU che l’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, hanno ufficialmente ringraziato la Chiesa per il suo impegno (l’OMS tuttavia ha contribuito alla diffusione dell’HIV in Africa a causa di un contraccettivo ormonale distribuito)

Il Meeting Point di Kampala (Uganda) è una di queste realtà cattoliche dove hanno perfettamente capito -come ha spiegato il virologo Carlo Federico Perno-, che per combattere l’AIDS occorre un cambiamento culturale sulla sessualità, a nulla serve rovesciare in testa agli africani casse di preservativi colorati. La Busingye, da anni al fianco dei malati di HIV, ha infatti spiegato: «La nostra salvezza non sta dentro un pezzo di plastica. Dobbiamo tornare a essere uomini veramente. Uomini che hanno dignità e hanno valore. Il preservativo non serve a nulla se non si cambia prima il metodo, la vita. Applicare uno strumento e non cambiare la vita non porta a niente. Sarebbe come dire: tu sei un animale, che agisce soltanto seguendo il suo istinto, non sei un uomo che può controllarsi».

«Per questo da noi, in Africa», ha proseguito, «oggi l’uso del preservativo è visto soltanto come ultima spiaggia. Dobbiamo chiederci che senso ha il sesso. Oggi è come se fosse la cosa più importante del mondo. È l’esaltazione di un idolo. Se voglio bene all’altro e so che il metodo che sto usando porta in sé un minimo di pericolo, allora non rischio. Il vero problema è educare la persona a comprendere che ha un valore più grande, di cui è responsabile. La questione vera è il riconoscere il valore di sé stessi». Ha quindi proseguito: «rispondere soltanto a un bisogno (come può essere il sesso) dimenticando la totalità della propria persona lascia insoddisfatti. Perché il cuore è desiderio di infinito».

I risultati di questo metodo sono ostinatamente sotto gli occhi di tutti, alla faccia degli accusatori che nel 2009 si sono scagliati contro Benedetto XVI il quale ha semplicemente ribadito tutto questo. L’Uganda infatti, -al contrario degli altri paesi africani- negli ultimi dieci anni, ha conosciuto una drastica diminuzione del numero di persone infette da Aids (dal 21% al 7%). Il motivo è che -ha spiegato l’infermiera ugandese- «questo nuovo modo di guardarsi in Uganda ha cambiato tutti. In Uganda abbiamo la fortuna di avere un presidente, Yoweri Museveni, che lo ha capito sin da subito. E ne sono molto orgogliosa. Non è un cattolico, eppure è tra coloro che tre anni fa, nella bufera nata dopo le dichiarazioni del Papa in occasione della sua visita in Africa, si è subito schierato dalla sua parte. Museveni ha da subito affermato che bisogna ritornare alle origini. Perché la nostra “salvezza” non è dentro un pezzo di plastica. Non ci salveremo grazie a un preservativo. Dobbiamo tornare a essere uomini veramente. Uomini che hanno dignità e che hanno valore. Attenzione: questo non è un discorso cattolico, perché questo valore non ce lo dà la religione, e nemmeno il Papa. Il Papa ce lo fa conoscere, ci educa a capire che siamo uomini che hanno un valore infinito. Rispondere al nostro istinto, ai nostri bisogni immediati, è troppo poco per la grandezza del nostro cuore».

Benedetto XVI aveva dunque ragione nel suggerire che è la «riduzione nei partner sessuali» a condurre «a una decrescita delle nuove infezioni da Aids», e non una massiccia diffusione del condom che, al contrario, porta ad un incremento. Questo, lo ha spiegato Edward C. Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo,  è «dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come “compensazione di rischio” ». Così, ha proseguito, «il Papa è corretto, o per metterlo in un modo migliore, la migliore evidenza che abbiamo è di supporto alle dichiarazioni del Papa. C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostri migliori studi, inclusi i “Demographic Health Surveys”, finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi». Il ricercatore di Harvard nel 2009 ha anche affermato: «Diffondevo contraccettivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l’Aids», mentre la sua università nel 2006 ha premiato suor Miriam Duggan per la sua dedizione ai malati di Aids/Hiv in Uganda, dove il numero dei contagi in Uganda è diminuito, come d’altra parte è stato verificato che nei Paesi africani a maggioranza cattolica è più basso il tasso di diffusione dell’HIV.


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