L’inizio delle nostra storia, Buggerru 1904

Creato il 11 settembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Marco Casula. Il 2 di settembre 1904, alla fine della mattinata, gli operai abbandonarono i pozzi e si riversarono da­vanti agli uffici della direzione. Lo sciopero conti­nuò il giorno seguente, domenica. Una folla di minatori si riunì davanti alla palazzina del­la direzione. I dirigenti sindacali, il segretario della lega Alcibiade Bat­telli e Giuseppe Cavallera venuto precipitosamente da Carloforte, parlarono ai minatori invitandoli al­la calma e, insieme a un funzionario inviato dalla prefettura di Cagliari, andarono a parlamentare col direttore. La trattativa si protrasse a lungo, poi­ché Georgiades studia­va di guadagnar tempo, sapeva che da Cagliari, per sua richiesta, erano state fatte partire due compagnie di fanteria.

I soldati arrivarono alle no­ve del mattino a Iglesias e da qui si misero in marcia verso Buggerru. Vi giunsero alle quat­tro del pomeriggio, men­tre nella direzione ancora si trattava, e, davanti alla folla silenziosa, si ritiraro­no in una costruzio­ne (un’officina) loro assegnata come sede, e che tre operai an­davano frettolosamente al­lestendo. Un solo soldato restò all’esterno di guar­dia.

Fu allora che un grup­po di operai si staccò dal­la folla e, gridando, si di­resse verso l’officina: chie­devano che i tre operai uscissero e si unissero a loro. D’un tratto dalla fol­la partì un sasso che colpì la sentinella. I soldati uscirono dal­l’improvvisato quartiere e affrontarono con le baionette un gruppo di minatori che tentavano di farvi irruzione. Un ope­raio rimase ferito, e subi­to dalla folla partirono grida, altre sassate. A questo punto i soldati reagirono sparan­do sulla folla, ancora og­gi su qualche muro si ve­dono i segni lasciati dai proiettili. Due operai, Fe­lice Littera e Giovanni Porcu, caddero uccisi; un terzo, Giustino Pittau, fe­rito in modo gravissimo, sarebbe poi morto qualche giorno più tardi; altri tre, colpiti dai proiettili, pote­rono essere curati nello stesso ospedale di Bugger­ru.

Trascorse del tempo prima che il paese, grazie anche all’intervento pacifi­catore di Battelli e di Ca­vallera, conoscesse di nuo­vo giorni tranquilli. Già la mattina del 7, sepolti i morti, cancellati dalla piazza i segni della batta­glia e dell’eccidio, i mina­tori tornarono al lavoro. Sarebbero stati necessari altri scontri e altri morti perché il Parlamento disponesse un’inchiesta sul­le condizioni dei lavorato­ri nelle miniere sarde.

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Nel primo de­cennio di questo secolo accadeva che anche il popolo sardo si muovesse. Si era mosso a Buggerru nel 1904, ma il risultato non era stato esaltante: la mor­te di tre minatori era stata il prezzo di qualche mode­sto miglioramento dei sa­lari e delle condizioni lavoro. Vi era stato uno sciopero genera­le nazionale, il primo nel­la storia del nostro paese che, sostenuto da organiz­zazioni sindacali e politi­che, le leghe operaie e le prime Camere del lavoro, il partito socialista anco­ra incerte, aveva avuto scarso successo. Aveva però contribuito a suscitare nuove inquietu­dini e nuovi fermenti di rivolta non più soltanto fra i minatori, ma anche nelle aree contadine, nel popolo minuto delle città e fra quanti, e in Sardegna non erano pochi, erano più pesantemente colpiti dal rapido aumen­to del costo della vita.

Gli alti prezzi erano, come sempre accade, con­seguenza di processi di sviluppo contradditori che avevano favorito alcuni settori dell’economia sar­da, l’industria casearia, in primo luogo, ma anche la pa­storizia e la grande proprietà terriera e aveva­no lasciato immutati i sa­lari. In città, a rendere più penose le condizioni dei meno abbienti, all’alto co­sto della vita si aggiunsero la scarsità degli al­loggi e i dazi esosi. Il disagio che pesava sulla maggior parte della popolazione, non esclusa la piccola borghesia, era particolarmente grave a Cagliari, che pagava i prezzi di un’espansione rapidissima. I nuovi quar­tieri si erano andati dila­tando sia verso ovest, verso gli stagni di Mac­chiareddu, sia verso est, verso le borgate del Campidano.

La città si ar­ricchiva di nuovi edifici non privi di qualche solennità, come in via Roma, per esempio, dove era in costruzione il nuovo palazzo municipa­le. Il 3 settembre 1905 era stata inaugurata la Galle­ria Umberto I, la Passeg­giata coperta. Era cre­sciuto con altrettanta rapi­dità il numero degli abi­tanti: erano poco più di 37.000 nel 1881 ed ora, nei primi mesi del secolo XX, erano ventimila di più. Non vi erano più case che bastassero per tutti e il li­vello degli affitti era al­tissimo. Vi erano i dazi che, affidati ad ap­paltatori avidi, pesavano su tutte le merci che entravano in città e ne facevano salire il prezzo. Di qui il mal­contento che la Camera del lavoro, le leghe ope­raie, il partito socialista, facevano fatica a contene­re nei limiti di un’ordina­ta protesta.

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