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L'invisibile si può vedere?

Creato il 22 gennaio 2012 da Chiosaluxemburg @ChiosaLuxemburg

L'invisibile si può vedere?
E già, Magritte la pensava proprio così: "questa non è una pipa", è un quadro: e se anche fosse la rappresentazione più autentica di una pipa, è pur sempre una rappresentazione, dunque un'idea, dunque un'universalizzazione di ciò che universale non è: un oggetto. Dio è un oggetto? Sembrerebbe di no. Dio è un'idea? cos'è Dio? Domanda che per rispetto non mi voglio porre.  Nella cultura islamica il sacro non può essere rappresentato né mostrato. Le immagini del profeta sono vietate. Di contro, nella nostra cultura, il volto di Cristo o quello di Dio, nonostante per definizione siano irrappresentabili,  sono stati nel corso dei secoli dipinti, esposti, illustrati, raffigurati e infine rappresentati, proiettati e messi in scena, proprio come se fossero oggetti. Uno dei movimenti religiosi più sensibili all’accusa di idolatria mossa al cristianesimo da parte dell’islam, furono i pauliciani, eresia sorta  intorno al VII secolo a.c. in seno al brulicare speculativo di un ambiente, quello bizantino, che sulle questioni dottrinarie fu sin dai tempi dei primi concili molto vivace. Quando nell’VIII secolo l’imperatore Leone III si unì al paulicianesimo nella battaglia “iconoclasta” (dal greco εκόν - eikón, "immagine" e κλάζω - klázo, "distruggo"), ed emanò una serie di editti per eliminare il culto delle icone, Roma, nella persona del pontefice Gregorio III, rispose con la scomunica. Ecco che ancora oggi, e in nome anche della scomunica di Gregorio III, si può mettere in scena Il sacro e venderlo al mercato in ogni sua forma.
E’ in effetti odioso pensare che si debba arrivare a “distruggere” qualcosa, come ad esempio in questo caso un’immagine sacra, per rivendicare le proprie pretese. L’iconoclastia medievale ci fa “bypassare” secoli di storia ( e di conseguenza anche i capitoli riguardanti le battaglie iconoclastiche dei protestanti), per arrivare subito a giudicare criminale l’atto dei talebani che il 12 marzo del 2001, distrussero quelle due enormi statue del Buddha di Bamiyan in Afghanistan. Niente di più giusto; più che come iconoclastia, quello dei talebani va rubricato come atto di conquista: “la mia cultura è superiore”, sembravano voler dire con quel gesto, dunque possiamo distruggere i simboli della cultura altrui; ma i talebani sono anche figli bastardi di una cultura, quella occidentale, che proprio in nome di una pretesa superiorità , negli ultimi anni e non solo, ha innescato l’odiosa pratica della conquista e spesso proprio a scapito del mondo arabo. D’altronde enumerare tutti i motivi d’incomprensione, consapevole o meno, che in 1400 anni hanno minato alla radice la possibilità di un convivere pacifico fra le due culture, quella islamica e quella occidentale, significherebbe scrivere un’enciclopedia. Io mi limiterò a evidenziare un aspetto comunque non marginale: il rispetto della “castità della visione” .
Nel suo libro il mostro mite(Garzanti, 2010) il linguista Raffaele Simone pone la questione del “vedere” per come è vissuta nella civiltà occidentale: «la peculiarità del vedere è stata tipicamente identificata nel fatto che - come spiega Hannah Arendt-  “nessun altro senso stabilisce una simile distanza di sicurezza tra soggetto e oggetto” . Hans Jonas, nella medesima linea, precisa che  la vista “ci procura il concetto di obiettività, della cosa come è in se stessa, distinta dalla cosa in quanto mi turba e mi coinvolge; e da tale distinzione scaturisce l’idea di Theoria e di verità teoretica”. Simone va avanti e si pone una domanda: « questa  concezione della visione, diffusa nella tradizione filosofica a partire da Platone, conclude per la nobiltà della vista, ne afferma la castità e il carattere intrinsecamente teoretico. Ma della vista di chi stiamo parlando?». Secondo Raffaele Simone quella distanza di sicurezza tra chi vede e la cosa vista, e quella castità della visione di cui parlavano la Harendt e Jonas, nella nostra cultura contemporanea, si sono perse: «Ora, una vista apparecchiata perché qualcuno la guardi è quel che si chiama spettacolo. Il vedere, nella modernità, è sempre più  vedere spettacoli, cose “montate” – come si dice – per creare un effetto. Una delle facce più singolari della modernità è proprio l’incalcolabile dilatazione  del vedere e far – vedere: in misura importante essa è anzi addirittura un’incessante Festa del Vedere, pullulante di sempre nuove cose-da-vedere, di persone che si mettono in mostra (si fanno vedere) e di osservatori (di veditori o anche voyeurs) distribuiti in ogni luogo».
Recentemente ho avuto modo di notare che si è alzato un polverone in merito ad un evento:  lo spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio del regista teatrale Romeo Castellucci. Di che trattasi? Precisamente non saprei perché non l’ho visto, dunque lungi da me volerlo definire “blasfemo” come in molti hanno fatto; peraltro sono ateo e non spetterebbe a me, ma l’accusa rivolta a Castellucci è proprio quella di blasfemia, oltre che di aver fatto un “opera di merda” ( http://www.loccidentale.it/node/112795). Perché? Di fronte all’enorme proiezione del Cristo dipinto da Antonello da Messina, un padre anziano comincia a scacazzare e un figlio a ripulirlo dei suoi escrementi, mentre in sala comincia ad essere diffuso in odorama il lezzo della cacca. Poi, cito da “Teatro e critica.net”: «Dopo l’ennesimo pannolone sostituito, il vecchio viene fatto adagiare sul proprio letto, la scena naturalistica è ironicamente e definitivamente implosa grazie all’entrata ammiccante proprio di Castellucci che rovescia mezza tanica di putrido liquame sull’anziano padre. Senza pietà il vecchio  viene cosparso di merda, questo didascalismo suggellerà anche il finale della performance quando padre e figlio lasceranno la scena e il volto di Cristo verrà sfregiato dall’interno per ferirsi di quello stesso liquido e lasciare il posto alla mastodontica scritta You are not my shepherd, Non sei il mio pastore».

