Magazine Rugby

L'Inghilterra gioca a rugby, l'Italia all'impiccato

Creato il 12 febbraio 2011 da Rightrugby
L'Inghilterra gioca a rugby, l'Italia all'impiccatoSix Nations - Twickenham
England 59 - 13 Italy
E che vuoi dire dopo averne prese quasi sessanta? Non ti resta granché, se non l’abbaglio iniziale dalle gambe corte, quello di un’Italia che osa affrontare l’Inghilterra di Martin Johnson sullo stesso piano della velocità, dello spingere a tutto gas, arrogandosi il diritto di impiccarsi con le proprie mani. Sia chiaro che questi inglesi sono pitbull con la bava alla bocca, hanno fame e sete di vittorie, di fare di questo Six Nations il ruggito in vista del Mondiale e tutti si battono per staccare il biglietto per la Nuova Zelanda. Ma visto che il rugby è quello sport crudo e cinico nel suo insieme dove nulla si crea dal nulla, il risultato finale dice 59-13 per i padroni di casa. Nel 2009 era finita 36-11: dimentichiamoci la partita del Flaminio di un anno fa, quando questa Inghilterra era ancora in fase di travaglio. Ora è cresciuta e ci costringe a dimenticare questo match disputato sotto il sole di Londra. A giocarlo altre dieci volte, avremmo perso dieci volte. Ma ci sono modi e modi.
Otto mete a una. La prima arriva dopo soli tre minuti, quando il leit motiv dell’incontro è già ben chiaro. L’agilità di Toby Flood nell’accelerare non appena fiuta lo spazio è la replica della prima meta fatta all’Inghilterra. L’apertura inglese affronta la maglia larga lasciata da due marcatori lenti e serve quella scheggia impazzita di Chris Ashton che va a marcare sotto i pali, con il solito tuffo d’angelo che coach Johnno così contento non fa. Gli Azzurri terranno finché potranno, per il primo quarto di gara. E rimangono agganciati con i piazzati di Mirco Bergamasco al 4’ e al 12’ minuto per colpa dell’indisciplina dei padroni di casa, che è però roba ben diversa rispetto a quella alla quale ci avevano abituati negli anni scorsi. 


I mastini inglesi sono pure frenetici, accelerano e danno sfogo alla potenza sia con gli uomini del pack, ma soprattutto con i trequarti che possono godere di un folletto come Ben Youngs che altrettanto velocemente aziona la trasmissione del pallone, assistito da un uomo tutto fare come Flood. Che sarà anche gracilino rispetto ai compagni, ma ne ha preso tutto il sudore. Prendono il toro per le corna: alla prima carica, Martin Castrogiovanni viene portato a terra, tanto che il nostro pilone alla lunga va in sofferenza e quando i tori vanno in sofferenza, si innervosiscono.
In pochi minuti si scivola sul 10-9, c’è pure un break del capitano Sergio Parisse dal recupero di un ovale mal gestito dagli inglesi, che hanno voglia di segnare. Ma a vederla dall’altro lato, se con questi errori di gestualità rovinano il lavoro sul più bello, allo stesso tempo danno ai nostri l’idea che a spingere forsennatamente qualcosa se ne ricaverà. Peccato che poi negli attimi in cui occorre rifiatare e porre l’accampamento - leggi touch – la coperta è terribilmente corta. Ne perderemo ben otto alla fine. L’Inghilterra concede invece 17 turnover. Ma la logica scarna sta nel risultato, amen. L’Italia prova a muovere palla, non usa il piede e va a sbattere sul muro difensivo, in apnea.
E poi: al 22’ Mirco non trova i pali dalla piazzola per l’eventuale meno uno e da lì non vediamo più palla, se non per errore di chi attacca. Tanto che proprio pochi istanti dopo, è sempre l’ala dal ciuffo biondo a intercettare un ovale scambiato ormai a ridosso dell’area di meta, dopo che il pilone Dan Cole rompe troppo facilmente un placcaggio sulla destra e il gioco poi si sposta a sinistra. I nostri accelerano e si isolano, i loro si muovono in branco e giocano a rugby. A Twickenham hanno giocato a rugby. Così, al 24’, raggruppamento avanzante nei 22 dell’Italia, i bestioni tengono palla lì assimilando le nostre guardie, appena l’ovale è fuori il centro Shontayne Hape sfugge a Orquera, ricicla per Ashton ed è 17-6. Sette minuti più tardi, altra rimessa ai 5 metri, Cole nuovamente che fa strada per fissare la base, il tallonatore Dylan Harltey fa il palo e Youngs allarga e va a superare la trincea azzurra nel punto più debole, sempre sull’asse di Orquera con l’altra ala Mark Cueto. Simple minds, simple things: 24-6. A giocare a viso aperto, va messo in conto. I mastini ci trascinano nella loro tana.


