Berlino, primo piano della Alte Nationalgallerie. La vedo in una delle primissime sale. E un po’ di brividi me li dà, entrambe le volte che vengo a vederla. Sto parlando dell’Isola dei morti (Die Toteninsel), il più noto dipinto di Arnold Böcklin (1827-1901). A Berlino è esposta la terza versione del dipinto, e più che il quadro in sé, che evoca tutto quello che il pittore si era immaginato – «Mercoledì scorso ho terminato L’isola tombale. Lei vi si immergerà sognando, in questo oscuro mondo di ombre, fino a credere di aver sentito il soffio lieve che increspa la superficie del mare, fino a voler distruggere il solenne silenzio con una parola detta ad alta voce»; «Chi guarda questo quadro deve aver timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa ad alta voce» –, è il suo destino a farmi rabbrividire.
L’isola dei morti, terza versione.
Proprio questa versione di L’isola dei morti, infatti, fu acquistata da Adolf Hitler che come molti altri subì la fascinazione del dipinto e che lo espose nel suo salotto buono, la cancelleria del Reich. Una notissima foto lo nel 1939 ritrae proprio con il quadro appeso alle spalle, in compagnia dei ministri degli esteri sovietico e tedesco, Molotov e Ribbentropp, nell’atto della firma del patto russo-tedesco sulla spartizione della Polonia, mandato all’aria di lì a poco con la calata tedesca in Russia. Quando nel 1945 l’armata rossa entrò nel bunker in cui Hitler si era suicidato, vi trovò lei, l’isola. Un generale russo la staccò dalla parete e la portò a Mosca, da dove l’opera fu fatta rientrare successivamente, acquistata dai tedeschi non si sa a che prezzo. Per i critici il suo valore oggi si attesta su diversi miliardi. I motivi che indussero Hitler a innamorarsi follemente del dipinto sono forse da ricercarsi nella molteplicità di temi che evoca, nelle connessioni con la mitologia nordica e germanica – dove di isole di morti e di isole sacre se ne possono rintracciare parecchie –, e poi anche nell’alone di mistero che la circonda.
L’isola dei morti, prima versione.
Ma parlando di una terza versione, è logico immaginare che ne esistano altre. La prima, esposta a Basilea è quella che il pittore tenne per sé; ne realizzò poi un’altra, esposta a New York, per Marie Berna, ricca vedova del finanziere Georg von Berna. Su sua richiesta, il pittore arricchì l’opera di un dettaglio che aggiunse poi anche nella prima versione. L’immagine originaria raffigurava un paesaggio senza nessuna forma di vita: dalla seconda versione in avanti, invece, un po’ di vita c’è. Compare una bara bianca, spettrale, e un traghettatore che la accompagna a bordo di un’imbarcazione. Della terza versione ho già detto, ma evidenzio ancora un dettaglio: sulla destra del dipinto, sopra l’ingresso di uno dei sepolcri, compaiono le lettere AB, la firma di Böcklin. La quarta versione fu ultimata nel 1884 e acquisita dal collezionista Heinrich Thyssen-Bornemisza che la appese nella sede della Berliner Bank. Questa versione non sopravvisse alla Seconda guerra mondiale, e tutto quel che ne resta è una foto in bianco e nero. Infine la quinta, commissionata dal Museo d’arte di Lipsia, dov’è esposta tuttora.
L’isola dei morti, seconda versione.
Ognuna di esse evoca un senso di desolato silenzio, che per assurdo anche Rachmaninov riuscì a riprodurre, suonando, con il poema sinfonico op. 29. L’ambientazione è uno scenario marino dove incombe un massiccio roccioso, un megalite imponente su cui cresce una cupa macchia di cipressi. La natura è possente, soverchiante, l’atmosfera rarefatta. Tutto è silente, pare immobile, anche se la barca si muove verso l’ultimo approdo.
L’isola dei morti, quinta versione
Che cosa ispirò Böcklin? Sicuramente la sua vicenda personale, la morte della giovane figlia Maria, sepolta nel cimitero degli inglesi a Firenze (lo stesso in cui fu poi sepolto il pittore). Il cimitero era ubicato vicino allo studio del pittore e, secondo molti, fu quella l’ambientazione del quadro. Sembra che Hitler, in visita a Firenze il 9 maggio del 1938, si fermò qualche secondo in silenzio a guardare i cipressi. Poi disse una frase sola, ad alta voce: «Finalmente capisco Böcklin». Tuttavia, i candidati sono anche altri, e i critici si sono arrovellati nel tentativo di identificare l’isola (che non c’è?). L’isola greca di Pontikonissi, vicino a Corfù, l’isola di Ponza, un castello dell’isola d’Ischia, una roccia al largo della Jugoslavia, l’isola di San Giorgio in Montenegro o anche San Michele in Isola, che ad arrivarci prendendo il vaporetto dalle Fondamenta Nuove sembra davvero di entrare nel quadro di Böcklin…
Omaggio a Bocklin, Hans Ruedi Giger.
Altrettanto appassionante è la storia della fascinazione esercitata da questo dipinto, anche dopo l’appropriazione da parte del nazismo. Oltre al nome di Hitler se ne possono fare molti altri. Per restare nel campo della pittura: Salvador Dalì con La vera immagine dell’Isola dei Morti di Arnold Böcklin all’ora dell’angelus (1932); Hans Ruedi Giger con Omaggio a Böcklin (1977); Fabrizio Clerici con Latitudine Böcklin (1975-1976); Gipi; Ettore Aldo del Vigo e i suoi scenari surreali, e molti altri artisti e intellettuali, tra cui Sigmund Freud che tra le 22 riproduzioni che ornavano il suo studio di Vienna ne aveva scelte molte che riguardavano la “nostra” isola. E poi Lenin oppure Gabriele d’Annunzio che, non potendo accaparrarsi il dipinto ripiegò sui cipressi che fece piantare nel parco del Vittoriale. Ma il quadro compare anche altrove, in “luoghi” insospettabili come le scene di I Walk with a Zombie di Val Newton (1943).
Latitudine Bocklin, Fabrizio Clerici.
Facciamo un gioco. Mi mandate citazioni altre? Libertà di spaziare fra generi e mezzi. Grazie.
Fonti: L’isola dei morti di Marco Dolcetta.
L’isola dei morti secondo Gipi.
L’isola dei morti secondo Aldo del Vigo.