Filippa Lagerback – Copyright 2011 Monica Silva
Nel tragitto casa-lavoro ho iniziato a riflettere sul tema della mostra di Monica, e mi son detto: in quanti siamo qui dentro? Beh, vediamo un pò! C’è il runner, il lavoratore, il fotografo, il fancazzista, il viaggiatore, l’amante, il chiaccherone, il fantasista, lo scrittore, il paracadutista, l’amico, il sensibile, lo stronzo, il curioso, il bria’o, il festaiolo, l’investitore di borsa, l’ombroso, il saggio, il fidanzato, il poeta, il mattiniero, il nottambulo, il farfallone, l’egocentrico, il bevitore di birra, lo studioso, il timido, il cuoco etc etc e un’altra sequela di sfaccettature di cui ho perso memoria e confini. Cose che capitano a quelli che, come me, hanno avuto mille metamorfosi, o che più semplicemente sono malati di horror vacui, come mi direbbe qualcuno. C’è un legame fra tutti questi me? Si che c’è, ed è senza dubbio questo: la fame! Io ho sempre fame, a dispetto della mia magrezza, ed è per questo che mangio quanto uno sfondato, che ci crediate o no. La fame però non è un qualcosa che si manifesta solo a tavola, o nei bar mentre polverizzo stuzzichini a qualsiasi ora del giorno o della notte. Eh no, proprio no! La fame si manifesta anche altrove. La fame è il bisogno di prendere qualcosa per sè, e di divorarla. Non importa cosa. È il mio desiderio di runner, o di agonista che dir si voglia, di tentare di arrivare al traguardo per primo, la ricerca del fotografo di uno scatto sempre migliore, o di un nuovo punto di vista, è la voglia di fare sesso sempre con una donna diversa, il bisogno di ubriacarsi con gli amici, la voglia di ridere, di perdersi per ritrovarsi, il desiderio di spiritualità, la facilità con cui dimentico qualcuno d’importante, la ferma volontà di essere felice, la voglia di lanciarsi da un’aereo, di correre sempre più veloce e sempre più a lungo, di innamorarmi di qualcuno che ancora neanche conosco, di perdermi nelle mie fantasie, di impegnarmi in qualcosa di nuovo, di imparare le lingue, di mandare tutti affanculo e partire. Potrei continuare per ore, ed elencherei solo cose che fanno parte, o che hanno fatto parte, della mia vita. Cose di cui avevo fame, quasi a morirne, cose che poi ho fagocitato come nulla fosse, per poi andare semplicemente oltre.Chi ha sempre fame corre un gran rischio, quello di non accontentarsi mai, di essere perennemente insoddisfatto, perennemente alla ricerca di qualcosa. Eh sì, ché mangiare sempre la stessa cosa, alla fine si sa, stanca! Finché un bel giorno, pur di cambiare pietanza, non inizi a nutrirti anche della tua stessa insoddisfazione, quella che deriva dalla noia di mangiare sempre lo stesso piatto, così da scontrarti con qualcosa di nuovo, qualcosa di cui potrai avere ancora fame. Una ruota, questa, che pare non avere fine. In effetti devo ammettere che nella mia vita, anche quando tutto sembrava già deciso e scritto, ho avuto inconsciamente il bisogno di cambiare, di chiudere per riaprire qualcos’altro. Non riuscire a leggere questa mia voracità, questa mia necessità di fare e disfare, equivale a non conoscermi affatto, a percepire veramente poco dell’Io dentro me. Proprio adesso che parlo della mia fame, della mia volontà di fare, mi viene in mente che in passato c’è stato chi mi ha visto in modo diametralmente opposto, dandomi addirittura del pantofolaio, cosa veramente strana a dirsi, però era vero, è stato quando avevo perso la fame, a parte quella che si soddisfa a tavola davanti a un piatto.
Cosa c’entra tutto questo con la fotografia? C’entra, eccome se c’entra!, ma per tornare con evidenza in tema fotografico vi dirò che se potessi, ora come ora, fotograferei lei, la mia insoddisfazione.
Ah, dimenticavo: tutti a vedere Monica eh, vi aspetto!