Ormai questi hanno preso l’abbrivio e la palla e al 35’ il vigile Nick Easter sull’impatto con Valerio Bernabò ricicla per capitan Mike Tindall da una rimessa nei nostri 22 ed è 31-6. Tac, tac, tac. In dieci minuti tre mete, ma il peggio verrà nella ripresa, quando i mastini si infileranno da tutti i buchi.
Si va negli spogliatoi, il fiato è corto e le gambe molli. Ci sarebbero anche delle note positive, come la buona prestazione fisica del mediano Fabio Semenzato che in un paio di occasioni dimostra coraggio e determinazione nel finire nelle fauci nemiche. Ma i determinati e tremendamente concentrati in campo sono gli assaltatori vestiti di bianco che, come detto, nella ripresa mostrano abilità non da ridere nei suoi sherpa. Intanto al 43’ arriva il giallo per Castrogiovanni che impedisce di giocare veloce un ovale al solito Youngs e l’arbitro francese Joubert non fa sconti: li farà più avanti a Matt Banahan per un paio di interventi su Pablo Canavosio e Luke McLean. Lo hanno innervosito dall’inizio, mettendogli una catena al collo non appena tentava un attacco. Il modus operandi inglese è solido anche in questo. 


Paradossalmente, non appena il ritmo cala un po’, la truppa di Nick Mallett riesce a mettere in mostra parte del suo repertorio, tra cui il calcio al piede dalla base. È invece strenua la difesa sulla propria linea di meta, si guadagnano metri respingendo l’avanzata dei tank di Sua Maestà. Alla fine arriva un calcio per fallo di Bergamasco in ruck. Flood calcia in rimessa sui 5 metri e il gigante Simon Shaw appena entrato per Louis Deacon commette infrazione nella rimessa. È il periodo dei cambi: entra Santiago Dellapé per Carlo Del Fava, Robert Barbieri per Bernabò, c’è anche Andrea Lo Cicero perché siamo con un pilone in meno.
Gli inglesi sono imprecisi, però rimangono sempre in piedi nel placcaggio: potenzialmente, tutte situazioni che potrebbero creare ulteriori guai. E infatti, l’Italia non fa in tempo a tornare in quindici che arriva la prima meta della ripresa. Al 51’, calcio di punizione che l’Italia va a giocare nei 22 avversari. Viene vinta difficilmente da Parisse e quindi rubata e si aziona Jamie Haskell (che beffa per il nostro Numero 8) che esplora e poi serve il fresco Steve Thompson che ha preso il posto di Hartley nel tallonaggio: quaranta metri bruciati. I mastini scalfiscono con più di dieci fasi, recuperano bene sui palloni fuori dalla ruck magari non perfetti, poi Banahan viene fermato ad un soffio dalla marcatura pesante da McLean e infine giunge per l’hat trick Ashton sotto i pali: 38-6. L’economista Alex Corbisiero intanto impatta sul nastro di Castro. 


57’: attaccano, attaccano, accelerano, l’Italia è all’angolo, alle corde, maglie larghe e Danny Care brucia Lo Cicero negli ultimi metri. È tutto così semplice e tremendamente cinico: 45-6 con trasformazione Wilkinson che ha preso il posto di un elegante ed ordinatissimo Flood. Entrano Gonzalo Garcia per Alberto Sgarbi e Fabio Ongaro per Leonardo Ghiraldini che esce sconsolato. Poi chiamale coincidenze: al 69’, finalmente, la prima touch portata giù bene dagli Azzurri, che imbastiscono una driving maul nei 22 avversari, dove mettiamo piede per la prima volta. Il carretto va e proprio Ongaro marca la meta della bandiera, per il 45-13 con la trasformazione.
Si riprende e gli inglesi riconquistano il calcio di avvio, innescando ancora tutte le energie che loro hanno. Noi no. Stavolta la meta è di Haskell, che se la merita per come si è mosso per tutto il campo con il compagno di reparto Tom Wood. Non lo fermi neanche mozzandogli una gamba. Quando ormai mancano scampoli, l’Italia prova ad andare ancora a segno, muovendo palla al largo e per poco non si concretizza con il passaggio di McLean per Bergamirco intercettato da Ben Foden che però non controlla e la palla va in rimessa. Rimessa nei 22 inglesi, rubata dagli inglesi che ripartono come dannati e forsennati con Banahan che fa mangiare la polvere a Canale e poi chiude tutto Ashton per la quarta meta. 59-13 al 76’.
Parisse lascia il campo zoppicando, anche McLean è acciaccato ed entra Kris Burton. La differenza in termini di consistenza e di cosa concedere oppure no si materializza al 79’ nel placcaggio portato da Wilkinson su Masi a cinque metri dall’area di meta. A caldo meglio fermarsi qui: a dare retta a chi pretende di volare alto, si cade a terra e ci si fa del male.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :