Come giustifica i casi che coinvolgono banda della Magliana, politici e chiesa?
Di solito, parlo delle cose che so. Se mi parla della banda Vallanzasca, io so tutto, se però mi parla della banda della Magliana, io non so nulla, perché in quegli anni ho operato a Milano e non a Roma. Fondamentale, per un poliziotto serio quale io mi ritengo di essere stato, è importante parlare delle cose che sa e non delle cose che non sa altrimenti, diventa fumo, ipotesi e non si addice ad una persona seria, oltre che ad un poliziotto serio.
La mia condanna non è ideologica, sia ben chiaro. Non me la prendo col governo “x” o con quello “y”. Destra, sinistra non mi interessa. Mi interessa, al contrario, prendere atto che non si è pensato di incidere fortemente, al sud soprattutto, sul tema del lavoro e della scuola. Mi interessa sottolineare che si parla di una riforma della giustizia, ma non si fa una riforma della giustizia, per cui, il delinquente, sa che ci sono molte possibilità di impunità perché: le carceri sono stracolme, i processi sono lenti, perché c’è un codice di procedura penale e penale che consentono di allungare i processi a dismisura, perché ci sono tanti problemi che attengono alla carenza di magistrati, alla carenza di ausiliari della magistratura, alle strutture.
Non si è minimamente pensato a computerizzare gli atti permettendo una giustizia telematica e nei nostri palazzi di giustizia continuiamo ad avere miliardi di carte. Ecco, questa, a grandi linee è la riforma della giustizia: sicurezza e giustizia camminano parallele. Non si può pensare alla sicurezza, infatti, se non si pensa alla giustizia e viceversa. Impostare quindi un discorso sulla sicurezza dove poi questa deve sfociare nel fatto che il ladro deve essere immediatamente processato, e sottolineo “immediatamente” , ed avere una sentenza di assoluzione o di condanna e se è di condanna, quella pena, deve essere sicura. Come si fa, oggi, a garantire una pena sicura quando nelle carceri abbiamo sessantacinquemila detenuti e ce ne potremmo avere quarantacinquemila?
Quanto è importante la parola “pentito” per lei uomo, poliziotto e politico?
La parola pentito è una parola, a mio avviso, completamente sbagliata. Il pentimento, non c’entra assolutamente niente. E’ un “contratto” che lo Stato fa con il delinquente e penso che sia un contratto giusto. Se un criminale, come quello che arrestammo a Milano, Epaminonda, ti mette in condizioni di scoprire gli ultimi dieci anni di omicidi a Milano, io credo che sia giusto che lui abbia una sorta di salvaguardia che però non significa assoluzione per quello che ha commesso ma che implica una serie di vantaggi. Non credo poi che quell’Epaminonda si sia mai pentito, che il Vallanzasca si possa mai pentire, come non credo che, moralmente, Maniero si sia mai pentito: il pentimento è un’altra cosa.
Mi pare scontato che alla malavita, non può far piacere che qualcuno collabori con la giustizia. Però il collaboratore di giustizia si fa un calcolo. Lo Stato si fa un calcolo. Se questi calcoli convengono ad entrambi, si “stipula” il contratto. Il collaboratore di giustizia, è un ausilio importante per le forze dell’ordine e la magistratura, l’importante è verificare quanto afferma punto per punto, cosa che in passato, non sempre è stata fatta per cui si è assistito a scandali e ad arresti, completamente infondati.
Il contratto che si stipula con la giustizia quando si collabora con essa, compara il peso di una vita uccisa?
Nulla equivale ad una vita uccisa, assolutamente. E’ però necessario essere realisti: se un criminale ti mette nelle condizioni di scoprire un quadro che non si sarebbe in altro modo potuto svelare, se ti consente – come è avvenuto a Milano – di disseppellire cadaveri, se ti consente di comprendere quella che è stata la malavita da lì ai dieci anni, nessuno pensa che quel criminale debba andar via dal carcere con una medaglia d’oro (ci mancherebbe altro), ma certamente può beneficiare di certi privilegi come la possibilità di rifarsi una vita con una nuova identità, la protezione alle famiglie ed una riduzione della pena (a mio avviso giusta) senza che questo rappresenti l’esaltazione di quel criminale o un’eccessiva concessione nei suoi confronti.
Felice Maniero gode oggi di libertà, nuova identità e un’impresa tutta sua. Secondo lei, è giusto scontare e cancellare il passato di un criminale solo perché ha “collaborato” con la giustizia?
Vale la pena di parlare caso per caso, non si può generalizzare. Se parlo di Vallanzasca dico che di carcere ne ha fatto e non credo che oggi sia pericoloso e specialmente per l’attenzione che ha, sarebbe un peso per la malavita. Se lui si ridedicasse o cercasse di riorganizzare un’attività criminale sarebbe penalizzato dalla stessa malavita. Penso in generale che, fermo restando il documento storico, l’esaltazione di questi criminali, sia un errore. L’esaltazione, e non parlo di Placido naturalmente, è sbagliata soprattutto perché viviamo in un periodo di “Uomini e Donne”, in cui la ragazza carina ritiene che sia meglio fare la velina o partecipare a “Uomini e Donne” piuttosto che fare la giornalista, ad esempio, o intraprendere un’attività di studio; l’uomo prestante, pensa che sia meglio fare “Uomini e Donne”. Questa forma di emulazione, a mio avviso totalmente negativa, rischia di trasformarsi, poi, nell’imitazione del Vallanzasca o Maniero “famosi” ed “amati dalle donne”. Si rischia di farli diventare dei miti e noi, dobbiamo totalmente occuparci di smitizzare, questi criminali.
Vallanzasca vs Serra sempre e comunque. Ad accomunarvi, pare ci sia però un codice a cui nessuno dei due si sottrae (nel rispetto dei differenti ruoli ricoperti ).
Non so se è Vallanzasca contro Serra, certamente non è Serra contro Vallanzasca perché mi sono sempre ritenuto un professionista e non ho mai fatto un’attività contro ma un’attività a favore dello Stato e della Giustizia
Marina Angelo
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