Se Berlinguer, a suo tempo, non è riuscito a sfondare con il suo discorso sull'austerità, ciò è dovuto - a mio parere - ad una fondamentale ambiguità: era (e resta) difficile capire se l'allora segretario del Pci, pur così ricco di connotazioni etiche, intendesse sostanzialmente la stessa cosa che a quei tempi una larga parte del movimento sindacale (con Lama in testa) proclamava, o se si riferisse ad una diversa accezione di austerità. Nel primo caso era un "tirare la cinghia oggi per rilanciare la crescita domani", una politica dei due tempi che non metteva veramente in discussione l'obiettivo del "rilancio dell'economia", e che quindi esigeva uno sforzo di accumulazione per ripartire da una base più solida: meno consumi e più investimenti, meno soddisfazioni immediate e più risparmi, meno cicale e più formiche. Difficile entusiasmarsene, allora come oggi.
Una diversa e più profonda accezione di "austerità", che probabilmente era presente in Berlinguer, ma non realmente esplicitata a quel tempo, avrebbe significato qualcosa di non così facilmente riducibile alle esigenze politico-economiche dominanti di allora e di oggi. Vediamo dunque se il termine "austerità" può caratterizzare oggi uno stile di vita ed un'opzione sociale accettabile e persino desiderabile, o se invece si tratti sempre e di nuovo di un involucro mistificante per arrivare poi al solito dunque, quello di ricapitalizzare e di dare impulsi a quella che chiamano ripresa economica.
Ci sono alcune verità assai semplici da considerare: nel mondo industrializzato si produce troppo, si consuma troppo, si inquina troppo, si spreca troppa energia non rinnovabile, si lasciano troppi rifiuti non riassorbili senza ferite dalla natura, ci si sposta troppo, si costruisce troppo, si distrugge troppo. Naturalmente sappiamo bene che la distribuzione sociale di quei danni è inversamente proporzionale alla ricchezza: i ceti opulenti e benestanti esagerano più dei poveri, i quali hanno poco da sprecare perché mancano dei necessari presupposti economici. Ma essi non sono meno influenzati dalla cultura dominante, per cui aspirano - assai sovente - a diventare al più presto esattamente come i più ricchi, e trovano spesso insopportabile l'idea che la felicità non esiga l'automobile, il video-recorder e le vacanze a Madagascar.
Accettare oggi la positiva necessità di una contrazione di quel "troppo" e di una ragionevole e graduale decrescita, e rilanciare, di fronte alla gravissima crisi, un'idea positiva di austerità come stile di vita più compatibile con un benessere durevole e sostenibile, sarà possibile solo a patto che essa venga vissuta non come diminuzione, bensì come arricchimento di vitalità e di autodeterminazione. E ciò dipende, ovviamente, da tutto un intreccio di scelte personali e collettive, di condizioni culturali e sociali, di sinergie ed intese. Ma qualcuno dovrà pur cominciare, e indicare e vivere un privilegio diverso da quello della ricchezza e dei consumi: il privilegio di non dipendere troppo dalla dotazione materiale e finanziaria, il privilegio di preferire nella vita tutte le cose che non si possono comperare o vendere, il privilegio di usare con saggezza e parsimoniosità l'eredità comune a tutti, senza recinti e privatizzazioni indebite. L'austerità di una vita più frugale, meno riempita da merci-usa-e-getta, più ricca di doni, di servizi mutui e reciproci, di condivisioni e co-usi a titolo gratuito, di ricuperi e riciclaggi, di soddisfazioni senza prezzo.
Riabilitare e rendere desiderabile questo genere di austerità come possibile stile di vita, liberamente scelto e coltivato come ricchezza, comporterà una notevole rivoluzione culturale ed una cospicua riscoperta della dimensione comunitaria. Perché‚ con meno beni e meno denaro si può vivere bene solo se si può tornare a contare sull'aiuto gratuito degli altri, sull'uso in comune di tante opportunità, sulla fruizione della natura come bene comune, non riducibile a merce.
Tutto ciò non potrà essere proposto se lo si intendesse e lo si organizzasse come strada verso il rilancio del meccanismo perverso di accumulazione e crescita economica che ha generato l'inflazione selvaggia di natura, di piaceri e di valori che stiamo sperimentando: una "svalutazione" ben più grave di quella della lira (così come assai più grave appare il buco d'ozono rispetto al buco nelle finanze dello Stato) alla quale non si deve rispondere volendo "tornare nello Sme", cioè‚ riprendere al più presto possibile l'economia degli sprechi, del degrado, dello svuotamento dei valori.
L'austerità potrà invece essere vissuta con piacere e come miglioramento della qualità della vita, se ci farà dipendere meno dai soldi, da apparati, da beni e servizi acquistabili sul mercato, ed esigerà (anzi: permetterà) che ognuno ridiventi più interdipendente: sostenuto dagli altri, dalla qualità delle relazioni sociali ed interpersonali, dalle conoscenze ed abilità, dall'arte di adattarsi ed arrangiarsi, dalla capacita di ricercare e vivere soddisfazioni (individuali e collettive) non ottenibili con alcuna carta di credito, chiavi in mano, pronte ad essere passivamente consumate.
Può essere una grande occasione.
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