Uomini resi irriconoscibili dalle maschere di fango scuro, di una terra che trasuda ancora la polvere di carbone delle miniere, corpi stremati dai sassi aguzzi che osservano la foresta dal basso, da sempre. E’ questo l’”inferno”? Sì, forse non sbagliano a definirla così, la Parigi-Roubaix. E quel tratto tremendo di strada che chiamano “tritaossa” è una delle tante conferme dell’amore un po’ masochista che unisce questa gara ai corridori che la sognano. Amore un po’ ruvido, istintivo, quasi animalesco. Amore che il suo diletto se lo sceglie nella prova, lo stringe e lo graffia allo stesso tempo, gli fa godere le urla del pubblico in festa e lo mette in ginocchio, tra sasso e sasso.
Inferno tremendo eppure intrigante. Inferno che sembra senza uscita, senza porte. E forse i ciclisti un poco ci sono abituati perché il paradiso, per chi corre in bicicletta, ha un solo nome: vittoria. Il resto è inferno sempre: di fatica, di sudore, di gambe a pezzi. Tutto quello che può addolcire le piaghe, lavar via le ferite è sempre un arrivo a braccia alzate. E’ cattivo, a volte, il ciclismo. Ma, nella sua durezza, paradossalmente, insegna l’umanità. Insegna che il dolore è un lasciapassare di lusso per i sogni importanti. Che solo con gli occhi abituati al buio si può andare avanti e riconoscere la luce, riconoscere le porte.
Sì perché sembrano senza porte, a volte, gli inferni. Oppure hanno delle grandi, gigantesche, uscite, come di una galleria, che ci sembrano quelle giuste, da prendere con la garanzia che ci poteranno fuori, al nostro angolino di paradiso.
Ma le porte del successo non sono mai grandi e non c’è l’indicazione scritta sopra. La devi trovare da te. E la strada che da Parigi porta a Roubaix lo sa bene: sa che lì, tra quegli uomini in bicicletta che la sfidano ogni anno, c’è sempre qualcuno che conosce esattamente la direzione della sua anima, che troverà la via giusta per uscirne per primo, per lasciarsi alle spalle l’inferno, per poter raccontare che quegli abissi che sanno di benzina, di terra bagnata non lo hanno sopraffatto. Qualcuno che troverà la porta piccola: un momento, un’intuizione, un guizzo, è lì che sta la vittoria. Una vittoria che, su quelle pietre che con la pioggia diventano scivolose, arcigne, è legata indissolubilmente ai sensi. Bisogna ascoltarla e capirla, essere capaci di sentire il richiamo della foresta in mezzo a una folla urlante, sentire silenzio nel rumore assordante. E’ piccola, quella porta che conduce al paradiso e non è facile da trovare, come tutte quelle importanti. Non basta far fatica, non basta tener duro. “Seconda stella a destra, questo è il cammino” diceva Bennato: per l’Isola Che Non C’è serve intuito e sogno, credere che esiste una stella, una luce tra il fango e il freddo, che porta là, dove il dolore, il mal di gambe, i muscoli snervati si trasformano, come per miracolo, in applausi. Sì, ha una scorza dura, questa strada, forse la più dura di tutte. E per addomesticare la durezza serve sempre il cuore.
Bentornata Parigi Roubaix, non cambi mai: sognante e tremenda. Sii clemente, se puoi, con chi tenderà le orecchie per ascoltarti fin dentro l’anima. Sii clemente con chi ti sogna col cuore, con chi cerca, tra i tuoi sassi antichi, quella piccola porta per il paradiso.