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“L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Creato il 03 novembre 2010 da Cinemaleo

1988: The Unbearable Lightness of Being di Philip Kaufman

“L’insostenibile leggerezza dell’essere”
“L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Non era facile trasferire sullo schermo uno dei maggiori fenomeni editoriali del penultimo secolo.

 

Il romanzo di Milan Kundera (pubblicato in Francia nel 1984) ha avuto una rinomanza inusuale in tutto il mondo: se ne parlava continuamente, se ne discuteva anche in ambienti non accademici… Chi non lo aveva letto era impossibilitato a qualsiasi conversazione di un certo livello… Un vero e proprio «caso».

“Storia, filosofia e letteratura si concentrano in questa narrazione dando vita a un capolavoro indiscusso” (MyLibrary.com) è l’unanime giudizio dato al lavoro di Kundera. Philip Kaufman di fronte a una trama così complessa e ricca (il libro descrive, intorno al 1968, la vita di quattro intellettuali tra la Primavera di Praga e l’invasione sovietica) ha effettuato un selezione privilegiando la contorta storia d’amore tra il chirurgo Tomàs e la sua compagna, la fotografa Tereza, a discapito dell’altrettanto contorto rapporto tra la pittrice Sabina e il suo amante Franz (personaggio che nel film, al contrario del romanzo, ha scarsa rilevanza). Naturalmente ciò ha scontentato gli estimatori incondizionati di Kundera (qualcuno ha parlato di «tradimento»): “Kaufman ha fatto diventare L’insostenibile leggerezza dell’essere un racconto erotico, con una minuziosa esibizione di abbracci più vicina al catalogo che alla passione…” (La Stampa).

Giusto rimproverare al film, come fa Stefano Reggiani di “perdere proprio l’insostenibile leggerezza dell’essere, la casualità, la fugacità degli avvenimenti umani, il peso delle scelte da cui non si torna indietro” che costituiva l’essenza del romanzo. E’ il caso però di ribadire che un’opera cinematografica non può essere una semplice trasposizione di un lavoro letterario, è sempre «un’interpretazione», a volte riuscita a volte no. Kaufman e lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière hanno preferito focalizzare l’attenzione su gli amori di uno dei protagonisti del libro, un edonista e seduttore incapace di monogamia (un critico ha detto che gli autori del film hanno preso dal libro il pretesto per “porre il tema da sempre dibattuto del rapporto tra sesso ed amore o forse più in generale del rapporto tra uomo e donna”). Il risultato, prescindendo dal romanzo, è un’opera interessante, forse un po’ monotona nella prima parte, ma di indubbia qualità per intensità e coinvolgimento. Tecnicamente la regia è splendida. Molte inquadrature hanno un inusuale valore pittorico che affascina e conturba. Bellissimo e riuscitissimo, nelle scene dell’invasione dei carri armati, il montaggio di materiale di repertorio alternato a scene girate appositamente. Da applauso la direzione degli attori, sia coloro che ricoprono ruoli importanti (Daniel Day-Lewis, Juliette Binoche, Lena Olin), sia quanti hanno pochissime scene a disposizione (Erland Josephson, Stellan Skarsgard, Daniel Olbrychski): quasi tutti giovanissimi, tutti ugualmente perfetti (1).

Appropriato mi sembra il giudizio de il Morandini: “Kaufman ha fatto un film più europeo, nel senso migliore della parola, di quel che il taglio hollywoodiano della struttura drammaturgica presuppone… Sensuale, intelligente, talvolta visitato da una grazia dolcemente struggente. Poco compreso”.

note

(1) Mi ripeterò. Ma ogni volta che vedo un film di Juliette Binoche non posso fare a meno di chiedermi “Ma come si fa ad essere così belle?”. Impossibile non innamorarsene…

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“L’insostenibile leggerezza dell’essere”

 


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