L'invisibile si può vedere?

Castellucci ora si lamenta del fatto che ci sarebbe in atto una vera e propria fatwa nei suoi confronti (http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/439157/), e accusa il mondo dei cattolici integralisti di iconoclastia. Infatti parla di «Una contraddizione enorme fra questa vena iconoclasta e la foga di apparire della Chiesa». Dunque in una cultura della “visione” come è quella nostra contemporanea, è lecito prendersela con Castellucci? Ai cattolici andò bene il volto di Cristo di Zeffirelli, o quello “splatter” di Mel Gibson? Si sono essi abbandonati ormai da secoli al voyeurismo tanto quanto ci si può essere abbandonato un ipotetico spettatore dello spettacolo di Castellucci? Il regista poi si vuole difendere anche dall’accusa di blasfemia e rilancia: «Non c’è più nulla di blasfemo nell’urina e nelle feci una volta che Gesù ha deciso con l’Eucarestia di passare dal nostro corpo». La pietra dello scandalo è dunque la cacca? Non l’ennesima replica a colori o in bianco e nero del volto e\o immagine di Cristo che dai tempi della scomunica di Leone III, i cristiani sembrerebbero aver accettato e idolatrato in tutta la sua carica pornografica? Non basta camminare per via della Conciliazione per constatare come il volto di Cristo sia in vendita accanto a quello della Madonna o del papa per pochi euro? Bisogna anche chiamare Castellucci e cacarci sopra perché l’idolatria sia ancora più unanimemente accettata? Deve sbucare di nuovo fuori Gesù a scacciare i mercanti dal tempio? Ma i mercanti sono Castellucci, Zeffirelli, Gibson, e un’infinità di altri registi, attori, pittori e illustratori. La mercanzia poi, inutile dire che è tanta e di diversa natura: gesubambini esposti a natale per far comprare i regali; gesucristi da appendere in macchina vicino all’arbre magique; acque benedette dentro a pacchiane scatolette in plastica a forma di madonnina.La fiera del kitch si consuma all’ombra di un paganesimo dal quale non ci siamo mai ritirati, e di un’idolatria che è sempre più feticismo, spettacolo, visione. Perché Wojtyla era una star e la sua “immagine”, su tanti pixel colorati, scorreva sui televisori di mezzo mondo, pronta ad essere “visionata” da appetiti voyeuristici  insieme a quella del volto di Cristo, pixelizzato anch’esso, e anch’esso mischiato agli escrementi del grande fratello, del montaggio cinematografico, o magari delle tentazioni di Scorsese che ai cattolici non sono piaciute, ma alle quali hanno ceduto ogni qualvolta non l’immagine e la forma veniva toccata, se il Cristo era biondo e aveva gli occhi azzurri, ma il contenuto fatto di cacche non cattoliche.
Non mi interessa parlare di blasfemia; non so cosa sia, è un concetto che non mi appartiene. Parlo di “castità della visione”. il rapporto è a due: soggetto e oggetto. Dio non è un oggetto.  Dov’è nella nostra contemporaneità la castità del “ Deus absconditus”? La teologia negativa voleva la non-predicabilità di qualsiasi attributo potesse rendere Dio ontologicamente assimilabile all’uomo. Dunque? Dio non è conoscibile, Dio non è visibile, e va da se che se non è visibile, non sarà neanche “visionabile”. Lo dico a Castellucci, come agli integralisti cattolici che non vogliono che lo spettacolo del regista sul volto di Cristo sia messo in scena il 24 gennaio a Milano (http://controscene.corrieredibologna.corriere.it/2012/01/un_appello_per_castellucci.html): siete assolutamente figli della stessa cultura, quella che, come direbbe Raffaele Simone, dall’”immaginario collettivo” è passata al “visionario collettivo”. Il paradosso si è consumato da secoli ed è esploso in epoca moderna: ecco il bue che dice cornuto all’asino, là dove non si sa chi sia il bue e chi l’asino.
