di Michele Marsonet. La principale sorpresa dell’attuale situazione irakena non è certo il limitato attacco che Barack Obama ha autorizzato facendo alzare in volo gli F-18 per bombardare le posizioni dei miliziani del nuovo califfato. Se ne parlava da tempo e, com’è sua abitudine, il Presidente ha tentennato parecchio prima di decidere. Non ne è entusiasta, come si è visto dalla sua espressione cupa e nervosa mentre annunciava l’inizio dei raid.
Le sorprese, come dicevo, sono ben altre. Innanzitutto lascia sbigottiti la forza espansiva dell’ISIS. Uno dei capi ha detto a un giornalista occidentale che gli aerei americani non li spaventa più di tanto poiché loro sono stati addestrati come guerriglieri. Mica vero, vien da rispondere. Hanno infatti combattuto e vinto vere battaglie campali, con impiego di artiglieria e tank, contro il cosiddetto esercito regolare irakeno e contro i curdi.
Di questi ultimi parlerò tra poco. Dell’esercito plasmato dagli USA non c’è per la verità molto da dire. Come già accadde in situazioni analoghe (non solo agli americani, anche ai russi dopo l’invasione dell’Afghanistan), le truppe locali addestrate da istruttori stranieri si squagliano subito se hanno di fronte avversari agguerriti e motivati.
Quelle dell’Irak di al-Maliki – nel frattempo deposto, ma lui non vuole andarsene – sono fuggite dopo i primi scontri abbandonando quantità enormi di armamenti avanzati, naturalmente finiti nelle mani dei miliziani fedeli a al-Baghdadi. I quali dispongono pertanto di un arsenale notevole e, a quanto pare, anche di munizioni in abbondanza.
Spiegare gli enormi successi campali ottenuti dall’ISIS tanto in Irak quanto in Siria non è tuttavia così facile. E’ certo che hanno effettivi inferiori a quelli dell’esercito regolare di Baghdad, senza contare i curdi. Eppure la loro marcia è stata finora inarrestabile e si sono espansi a macchia d’olio occupando gran parte del settentrione irakeno e dell’Est siriano, permettendosi addirittura qualche sconfinamento in Libano.
Basta il fanatismo religioso a spiegare tutto questo? Difficile crederlo. Risulta assai plausibile l’ipotesi che almeno parte delle milizie sia stata addestrata con metodi raffinati, anche se non si sa ancora bene da chi. La tesi più accreditata chiama ancora una volta in causa i sauditi che, ufficialmente principali alleati degli occidentali nell’area, in realtà non hanno mai cessato di supportare – e di finanziare lautamente – gruppi jihadisti per contrastare l’Iran e la Siria di Assad.
A questo punto arriva però la seconda enorme sorpresa. Si faceva grande affidamento sui curdi, i quali del resto sino a poche settimane orsono affermavano con sicurezza che i confini del Kurdistan irakeno erano così ben sigillati da non far passare neanche uno spillo. Tutti di fidavano poiché i celebri “peshmerga” hanno acquisito grande fama per la resistenza opposta a Saddam Hussein, che in effetti non riuscì mai a piegarli.
Si è visto cosa è accaduto. Anche la linea di difesa curda è stata scossa in men che non si dica grazie a un mix di guerriglia e battaglie campali condotte dall’ISIS, le cui truppe ormai sono in vista di Erbil. I tanti cristiani rifugiatisi nel Kurdistan con la speranza di essere salvi si sono rimessi in cammino, anche se non si sa verso quale meta, e gli yazidi rischiano davvero lo sterminio. Ancora una volta resta il problema di capire come le truppe del califfato riescano a sfondare ovunque con tanta facilità.
Sui mezzi di informazione escono indiscrezioni a valanga. La principale è che, secondo alcuni documenti trafugati da Edward Snowden, l’ex agente della National Security Agency poi fuggito in Russia, l’ISIS – o ISIL come si diceva prima – è stato armato e addestrato dalla CIA e dal Mossad israeliano. Non essendo un fanatico della teoria dei complotti mi limito a registrare tali voci, ma avvertendo che la disinformazione in questi casi è sempre attivissima.
Pare che i primi raid aerei americani abbiano un po’ sollevato il morale dei curdi, ma è chiaro che ci vorrà ben altro per fermare l’avanzata delle bandiere nere dell’ISIS. Barack Obama potrebbe presto trovarsi in difficoltà anche perché, con una certa ingenuità, ha detto a chiare lettere che gli USA non si faranno trascinare in un’altra guerra. Il che ricorda tanto l’annuncio del ritiro anticipato dall’Afghanistan che ha finito col galvanizzare i Taliban.