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L'isola di Walang Tao

Da Fiaba

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La fiaba

Giovedì 31 Luglio 2014 10:46 Scritto da Alessandra Kre

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C'era una volta un piccolo uomo di nome Moed che abitava in una casa grande, tanto grande che qualche volta ci si perdeva dentro. 

Sua moglie era morta un anno prima, e da quel giorno non era più uscito da quella grande casa.

La spesa gliela portava a domicilio un ragazzino della zona, e per le commissioni più urgenti c'era sempre qualche amico pronto a concedergli il favore, in cambio di una buona tazza di tè. Moed era famoso per il suo tè, perché coltivava da sé le foglie nella sua serra, che era grande come la sua casa. E poi ci metteva un ingrediente che diceva essere magico, e che forse magico lo era davvero, perché tutti quelli che bevevano il suo tè dicevano di non aver mai bevuto un tè come quello.

Un giorno Moed, di rientro dalla sua enorme serra, andò in soffitta e si mise a cercare qualcosa. Non sapeva bene cosa cercasse. Era uno di quei giorni in cui la nostalgia ti assale così profondamente, che ti viene voglia di andare in soffitta a cercare qualcosa, anche se non sai cosa. E fu allora che trovò quella lettera.

Gliel'aveva scritta sua moglie poco prima di morire, per il loro anniversario di matrimonio. C'era scritto che lo amava come sempre, come il primo giorno, e poi, in basso, con calligrafia più piccola: "Vorrei che mi promettessi che per il nostro prossimo anniversario mi porterai qui: ha l'aria di essere un posto meraviglioso!" e in allegato c'era una piccola fotografia ritagliata da chissà quale rivista, di una specie di paradiso terrestre; e sopra c'era scritto: Isola di Walang Tao.

E gliel'aveva promesso, Moed, anche se ora quella foto era ricoperta da una patina di polvere, e lui non lo ricordava più.

Non passarono nemmeno due giorni che Moed si mise in cammino, con una piccola borsa sulle spalle e in mano un bastone di legno grezzo.

Camminò per giorni, pensando a sua moglie e a quanto l'amava; camminò fino a non sentire più le gambe, fino a non rendersi più conto di quanta strada avesse fatto.

Camminò per giorni, prima di incontrare qualcuno. Un uomo, alto, imponente, con la testa rasata e il viso rotondo.

"Sto cercando l'Isola di Walang Tao", gli disse.

L'uomo lo guardò dall'alto in basso, emise un suono strano, simile a un grugnito, e rispose:

"Allora sta andando bene. Non mancano che una manciata di chilometri"; poi con tono beffardo aggiunse:

"Buona fortuna" e gli voltò le spalle.

Moed si caricò di nuovo la sua piccola borsa, impugnò il suo bastone, e per i minuti successivi non fece altro che cercare di capire cosa potesse voler significare quel "Buona fortuna" detto con quel tono così strano. Ma i suoi pensieri vennero interrotti dall'arrivo di qualcun altro. Una donna. Camminava lentamente verso Moed, era molto piacente, fasciata in un vestito rosso e con lunghi capelli biondi raccolti sulla testa. Quando si trovarono a poca distanza l'uno dall'altra la donna lo guardò con lo sguardo più triste che Moed avesse mai visto.

"Che succede, signora? Posso fare qualcosa per lei? Sa, io sto cercando l'Isola di Walang Tao"

"Buona fortuna" esclamò la signora, e proseguì per la sua strada.

"Aspetti, signora, mi scusi, è sicura che non posso fare niente per lei?"

"Non credo", rispose la donna.

"Perché, perché è così triste?"

"Perché ho paura di invecchiare", disse, e se ne andò.

Moed rimase sbigottito da quella risposta. Gli sembrava assurdo che una persona potesse mostrare tanta sofferenza per una ragione simile. Raccolse di nuovo la sua borsa, e proseguì il suo viaggio. Finché non sentì delle grida disperate, e vide un uomo correre, anch'egli nella direzione opposta alla sua.

"Aspetti, si fermi!", gridò.

L'uomo si arrestò improvvisamente, si avvicinò a Moed, si passò una mano sugli occhi inondati di lacrime e disse:

"Ho paura di ammalarmi. Paura di ammalarmi, capisce?", e fuggì via, per la stessa strada che aveva preso la donna.