Lo spettacolo di Castellucci, ripeto,  non l'ho visto; dunque potrà essere un capolavoro così come una schifezza, ma è Castelucci stesso, lamentando il clima di aggressività di cui è stato oggetto da parte dell’intransigenza integralista,  a dirci di cosa tratta : “ E’ grave che le autorità ecclesiastiche ascoltino la voce di gente che sta facendo il processo alle intenzioni, attaccando violentemente attori, spettatori, minacciando la libertà di pensiero. Rifiutando il dibattito. Considerando nemici tutti coloro che parlano del volto di Cristo fuori dagli stereotipi”. Dunque Castellucci (sono parole sue) vorrebbe “parlare del volto di Cristo fuori dagli stereotipi”? Io da ateo, e anche questo è paradossale, inviterei cristiani e non-cristiani, artisti e non-artisti, a non tentare di trascendere l’intrascendibile:  non cercate di dipingere ognuno Dio a modo vostro, perché di Dio possiamo sapere tutt’al più ciò che “non è” ( lo dice il “pagano” Plotino, Enneadi,V,3), e non ciò che potrebbe o non potrebbe “essere”, indipendentemente dagli “stereotipi”. Chissà quale sarà lo stereotipo di Castellucci, se mai ne ha uno (la curiosità “visionaria” assale anche me). Di certo gli islamici che hanno rifiutato a priori la “visionabilità” dell’invisionabile in quanto invisibile e in quanto indicibile, questo tipo di paradossi non li vivranno mai.


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COMMENTI (1)

Da cerquini
Inviato il 27 gennaio a 10:52
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Il senso della vita.

Pochi fortunati esseri umani possono dare un senso alla vita. La stragrande maggioranza, invece, non ha la possibilità o la voglia di pensarci perché colpita da innumerevoli sofferenze, causate dalla natura o dagli uomini stessi. Molto frequentemente la sofferenza colpisce anche quei pochi che un senso alla vita l' avevano già dato.

La SOFFERENZA imperversa su tutto!

Spontanea questa considerazione:

La divina commedia. Immaginare, ipotizzare, pensare, credere, che possa esistere un essere tanto malefico, malvagio, tragico, che, oltre a tutte le altre malefatte ( infinite sofferenze per gli esseri viventi, umani ed animali ) abbia creato anche la tortura eterna, è una idiozia colossale. Dante che l’ ha scritta e Benigni che la decanta, sono due inconsapevoli terroristi idioti. ( iddioti e credini, detto alla maniera di Odifreddi ) Purtroppo anche alcune persone geniali, essendo inculcati di religione sin dall’infanzia, non si rendono conto delle stupidaggini che gli hanno propinato. La scuola deve essere assolutamente liberata da insegnamenti religiosi. Ai nostri figli si deve insegnare l’ uso della ragione, e tanto, tantissimo allenamento al tale uso. Oltre, ovviamente, all' apprendimento della storia delle religioni e dell' ateismo. Amen.

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