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L’Islam, l’Isis e i segni dei tempi. “Il feroce saracino” di Pietrangelo Buttafuoco

Creato il 29 maggio 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Islam, l’Isis e i segni dei tempi. “Il feroce saracino” di Pietrangelo Buttafuoco

Nell’ultima pubblicazione a firma Pietrangelo Buttafuoco (“Il feroce saracino”, Bompiani, 2015) si parla di Islam, e se ne parla con lo stile e le suggestioni così peculiari dell’autore.

Si parla di quell’Islam che ha impresso segni indelebili nella cultura europea (con i viaggi ultraterreni che Dante ha potuto compiere anche grazie a Ibn Arabi) e che ha lasciato tracce vive nella stessa terra natìa di Buttafuoco, quella Sicilia “sfacciatamente islamica” ove tutto o quasi, dalla toponomastica fino alle processioni del Venerdì Santo, diventa richiamo dell’antica presenza islamica. Vi è poi l’Islam delle rappresentazioni nostrane, quelle esotizzanti (che si possono trovare in Salgari o in un albo di Tintin), comiche (con il turco napoletano di Totò e la spassosa rassegna cinematografica richiamata nelle prime pagine), fino ad arrivare all’Islam mediatico dei recentissimi giorni, quello della tragedia e del terrore, delle ‘Primavere’ insanguinate del Vicino Oriente, dell’ISIS e della strage dell’Hebdo.
Ed è proprio dalle riflessioni sulla tragica attualità che le parole dell’autore, ancorché intrise di polisemici riferimenti letterari, allegorici ed esoterici, possono offrire al lettore anche chiare chiavi di lettura di importanti e attuali dinamiche nelle relazioni internazionali. E così emerge dal testo un legame in odore di perversione e paradosso fra l’Occidente modernista e l’Islam fondamentalista. Entrambi, in diverse forme e misure, coinvolti nella destabilizzazione del Vicino Oriente, dalla Libia alla Siria, per ritrovarsi dalla stessa parte della trincea anche nella contrapposizione all’Iran, alla Russia e alla Cina.

L’autore, è indubbio, conosce bene le dinamiche geopolitiche, gli interessi che ne sono causa e i conflitti che ne sono effetto. Ma tutto ciò, nella sua sensibilità, non può limitarsi alla fredda analisi di dinamiche umane, e diventa invece simbolo che richiama a significati metafisici ed escatologici. E così la tragedia che incombe sul popolo siriano dal 2011 diventa preludio dell’apocalittica islamica, che proprio nella Siria (lo Sham coranico) vede un epicentro fondamentale, il luogo dal quale verranno i molteplici segni dell’approssimarsi della “notte dell’umanità” (alcuni così macabramente attuali, come avrà modo d’accorgersi il lettore). Ancora, l’attuale frattura, sempre più profonda, fra sunniti e sciiti non è solo ricondotta ad una perversa commistione di destabilizzazione e volontà di dominio – divide et impera – ma è espressione della fitna, la divisione della comunità musulmana il cui acuirsi è presagito come ulteriore segno dei tempi e che ha potuto trovare – fra le innumerevoli rappresentazioni mediatiche – espressione particolarmente tragica nella strage di Charlie Hebdo, e in particolare nell’uccisione del poliziotto musulmano da parte di uno degli attentatori: “resta un fotogramma: un musulmano che spara a un altro musulmano (…). Il primo uccide in nome di Allah, il secondo muore invocandolo”.

Anche la risposta dell’autore all’oscurità dei tempi presenti sembra non poter che attingere all’apocalittica islamica, con Gesù che, assieme al Mahdi (il ben Guidato), metterà pace sulla terra sconfiggendo il Male (ma per i sunniti, ricorda l’autore, Gesù e il Mahdi sono la stessa persona).

Impietose appaiono le riflessioni offerte sull’attuale condizione dell’Occidente; di fronte quel che appare come l’inesorabile disfacimento di una civiltà l’autore ricorda il gesto, simbolico e terribile, del suicidio di Venner a Notre Dame del 2013, con il quale l’intellettuale francese ha sublimato la protesta nei confronti del ‘suicidio’ della propria civiltà, ancorché così facendo si sia precluso il passaggio ulteriore alla conversione (all’Islam, s’intende).

È dall’Eurasia che può venire la salvezza per l’Occidente o, più correttamente, per l’Europa; questo sembra voler continuamente affermare l’autore anche in altri scritti. La (re)integrazione fra Europa e Asia sul piano politico, economico e culturale può dar nuova linfa spirituale alla stessa Europa. Emergono infatti nel contesto globale nuove potenze, Russia e Cina in testa, ma anche l’India e – a livello regionale – l’Iran, che con crescente consapevolezza vanno nuovamente ritrovando il proprio spazio nel globo senza però disconoscere le proprie specificità culturali, né quanto preservato – apertamente o nascostamente – del lascito millenario delle rispettive civiltà. E non a caso, in un’intervista concessa su questi stessi spazi, l’autore riferiva che “lo spirito russo è il lievito fondamentale” per un’aggregazione continentale quale l’Eurasia e in questa prospettiva d’integrazione il nostro stesso paese, l’Italia, dovrebbe riscoprire il concetto di Via della Seta al pari della Cina, ed anche dell’Iran.

È l’Iran, da ultimo, che finisce per configurarsi come il centro geografico-spirituale oggetto di incessanti richiami nelle pagine del testo e, più in generale, nella produzione dell’autore. In quest’epoca di tristi avvenimenti (e di oscuri presagi, nei passaggi simbolico-escatologici del libro) l’Iran pare quasi finire per diventare la nuova cinta muraria idonea a sbarrare il passo alle odierne orde di Gog e Magog. Ed invero, anche dagli spunti e dalle suggestioni offerti dall’autore, verrebbe quasi spontaneo vedere – per analogia – la Russia quale attuale punto di riferimento per l’ecumene cristiana, in quanto nuovo katéchon, e cioè – secondo una rilettura schmittiana del concetto paolino – quale forza idonea a contenere e ritardare la venuta di quel Caos che sembrerà prevalere negli ultimi giorni, prima del compimento della Parusia.


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