Moed rimase molto scosso da quei due incontri. Ma non ebbe neanche il tempo di riprendersi che ne fece un terzo. Stavolta era un vecchio. Ricurvo su sé stesso, ma col volto che sembrava di cera. Guardò Moed, e sorridendo pacatamente esclamò:

"Ho paura di morire".

Passarono altre persone. Due, tre, cinque, dieci. Uomini, donne.

Un bambino che aveva paura dell'orco. Un uomo che aveva paura di cadere. Una donna che aveva paura di perdere le persone a cui teneva. Un'altra che aveva paura dei temporali. Un signore sulla cinquantina aveva paura del buio. Un altro più giovane aveva paura che la sua azienda fallisse.

Moed, camminando, se le vide passare tutte davanti agli occhi, le paure della gente. Così piccolo, con in mano la sua piccola borsa, senza riuscire a dire una parola. Ed era così frastornato che non si rese neanche conto che sulla sua piccola testa pendeva un enorme cartello con scritto: ISOLA DI WALANG TAO.

Il suo volto confuso venne illuminato da un grande sorriso. Pensò a sua moglie. Pensò a quel paradiso, e al fatto che finalmente era lì, di fronte ai suoi occhi.

Poi guardò in basso, sulla destra, e vide un cartello più piccolo, che diceva: VIETATO AVERE PAURA.

Smise di sorridere. Pensò a uno scherzo.

"Vietato avere paura?" si domandò a voce alta.

"Sì", rispose l'ultima persona che incontrò lungo il suo viaggio, un uomo sulla trentina e di bell'aspetto, "per vivere o soggiornare su quest'isola non si devono avere paure. Su quest'isola è vietato avere paura"

"Ma cosa significa?" rispose Moed "e perché va via anche lei?"

"Perché ho paura d'amare. E laggiù è la paura che sono meno disposti a tollerare".

Moed rimase solo davanti a quei due cartelli. Passarono interminabili minuti, prima che decidesse di continuare a camminare. Aveva ragione, sua moglie, quello era davvero un posto meraviglioso! Un'oasi di verde, un mare limpido come uno specchio e animali di ogni razza che circolavano liberamente. Ma non c'erano persone. Si mise a cercare, per ore, ma senza alcun risultato.

Sull'Isola di Walang Tao non c'erano persone.

Era solo, Moed. Con la sua piccola borsa e il suo bastone di legno grezzo.

Divenne triste, così triste che una lacrima gli rigò il viso. Se le era viste passare tutte davanti agli occhi, le paure della gente. Ed ora era lì, da solo, con la sua piccola borsa e il suo bastone di legno grezzo.

Tirò fuori un fazzoletto, si asciugò il viso. Aveva paura di stare solo in un posto che non fosse la sua grande casa. Aveva paura di invecchiare, come quella signora dai lunghi capelli biondi. Aveva paura di ammalarsi, e di morire.

Aveva paura di cadere, per questo portava sempre con sé quel suo bastone di legno. Aveva paura del buio, certe volte, e quando la tempesta agitava furiosamente i grossi alberi del suo giardino aveva anche un po' paura del temporale. Aveva paura che a nessuno piacesse più bere il suo tè, e anche se non aveva messo su un'azienda come quel giovane incontrato poco prima, questa cosa lo faceva stare male. Aveva paura di perdere qualcuno a cui teneva, com'era già successo un anno prima, e soprattutto, proprio per quel motivo, aveva paura di amare.

Per questo se ne stava sempre solo nella sua grande casa, tanto grande che qualche volta ci si perdeva dentro.

Mise in tasca il fazzoletto, prese la borsa, il bastone, e la strada del ritorno.

E mentre camminava, si sentì felice, felice davvero, e disse a sé stesso: "Sei un uomo coraggioso, Moed, perché non hai paura di avere paura".

E decise che da quel giorno la sua casa avrebbe ospitato, tutti i giorni, fino alla fine dei suoi, tante persone, e tutte le loro paure.

Perché il primo passo verso la fine di ogni paura è trovare il coraggio di non avere paura delle proprie paure.

E perché nessun posto è meraviglioso se si è soli ad abitarci dentro.


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